Pietro Metastasio - Opera Omnia >>  Romolo ed Ersilia




 

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Dramma scritto dall'autore in Vienna d'ordine sovrano e rappresentato con real magnificenza la prima volta con musica dell'Hasse, nel teatro dell'imperial palazzo della città d'Inspruch, alla presenza degli augustissimi regnanti, in occasione delle felicissime nozze che ivi si celebrarono delle AA. RR. dell'arciduca Leopoldo d'Austria e dell'infanta Donna Maria Luigia di Borbone l'anno 1765.


ARGOMENTO

Lo straordinario e fortunato valore della feroce gioventù, che si raccolse a formar la nascente Roma, riempì ben presto di gelosa emulazione tutte le vicine bellicose nazioni che componevano il nome sabino. S'avvidero in breve i Romani che la gloria di così fausti principii sarebbe nel corso d'una sola età terminata, ove non riuscisse loro di supplire alla scarsezza delle proprie con le spose straniere, di raddolcir coi legami del sangue l'animo avverso de' confinanti, e di stabilire con numerosa prole le vaste speranze di Roma. Richiesero perciò instantemente in ispose le donzelle sabine, ma furono per tutto le istanze loro alteramente rigettate. Offesi dagli ostinati rifiuti, spinti dal timor di perire, ed autorizzatì dai greci esempi, convennero d'ottener con la forza ciò che si negava alle preghiere; e nell'opportuno concorso degli annui giuochi che in onor di Nettuno si solennizzavano in Roma, eseguirono il celebre ratto, tanto in ogni secolo rammentato.
Romolo, che avrebbe tentato invano di fare argine all'impeto d'un popolo non docile ancora, irritato e guerriero, seppe trovare impiego alle sue reali virtù, anche ne' trascorsi di quello. Consegnò in sacro loco le rapite donzelle alla custodia di pudiche matrone; né dispose di esse, fin che vinte dalle generose accoglienze, dalle affettuose persuasioni, dal rispetto e dal merito degli offerti sposi, non condescesero volontarie alle proposte nozze, che furono poi per comando di lui, a tenore de' sacri riti, e con la maggior pompa permessa allora ai tenui principii di Roma, pubblicamente celebrate.
Trovossi fra le rapite donzelle l'illustre Ersilia, figliuola di Curzio, principe degli Antemnati, per chiarezza di sangue, per virtù e per bellezza di gran lunga superiore ad ogni altra, e perciò a Romolo, già occupato de' pregi di lei, dal voto comune concordemente destinata. Ma tenace questa degli austeri sabini costumi, dissimulando a se stessa la violenta propensione dell'animo suo verso il giovane eroe, seppe resistere all'esempio seduttore delle persuase compagne; e, sacrificando con esemplare ubbidienza l'arbitrio del proprio a quello del paterno volere, ricusò costantemente d'acconsentir mai agli offerti reali imenei, senza un espresso comando del genitore.
Le ostinate repugnanze di Curzio, i rigori d'Ersilia, la possanza e le insidie del ceninese Acronte, acerbo nemico di Romolo e suo disperato rivale, parevano ostacoli insuperabili. Ma, trionfando finalmente di tutti il grande non men che felice fondatore di Roma, ottiene inaspettatamente le sospirate nozze, che sono la principale azione di questo dramma.


INTERLOCUTORI

Romolo re e fondatore di Roma.
Ersilia illustre principessa sabina, ambita sposa di Romolo.
Valeria nobile donzella romana, promessa sposa d'Acronte, e da lui abbandonata.
Ostilio patrizio romano, amico di Romolo, e generoso amante di Valeria.
Curzio principe degli Antemnati, padre d'Ersilia.
Acronte principe de' Ceninesi, implacabile nemico di Romolo, e rigettato pretensore d'Ersilia.
Coro di popolo romano.


L'azione si rappresenta nell'angusto recinto della nascente Roma.


ATTO PRIMO

SCENA I

Gran piazza di Roma, circondata di pubbliche e private fabbriche in parte non ancor terminate, ed in parte adombrate ancora di qualche albero frapposto. Campidoglio in faccia, selvaggio pur anche ed incolto, con ara ardente innanzi alla celebre annosa quercia consacrata a Giove su la cima del medesimo, donde per doppia spaziosa strada si discende sul piano. L'ara, la quercia, il monte, gli alberi e gli edifici tutti della gran piazza suddetta sono vagamente guarniti di festoni di fiori capricciosamente disposti per solennizzar le nozze de' giovani romani e delle donzelle sabine.

Il basso della scena è tutto ingombrato di guerrieri, di littori e di popolo spettatore; e mentre allo strepito de' festivi stromenti, che accompagnano il seguente coro, vanno scendendo gli sposi per le varie strade del colle, ed intrecciando poi allegra danza sul piano, Romolo con Ersilia per una via, Ostilio con Valeria per l'altra, vengono seguitando lentamente la pompa; e non rimane su l'alto che il numeroso stuolo de'sacerdoti intorno all'ara di Giove.

Coro - Sul Tarpeo propizie e liete
Dall'Olimpo oggi scendete,
D'imenei così felici
Protettrici deità.

Parte del coro - Tu propaga, o dio dell'armi,
Il valor, gli eroici ardori,
La virtù de' genitori
Nella prole che verrà.

Tutto il coro - Dall'Olimpo oggi scendete,
Protettrici deità.

Parte del coro - Dea, che provvida e feconda
Dell'età l'ingiurie emendi,
L'alme annoda, i cori accendi
D'amorosa fedeltà.

Tutto il coro - Dall'Olimpo oggi scendete
Protettrici deità.

Parte del coro - Piante eccelse innesti Amore,
E produca amico il Fato
Dall'innesto sospirato
La comun felicità.

Tutto il coro - Sul Tarpeo propizie e liete
Dall'Olimpo oggi scendete,
D'imenei così felici
Protettrici deità.

Romolo - Eccovi al fine, o belle
De' vostri vincitori
Vincitrici adorate, eccovi spose,
Eccovi nostre. Ah, giacché il Ciel vi rese
D'un impero nascente
Le più care speranze, ah con noi fate
Dolce cambio d'affetti! A far di voi
Il prezioso acquisto
Non servì già di sprone
Al romano ardimento
Odio, vendetta, o giovanil talento.
Si evitò di perir; cangiar del sangue
Coi vincoli si volle
Gli sdegni in amistà. Voi lo sapete,
Che, accolte in casto asilo,
Fra pudiche matrone
In custodia de' numi, or vinte al fine
Dal rispettoso invito,
Volontarie compiste il sacro rito.
Né questi già sdegnate
D'un popolo guerrier principii umìli:
Il Ciel non ha prescritti
Limiti alla virtù. Quel Campidoglio,
Or selvaggio ed ignoto,
Chi sa qual nome un dì sarà? Di vaste
Speranze ho pieno il cor. Siatene a parte
Voi già romane; e, rivolgendo in mente
L'amor presente ed i trofei futuri,
Secondate amorose i grandi augùri.
(nel tempo della seguente replica del coro partono danzando gli sposi)

Coro - Sul Tarpeo propizie e liete
Dall'Olimpo oggi scendete,
D'imenei così felici
Protettrici deità.



SCENA II

Romolo, Ersilia, Valeria ed Ostilio.

Romolo - E fra tanti felici, (ad Ersilia)
Adorabile Ersilia, esser degg'io
Incerto ancor della mia sorte?

Ersilia - (Oh Dio!)

Ostilio - Né muover può l'esempio (a Valeria)
Del sabino pur or vinto rigore
Il cor per me d'una romana?

Valeria - (Oh amore!)

Romolo - Parla almen, principessa.

Ersilia - Al sacro rito
Spettatrice, e non sposa
Tu mi bramasti: io ti compiacqui. Or dirti
Che mai di più poss'io? Tu non ignori
Qual dover mi consiglia;
Tu sai ch'io son sabina e ch'io son figlia.

Romolo - So che pretendo in vano
D'ottener la tua mano, ove dal grande
Tuo genitor non sia concessa; e questa
Lodevole di figlia ammiro ed amo
Esatta ubbidienza. Io delle prime
Repulse ad onta, a lui
Le istanze rinnovai. Deh, mentre attendo
L'esito palpitando, ah! mi consola
Tu fra i palpiti miei, tu dimmi intanto
Qual parte ho nel tuo cor; dimmi se m'ami,
Se gli affetti veraci
D'un amante fedel...

Ersilia - Romolo, ah! taci,
E non perder di tanti
Generosi riguardi
Il merito così.

Romolo - Qual fallo è il mio?

Ersilia - Così liberi accenti
Le donzelle sabine
A soffrir non son use, e non s'impara
Tal linguaggio fra noi che presso all'ara.

Romolo - Che incanto è la bellezza
Ornata di virtù! Seconda, amico,
L'impazienza mia. (ad Ostilio con premura)
Vanne, dimanda, invia; vedi se giunge
Il sospirato messaggier. Gl'istanti
Son secoli per me.

Ostilio - Di te non meno
Mal sopporta l'indugio
Il popolo roman, che sposo in trono
Vuol vedere il suo re. Già intollerante
Pretenderia che tu volgessi ad altro
Men difficile oggetto i tuoi pensieri.

Romolo - Altro oggetto ch'Ersilia!... ah, non lo speri!

Questa è la bella face
Che mi destina amore;
E questa del mio core
L'unico ardor sarà.
Fin or beltà maggiore
Mai non formar gli dèi;
E il minor pregio in lei
È il pregio di beltà. (parte con Ostilio)



SCENA III

Ersilia e Valeria.

Valeria - Né ti par degno, Ersilia,
D'amore il nostro eroe?
S'ei non poté d'un popolo feroce
L'attentato impedir, tu vedi come
Ei lo corregge.

Ersilia - Il veggo

Valeria - E nulla intanto
Per lui ti dice il cor?

Ersilia - L'ammiro.

Valeria - Io chiedo
Se l'odia o l'ama.

Ersilia - Amica,
Me stessa io non intendo. Ho mille in seno
Fin or da me non conosciuti affetti.
Il suo volto, i suoi detti
Nell'anima scolpiti
Romolo mi lasciò. Parmi ch'ei sia
Il più grande, il più giusto,
Il più degno mortal. Ma che? Ribelle
A' divieti paterni, alla sabina
Rigida disciplina, il suo dovrebbe
Perciò costume austero
Ersilia abbandonar? No, non sia vero.

Sorprendermi vorresti,
Nume dell'alme imbelli;
Ma in vano a me favelli:
Nume non sei per me.
All'alma mia disciolta
In van catene appresti;
Fra' suoi rigori involta
Scherno farà di te. (parte)



SCENA IV

Valeria, poi Acronte in abito romano.

Valeria - Arde, e nol sa, ma in nobil fuoco almeno,
La saggia Ersilia. Io sventurata adoro
Un perfido, un ingrato. A mille prove
So che m'inganna Acronte, e pure... Oh stelle!
Traveggo? Ei viene.

Acronte - (Infausto incontro!)

Valeria - E dove,
Folle, t'inoltri mai? Mentre congiura
All'eccidio di Roma
Tutto il nome sabin, sabino ardisci
Qui con mentite spoglie
Arrischiarti così?

Acronte - Rischio non temo,
Cara, per rivederti.

Valeria - Ah mentitor! so che la fé di sposo
Donata a me non curi più, che solo
D'Ersilia or ardi.

Acronte - Io!

Valeria - Sì. Credi che ignori
Le tue vane richieste,
I rifiuti del padre, i tuoi furori?

Acronte - Ingiusta sei. Ne chiamo
Tutti del cielo in testimonio...

Valeria - Ah! taci;
Io non voglio arrossir de' tuoi spergiuri.
Va. Se di me non curi,
Abbi cura di te: se me disprezzi,
Gradisci il mio consiglio,
E non farmi tremar nel tuo periglio.

Acronte - Perché in rischio mi vedi,
Palpiti tanto, e un traditor mi credi?

Valeria - Sì, m'inganni, e pure, oh Dio!
La mia sorte è sì tiranna,
Che l'idea di chi m'inganna
Non so svellermi dal cor.
Sì, crudele, il caso mio
È una specie di portento;
Aborrisco il tradimento,
E pur amo il traditor. (parte)



SCENA V

Acronte, indi Curzio in abito parimente romano.

Acronte - Già un sinistro all'impresa
Augurio è quest'incontro. Eh, non si scemi
Però d'ardir! Roma si strugga. Io solo
Co' Ceninesi miei già pronti all'opra,
La lenta de' Sabini
Vendetta affretterò. Ma pria conviene
D'Ersilia assicurarsi. In mezzo all'ire
Un ostaggio sì grande
Vacillar mi farebbe. Ho già chi a lei
Scortar mi dee; ma nol rinvengo. Altrove
Cerchisi... (s'incontrano Curzio ed Acronte, e restano qualche istante immobili a guardarsi)
Curzio!

Curzio - Acronte!

Acronte - Sei pur tu?

Curzio - Non m'inganno?

Acronte - Degli Antemnati il prence in Roma?

Curzio - In Roma
De' Ceninesi il prence?

Acronte - Io, stanco al fine
Delle pigre ire vostre,
Sciolsi il freno alle mie. Sol io di tutti
Gli oltraggiati Sabini
L'onor vendicherò. Roma vogl'io
Oggi assalir. Di questa i men difesi,
I più deboli siti
Era d'uopo esplorar: né volli ad altri
Che a me solo fidarmi. Ah! se l'istesso
Stimolo impaziente
Te guida ancor, t'unisci a me. L'antico
Tu meco odio sospendi; io dell'oltraggio,
Ch'Ersilia a me negasti,
Per or mi scorderò. Solo per ora
L'onor ci parli; e fin che al mondo intero
La dovuta vendetta
Dell'offesa comun non sia palese,
Taccia il rancor delle private offese.

Curzio - Ma sai qual ne sovrasta
Oggi ingiuria novella? Oggi si denno
Celebrar de' Romani
Con le nostre Sabine
I solenni imenei. Fra noi sicura
Fama ne giunse; e quei, ch'io veggo intorno,
Apparati festivi
Provan che non mentì. L'idea non posso
Né men soffrirne; e, senza
Sapere ancor per qual cammin, la figlia
A liberar da questi
Imenei m'affrettai.

Acronte - Tardi giungesti.

Curzio - Come?

Acronte - Il solenne rito,
Principe, è già compito.

Curzio - Oimè! sarebbe
Ersilia ancor... No; la conosco: è troppo
De' suoi costumi e de' paterni imperi
Tenace, rispettosa,
Rigida osservatrice.

Acronte - E pure è sposa.

Curzio - Chi l'afferma? Onde il sai?

Acronte - Tutta io pur or mirai,
Qui fra il volgo confuso in queste spoglie,
La pompa nuziale.

Curzio - Ed era Ersilia...

Acronte - Ed era Ersilia anch'essa
Della romana gioventù feroce
Fra le spose festive.

Curzio - Oh colpo atroce! (si getta a sedere fiero e pensoso)

Acronte - Arrestarsi or perché? Tardo è il riparo;
Pronta sia la vendetta. I tuoi guerrieri
Corri, vola ad unir. Con me congiura
Di Roma alla ruina.

Curzio - (Ersilia! una mia figlia! una sabina!)

Acronte - (Né pur m'ascolta. Ah! quello sdegno insano
Può tumulti destar, può alla rapina,
Che meditai d'Ersilia
Ostacoli produrre. È saggia cura
Prevenirne gli effetti). E ben, poss'io,
Curzio, saper da te...

Curzio - Lasciami solo.

Acronte - Tu il vuoi? ti lascio (E al mio disegno io volo). (parte)



SCENA VI

Curzio solo.

Curzio - E volontaria Ersilia
Fatta è romana! Ah, fra le mie sventure
Questa fin ora io non contai! Spergiura,
Perfida! Il tuo castigo
Speri indarno evitar. Non ha la terra
Un asilo per te. Non sei sicura
Dal furor che mi muove,
Al fianco al nuovo sposo, in braccio a Giove.

Molli affetti, dall'alma fuggite;
Ch'io son padre per or non mi dite,
Debolezze d'un tenero amor.
Fra le smanie, onde oppresso mi sento,
Non rammento ch'io son genitor. (parte)



SCENA VII

Appartamenti destinati nella reggia ad Ersilia sul colle Palatino.

Ersilia ed Ostilio.

Ostilio - Ma di Romolo, o Ersilia,
Tutto il merto conosci?

Ersilia - Tutto.

Ostilio - E non l'ami?

Ersilia - No. Fra noi l'amore
È figlio del dovere.

Ostilio - Altra speranza
Dunque a noi non rimane,
Che un comando paterno?

Ersilia - E questa è vana;
Conosco il genitor.

Ostilio - Se avverso è il padre,
Se insensibil tu sei, procura almeno
La nostra pace.

Ersilia - Io! Come?

Ostilio - Il popol brama
I reali imenei. Quasi in tumulto
Degenera il desio. Deh, giacché il fato
Te nega a noi, dal tuo consiglio accetti
Romolo un'altra sposa.

Ersilia - Dal mio consiglio!

Ostilio - Ah sì!

Ersilia - Qual dritto ho mai...

Ostilio - Quel che su l'alma sua ti dona amore.
Chi dispor di quel core
Ardirebbe sperar, se a te non lice?

Ersilia - Io farmi debitrice
Della sorte di Roma! Una regina
Io straniera cercar!

Ostilio - L'hai pur vicina.

Ersilia - Chi?

Ostilio - Valeria.

Ersilia - Valeria!

Ostilio - Oltraggio il trono
Dall'illustre Valeria
Almen non soffrirà, quando non possa
Adornarsi d'Ersilia.

Ersilia - E ben, se credi
Che giovi il voto mio... Ma queste, Ostilio,
Son stravaganti idee... Valeria è amante.

Ostilio - Lo so. Per sua sventura
D'Acronte è accesa; e sarebbe opra appunto
Di sincera amistà franger quel laccio
Tanto indegno di lei.

Ersilia - Sì... ma...

Ostilio - Viene a momenti
Romolo a te.

Ersilia - Romolo!

Ostilio - Sì; proteggi,
Ersilia, il mio pensier; cerca...

Ersilia - Tu vuoi
Ch'io deliri con te. Chi mai t'intende?
Per Valeria fin ora
Sospirasti d'amore; ad altri or vuoi
Che sposa io l'offra. O m'ingannasti prima
O al presente m'inganni!

Ostilio - Ah non t'inganno,
Né fin or t'ingannai.
Più di me stesso io l'amo, e perché l'amo
Più di me stesso, è il voto mio verace
L'onor suo, la sua gloria e la sua pace.

Con vanto menzognero
Fido amator si chiama
Chi nel suo ben non ama
Che il proprio suo piacer.
Alma ben vile ha in petto
Chi render può felice
Un adorato oggetto,
E non ne sa goder. (parte)



SCENA VIII

Ersilia, indi Curzio.

Ersilia - D'un generoso amante
Secondare io dovrei... Ma pur di qualche
Esame il passo è degno. Io dar consigli!
Chieder grazie! offrir spose! Il cor repugna,
Né so con quali accenti...
Ah, repugnanze mie, siete innocenti?
Ond'è che un tal mi regna
Tumulto in sen?

Curzio - Pur ti raggiungo, indegna.

Ersilia - Qual voce, oh Dio! Padre, signor...

Curzio - T'accheta;
Non profanar quel nome.

Ersilia - Ah padre!

Curzio - Abbassa
Le temerarie ciglia:
La sposa d'un roman non è mia figlia.

Ersilia - Sposa! Io, signor?

Curzio - Non aggravar, spergiura,
Con la menzogna il fallo. Or or con l'altre
Tue ribelli compagne
Sposa non fosti all'ara?

Ersilia - Io spettatrice
Vi fui, non sposa.

Curzio - E la tua man...

Ersilia - La mano
D'Ersilia non si dona
Senza il cenno paterno.

Curzio - E sei...

Ersilia - Son io
Sabina ancor.

Curzio - Né un trono offerto...

Ersilia - Un trono
Vile è per me, se a te nol deggio.

Curzio - E l'ire
E le minacce...

Ersilia - Altra minaccia, o padre
Non può farmi tremar, che quella solo
Dell'odio tuo. Men del paterno sdegno
A me la morte istessa,
Amato genitor, sarebbe amara.

Curzio - Ah, dell'anima mia parte più cara,
Vieni al mio sen. Detesto
I miei trasporti. Ah, più felice giorno
Per me fin or... Tu tremi, Ersilia?

Ersilia - Io tremo,
Padre, per te. Qui Romolo a momenti
So che verrà. Se te ravvisa alcuno
Nel nemico soggiorno in finte spoglie...
Chi sa... Partiam, signore; ovunque vuoi,
Io sieguo i passi tuoi.

Curzio - No, figlia; il colpo
S'avventura in tal guisa. È della notte
Necessario il favor.

Ersilia - Ma intanto... Oh Dio
Eccolo.

Curzio - Io parto. Avverti
Che il tuo timor non mi tradisca.

Ersilia - Ah, dove
Tu sicuro potrai...

Curzio - V'è chi seconda
Fido il disegno mio.
A te verrò quando fia tempo. Addio. (parte)



SCENA IX

Ersilia, poi Romolo.

Ersilia - Misera me! mancava
Solo alle angustie mie la più crudele,
Di tremar per un padre! In questo stato
Come a Romolo offrirmi?... Ah, vien! S'evìti
Per or la sua presenza.

Romolo - Fuggi, Ersilia, da me?

Ersilia - (Numi, assistenza!)

Romolo - Non temer, principessa,
Ch'io ti parli d'amore: i tuoi rispetto,
Benché rigidi troppo,
Natii costumi. È l'ubbidir gran pena,
Lo confesso, per me: ma il dispiacerti
Saria maggiore.

Ersilia - (Oh generoso!)

Romolo - Io credo
Però che non si chiami
Favellarti d'amore il dirti solo
Che, se gli dèi, se il padre,
Se il tuo voler di quella destra amata
Possessor mi faranno, il più felice
Io sarò de' viventi.

Ersilia - (Oimè!)

Romolo - Che al trono
Tu aggiungerai splendor; che tu di Roma
La deità sarai; che arbitra sola
Sempre tu del cor mio...

Ersilia - Signor, permetti
Ch'io volga i passi altrove.

Romolo - Ah, dunque io sono
L'aborrimento tuo?

Ersilia - (Che pena!)

Romolo - Un fallo
Se l'amore è per voi, per voi non credo
Che sia l'odio una legge. Al fin frapposta
È pur qualche distanza
Fra sì contrari affetti. Amante e sposa
Se dal Ciel m'è negata,
Può ben essermi Ersilia amica e grata.

Ersilia - (Non so più dove io sia. Non so s'io debba
O partire o restar. Vorrei scusarmi;
Incominciar non oso; ed ogni accento,
Che proferir vorrei,
Si trasforma in sospir fra' labbri miei).

Romolo - E tace Ersilia, e un guardo
Non volge a me! Ma quando
T'offesi mai? Ma di che reo son io?

Ersilia - Signor... se credi... (Oh Dio!)

Romolo - Né siegui! Ah, qualche
Nuovo affanno t'opprime. A questo segno
Mai ti reser confusa i tuoi rigori.
Avvampi, ti scolori,
Incominci, t'arresti, e mostri in volto
Dagl'interni tumulti il cor commosso!
Spiegati, per pietà.

Ersilia - Signor... non posso. (piange)

Romolo - Ah, che vuol dir quel pianto?
L'affanno tuo qual è?

Ersilia - Sento morirmi, e intanto
Non saprei dir perché.

Romolo - Reo del tuo duol son io?

Ersilia - Tu... s'io sapessi... Addio.

Romolo - Non mi lasciar.

Ersilia - Che giova?

Romolo - Non mi lasciar così.

A due - Angustia così nuova
Chi mai fin or soffrì?
No, fin ad or giammai
Gli affetti non provai,
Che provo in questo dì.



ATTO SECONDO

SCENA I

Logge interne nella reggia, dalle quali veduta della porta Carmentale e della rupe Tarpea.

Ersilia sola.

Ersilia - Pur troppo è ver, (non giova
Più celare a me stessa
La debolezza mia!) no, più non sono
L'austera Ersilia. È il primo
Romolo ognor de' miei pensieri; ognora
Mi trovo, e non so come,
Fra le labbra il suo nome. A me di lui
Se alcun parla improvviso,
Sento avvamparmi in viso; ov'ei s'appressi,
Mi turbo, impallidisco,
Mi confondo, ammutisco, e dubbio in seno
Tra l'affanno e il piacer mi balza il core:
Se questo amor non è, che cosa è amore?
Giacché sì mal fin ora
Ti difendesti, Ersilia,
Non cimentarti più. Fuggi, e fuggendo
Serba almen la tua gloria;
Ché la fuga in amor pure è vittoria.



SCENA II


Curzio e detta.

Curzio - Figlia, Ersilia.

Ersilia - Ah, signor, possiam la nostra
Partenza anticipar? Teco son io,
Se vieni ad affrettarmi.

Curzio - Ad avvertirti
D'un nuovo tuo periglio
Per ora io vengo. È in Roma
De' Ceninesi il prence. Io gli parlai.
Che partiva asserì; ma in questo istante
Io da lungi or rividi
Il mentitor, che alle tue stanze intorno
Furtivo ancor s'aggira. Ah! qualche indegno
Colpo ei matura. Il folle t'ama; è punto
Dal mio rifiuto; è violento; e solo
Le temerarie imprese
Belle sembrano a lui: guardati.

Ersilia - Ah, dunque
A che più rimaner? Partasi.

Curzio - Il tempo
Ancor non è. Pochi momenti ancora
Tollera in pace.

Ersilia - In Roma
Non v'è pace per me: questo soggiorno
Più non posso soffrir. Toglimi, o padre,
Toglimi a tanta pena. A questi oggetti
Fa ch'io m'involi, e fa ch'io possa al fine
Respirar le tranquille aure sabine.

Curzio - Oh come, amata figlia,
Codesta m'innamora
Impazienza tua! Risplende in essa
La sabina virtù. Calmati: io spero
Tornar fra poco a liberarti. Intanto
Il pensier ti consoli
Che tu puoi di te stessa
Compiacerti a ragion. Venga, e da questa
A rispettare ogni altra figlia impari
La patria, il padre; a trionfar de' rischi
Del sesso e dell'età; fra le amorose
Lusinghe insidiose
Libero a conservar del core il regno.
Oh mia speme! oh mia gloria! oh mio sostegno!

Nel pensar che padre io sono
Di tal figlia, avversi dèi,
L'ingiustizie io vi perdono
D'ogni vostra crudeltà.
Frema pur funesto e nero
Il destino a' danni miei;
Sempre l'alma in tal pensiero
La sua calma troverà. (parte)



SCENA III

Ersilia sola.

Ersilia - Dove m'ascondo! Ah! queste
Mal meritate lodi all'alma mia
Son rimproveri acerbi. Ersilia, e soffri
Che un genitore ammiri
La virtù che non hai? che a questo segno
T'applaudisca, t'onori,
T'ami ingannato? E di rossor non mori?
Né tua ragion si scuote
Agli elogi paterni? e a meritarli
Non ti senti valor? L'avrei fuggendo;
Ma di Romolo a fronte,
Oh Dio, non m'assicuro;
Per prova io so quanto il cimento è duro.
Dunque sarà l'amarlo (siede)
Per me necessità? Dunque a me sola
Dell'arbitrio natio sarà dal Cielo
La libertà negata? Ah no! Ripiglia,
Ersilia, il fren de' contumaci affetti,
Che incauta abbandonasti. Una verace
Risoluta virtù non trova impresa
Impossibile a lei. Sì, non pavento
Già qualunque cimento; anzi più grande
Fa più bello il trionfo. I miei fin ora
Mal sofferti deliri ecco abbandono.
Del mio voler signora
Esser degg'io, lo posso, il voglio, e sono.
Dov'è Romolo, Ostilio? (si alza risoluta)



SCENA IV

Ersilia, Ostilio, indi Valeria.

Ostilio - Or dal Senato
Torna a' soggiorni suoi.

Ersilia - Sarà permesso
A me vederlo?

Ostilio - A te! Perdona; è ingrata
La tua dubbiezza.

Ersilia - Io voglio
Seco parlar.

Ostilio - Potrebbe
Forse Roma sperarti
Fausta a' suoi voti, e grata
Romolo all'amor suo?

Ersilia - Non nacque Ersilia
Per Roma, né per lui. Ma se pur vero,
Come asseristi, è che dal mio dipende
Di Romolo il volere, oggi regina
Sarà la tua Valeria.

Ostilio - Ah! dunque...

Ersilia - (a Valeria che esce) - Amica,
Se mi secondan gli astri, un regio serto
Ad apprestarti io vado.

Valeria - A me?

Ersilia - Sì. Mia
Di così bel pensiero
Non è la gloria: al generoso Ostilio
Debitrice ne sono. Egli una degna
Sposa del re di Roma
In te propone; io con ragion l'ammiro,
E ad emularlo ambiziosa aspiro.

Valeria - Grata io vi son; ma voi
Disponete di me, quando non posso
Di me disporre io stessa. Amo, il sapete,
Uno sposo infedele; e in me divenne
L'amor necessità.

Ersilia - Comun pretesto
Dell'altrui debolezza. Eh! miglior uso
Facciam del nostro arbitrio; o almen, se tanto
D'abbandonar ne incresce un laccio amato,
Non accusiam di nostra colpa il fato.

Con le stelle in van s'adira
Chi s'affanna, chi sospira
Volontario prigionier.
Il lagnarsi a lui che giova,
Se non cerca, se non trova
Che ne' lacci il suo piacer? (parte)



SCENA V

Ostilio e Valeria.

Valeria - Io nulla intendo, Ostilio: Ersilia amante
Di Romolo credei: convinta a prova
Or son che m'ingannai. D'aver mi parve
Nel tuo cor qualche parte; or certa io sono
Che solo tu per gioco
M'adulasti fin ora amor fingendo:
Ostilio, lo confesso, io nulla intendo.

Ostilio - Credendo Ersilia amante, io non saprei
Se t'apponesti al ver. So ben ch'io t'amo
Quanto amar mai si possa, e so che amarti
Sempre così vogl'io.

Valeria - Ma tua regina
Come dunque mi brami?

Ostilio - In che s'oppone
Il trono all'amor mio? L'amor ch'io sento,
Di tempra assai diversa
È dall'amor d'ogni volgare amante.
Ammirator costante
Sempre di tua virtù, sempre geloso
Del tuo real decoro,
Sempre t'adorerò, come or t'adoro.

Valeria - Taci, Ostilio, e risparmia
I rimorsi al mio cor d'esserti ingrata.
Qual alma innamorata
Vantar si può di somigliarti? Ah! sappi
Almen ch'io ti conosco, e che, se fosse
Indissolubil meno
Il laccio in cui languisco, il nobil dono
D'un tal core ambirei più che d'un trono.

Ah perché, quando appresi
A sospirar d'amore,
In altro ardor m'accesi,
Non sospirai per te?
Perché d'un primo foco
Sa giudicar sì poco,
Sì mal distingue un core
La fiamma sua qual è? (parte)



SCENA VI

Ostilio solo.

Ostilio - No, lusinga non è: già più che grata
È a me Valeria. Ai dolci suoi pensieri
Già i puri affetti miei non son stranieri.
Oh certezza! oh contento! In sì felici
Trasporti di piacer quest'alma impara
Che in amor non si dà mercé più cara.

Se talun non sa qual sia
Il piacer dell'alma mia,
È ben degno di pietà:
Saran brevi i suoi contenti,
Se a tal segno ignote a lui
Son le limpide sorgenti
Della mia felicità. (parte)



SCENA VII

Gabinetti, viali coperti, ed altri edifici di verdure, tutti imitanti architettura, su la falda del Palatino.

Romolo, poi Acronte.

Romolo - No, d'Ersilia l'affanno
Non è tutto rigor. Vidi in quel volto,
Da quel labbro ascoltai...
Romolo! E come mai
Fra le minacce ostili, in mezzo a tante
Cure d'un nuovo impero ha nel tuo petto
Pur trovato ricetto
L'amor così! Tal debolezza... Ah, sempre
Debolezza non è. Cangia natura
Allor che amor con la ragion congiura.
Quel che ad Ersilia in fronte
Io veggo scintillar de' miei pensieri
Astro regolator, cosa mortale
Certo non è. La sua virtù, l'antico
Splendor degli avi suoi, l'util del regno,
Il voto popolar... Ma quale ascolto
Strepito d'armi! Olà. (verso la scena)

Acronte - No, questo acciaro
Non è facil trofeo. (dentro)

Romolo - Contro un romano
I miei custodi!

Acronte - Avversi dèi! (nell'uscir difendendosi gli cade la spada)

Romolo - Fermate,
Miei fidi. Ah, non si opprima
Chi difesa non ha. Stelle! M'inganno?
Acronte tu non sei?

Acronte - (con alterigia) Lo sono.

Romolo - In Roma!
Ne' miei soggiorni! in finte spoglie! E quale
È il tuo disegno?

Acronte - A te ragion non rendo
Dell'opre mie. (come sopra)

Romolo - Fuor di stagione, Acronte,
Ostenti ardir. Pensa ove sei.

Acronte - Son meco
Sempre, dovunque io sia.

Romolo - Ma il valore è follia,
Prence, nel caso tuo. Parla. Fu il vano
Amor che hai per Ersilia, o fu l'antico
Odio per me, che t'acciecò?

Acronte - Risparmia,
Romolo, le richieste, io qui non venni
Per appagarti. Usa i tuoi dritti. A tutto
Mi troverai determinato e forte.
So qual saria la sorte
Che a te destinerei,
Se fossi tu dove ridotto io sono
Dagli avversi al valor fati inclementi,
E argomento la mia.

Romolo - Male argomenti.
Littori, olà, de' Ceninesi al prence
Il suo ferro si renda. E voi, guerrieri,
Delle romane mura oltre il recinto
Conducetelo illeso.

Acronte - A me la spada!

Romolo - Sì, prendila; e, se puoi, racquista in campo
Ciò che in Roma perdesti.

Acronte - Assai costarti
L'imprudenza potrebbe. Una vendetta
Per fasto trascurar, come tu fai,
Romolo, t'avvedrai
Che da saggio non è.

Romolo - Io vendetta! E di che? Folle, ti scuso;
Amante, ti compiango;
Nemico, non ti curo; e a frodi avvezzo
Se insidiator venisti, io ti disprezzo.

Acronte - Sprezzami pur per ora,
Ostenta pur coraggio;
Presto a cangiar linguaggio
Forse t'insegnerò.
Lontan dal Campidoglio
Vedrem se in campo ancora
M'insulterà l'orgoglio
Che in Roma m'insultò. (parte)



SCENA VIII

Romolo ed Ersilia.

Ersilia - (Eccolo. La vittoria
È tempo di compir). (s'incammina e s'arresta)

Romolo - (Strano portento
Quel coraggio è per me).

Ersilia - (Numi, qual sorte
D'incanto è questo! Appresso a lui di nuovo
Comincio a palpitar).

Romolo - (Come può mai
In un'alma albergar tanto valore
Con sì poca virtù!)

Ersilia - (No, non t'arresti
Questo palpito, Ersilia. In ogni assalto
Al guerrier più sicuro
Sembra il passo primier sempre il più duro). (s'avanza con franchezza)
Signor, per brevi istanti
Chiedo che tu m'ascolti.

Romolo - È ver? Non sogno?
La dolce cura mia,
L'unico mio pensier, la bella Ersilia
Viene in traccia di me!

Ersilia - (seria) - Dunque ascoltarmi,
Romolo, tu non vuoi?

Romolo - Perché?

Ersilia - (come sopra) - Lo sai,
Quel linguaggio m'offende.

Romolo - A mio dispetto
Vien su le labbra il cor.

Ersilia - Se vuoi ch'io resti,
Non far uso di questi
Teneri accenti, e non dir mai che m'ami.

Romolo - (E pur non m'odia). Ubbidirò. Che brami?

Ersilia - Ad implorare io vengo
Grazie da te.

Romolo - Tu da me grazie! Ah! dunque
Ignori ancor che dal felice istante
Che prima io t'ammirai, l'impero avesti
Del mio cor, del mio soglio,
Di tutti... Ah! no; disubbidir non voglio.

Ersilia - (Costanza, Ersilia. A lui
Si proponga Valeria).

Romolo - E ben, che chiedi?

Ersilia - Che di mia mano accetti,
Romolo, un'altra sposa.

Romolo - (con sorpresa) - Io!

Ersilia - Sì. L'amica
Valeria io t'offro.

Romolo - A me? (turbato)

Ersilia - Valeria è degna,
Il sai, d'essere amata.

Romolo - E a questo segno, ingrata, (con passione di sdegno e di tenerezza)
Insulti all'amor mio! Questa mercede
Meritò la mia fede, il mio rispetto,
Il mio candor, la mia costanza! E come.
Lacerar puoi così, barbara, un core
Dove impressa tu sei, dove tu sempre,
Così barbara ancor, sarai regina?

Ersilia - (Ah, non lasciarmi, austerità sabina!)

Romolo - Offrirmi un'altra sposa! E non bastava
Per opprimermi, oh dèi! la tua freddezza,
L'indifferenza tua? Schernirmi ancora!
Disprezzarmi così! Ridurre a questo
Eccesso di tormento
Chi non vive che in te!

Ersilia - (Morir mi sento).

Romolo - Semplice! ed io pur dianzi
Dell'amor tuo mi lusingai. Quei detti
Tronchi e confusi, il variar d'aspetto,
L'involontario pianto,
Tutto mi parve un amoroso affanno.
Che inganno, Ersilia! (con tenerezza)

Ersilia - (come sopra) - Ah, non è stato inganno!

Romolo - Come! non m'ingannai? (con sorpresa di piacere)

Ersilia - (Numi, che dissi mai!)

Romolo - (con impeto d'affetto) - Bella mia fiamma,
Dunque è ver, dunque m'ami?

Ersilia - Taci; non trionfar.

Romolo - Ma come, amante,
Potesti offrirmi un'altra sposa?

Ersilia - Oh Dio,
Non trafiggermi più. Se tu vedermi
Potessi il cor; se tu saper potessi
Quanto han costato a lui
Le mendicate offerte, armi impotenti
Del mio rigor, che tu credesti oltraggi;
Se a spiegarti io giungessi
Dell'alma mia qual barbaro governo
Faccia l'impeto alterno
De' contrari fra loro affetti miei;
Romolo, io ti farei
Meraviglia e pietà.

Romolo - Dimmi piuttosto
Tenerezza ed amor. Chi fra' mortali
Ha mai provato un tal contento! È mia
L'adorabile Ersilia: ecco il ridente
Astro del nuovo impero;
Ecco Roma felice.

Ersilia - Ah, non è vero!
È speranza infedel; mal ti consiglia;
Tua non sarò.

Romolo - Ma perché mai?

Ersilia - Son figlia.

Basta così, vincesti;
Ceduto ha il mio rigore;
Tutto il mio cor vedesti:
Non dimandar di più.
Nel suo dover costante
Sempre sarà quest'alma,
Benché a celar bastante
Gli affetti suoi non fu. (parte)



SCENA IX

Romolo, indi Ostilio.

Romolo - Ah! non è dubbio il mio trionfo; ho vinto
L'austero cor d'Ersilia. Il genitore,
Sol che al fin si rinvenga,
Resister non potrà. Preghiere, offerte,
Nulla fia ch'io risparmi
Per ottener da lui...

Ostilio - (con premura) Romolo, all'armi.

Romolo - Che fu?

Ostilio - Roma è in periglio. Ingrato Acronte
A' benefìci tuoi, libero a pena,
D'assalirla minaccia.

Romolo - E con quai schiere?

Ostilio - Co' Ceninesi suoi. Già in vari agguati
Pronti gli avea; che ad un suo cenno io vidi
Popolar di guerrieri
La vicina campagna, inaspettati
Balenar mille acciari, e cento e cento
Improvvise bandiere aprirsi al vento.

Romolo - Mal preparati il folle
Sorprenderne sperò. Lo disinganni
Il suo castigo. (in atto di partire)

Ostilio - Al fianco tuo... (volendolo seguire)

Romolo - No, resta.
Roma io confido a te. Veglia in difesa
Della patria e d'Ersilia. Il fraudolento
Potria, chi sa, qui aver lasciata alcuna
Non ancor eseguita insidia ascosa.
Va, non tardar.

Ostilio - Su la mia fé riposa. (parte)

Romolo - Grazie, o nume dell'armi,
Grazie, o madre d'Amor, del sangue mio
Immortali sorgenti.
Vostro de' miei contenti, e vostro è il dono
Dell'ardir ch'io mi sento. In ogni impresa
Vicino a voi mi trovo; e a voi vicino
È piano alla mia gloria ogni cammino.

Con gli amorosi mirti
Fra i bellici sudori
I marziali allori
Ad intrecciare io vo.
E corrisposto amante,
E vincitor guerriero,
Di due trionfi altero,
A Roma io tornerò. (parte)



ATTO TERZO

SCENA I

Sito angusto negli orti palatini, ristretto fra scoscesi ed elevati sassi, bagnato da un'acqua cadente, e soltanto illuminato dall'alto, quanto permettono le frondose piante che gli sovrastano.

Curzio frettoloso, poi Ersilia.

Curzio - Dove mai rinvenirla? Il destro istante
Trascurar non vorrei. M'offre la sorte…
Eccola. Amata figlia,
Rendi grazie agli dèi; partir possiamo:
Giunse il tempo opportuno.

Ersilia - Ah! tu non sai,
Che accesa è già del Palatino a tergo
Fra le romane e ceninesi squadre
Atroce pugna. Ingombri
Son da quel lato i campi
Tutti d'armi e d'armati; e di Sabina
Interrotta è ogni via.

Curzio - Non tutte.

Ersilia - Io stessa,
Non dubitarne, o genitor, dall'alto
Del mio soggiorno ho le feroci schiere
Già veduto assalirsi; e dal funesto
Spettacolo fuggendo...

Curzio - Appunto all'opra
Questo, che credi inciampo,
Agevola il cammin. Tutta or s'affretta
Al minacciato colle
Roma in tumulto; e dall'opposta parte
È deserto il Tarpeo. Di questo, il sai,
Il Tebro scorre alle radici; e, mentre
Si pugna in un, noi dal contrario lato
Il fiume varcherem. Su l'altra sponda
Siam nell'Etruria amica: e quindi è franco
Alla patria il ritorno.

Ersilia - Eccomi dunque
Pronta a seguirti.

Curzio - No: questa ti lascio
Scorta fedel; seco t'invia. Raccolti
Gli occulti miei seguaci, io sul cammino
Vi giungerò. Nulla a' disegni nostri,
Nulla si oppon. Già in occidente, il vedi,
Rosseggia il sole: inosservati insieme
Potrem di Roma uscir sicuri. E un legno
Ne attende poi là dove bagna il fiume
La porta Carmental.

Ersilia - (Crudel partenza!)

Curzio - Palpiti ancora? Eh, non temer; ti fida,
Ersilia, a me: tutto io pensai; son tutti
Gli ostacoli rimossi. Il suo sereno
Rendi a quell'alma oppressa:
Puoi respirar; la libertà s'appressa.

Respira al solo aspetto
Del porto, che lasciò,
Chi al porto non sperò
Di far ritorno.
A tutti è dolce oggetto,
Dopo il notturno orror,
Quel raggio precursor
Che annuncia il giorno. (parte)



SCENA II

Ersilia, poi Valeria.

Ersilia - Oh Tebro, oh Roma, oh care sponde, a cui
I miei primi ho fidati
Amorosi sospiri, io vi abbandono;
Ma la maggior vi lascio
Parte del core. Oh, quante volte al labbro
Mi torneranno i vostri nomi! Oh, quante
Su gli amati sentieri
Verran di questi colli i miei pensieri!
Misera me! Nessuno ha mai provato
Del mio stato più fiero,
Più maligno destin... No, non è vero:
Io Romolo conobbi; e ognun, cui tanta
Sorte ha negata il Ciel, stato più rio,
Più maligno destin soffre del mio.
Saper potessi almeno,
Pria di partir... Valeria, ah del conflitto
Se pur sai le vicende,
Non lasciar ch'io le ignori.

Valeria - Il conflitto finì.

Ersilia - Chi vinse?

Valeria - Avea
Romolo già la palma.

Ersilia - Ed ora?

Valeria - Ed ora
Non si sa chi otterrà l'ultime lodi.

Ersilia - Io nulla intendo.

Valeria - Intenderai, se m'odi.

Ersilia - Parla.

Valeria - Già della pugna
Deciso era il destin; già in ogni lato
Rotti i nemici alle romane spade
Più non offriano il petto; e il lor mostrando
Perduto ardire a mille segni espressi,
Cadean fuggendo ed opprimean se stessi:
Quando le furie sue portando in fronte
Il disperato Acronte,
Tra i feriti destrieri,
Tra i cadenti guerrieri,
Urtando i fuggitivi,
Calcando i semivivi,
Sforza gl'inciampi, apre le vie, da lungi
Chiama Romolo a nome, il giunge, e sfida
Con insano ardimento
Il vincitore a singolar cimento.

Ersilia - Oh temerario!

Valeria - Il nostro eroe, sdegnando
Ogni vantaggio, ad un girar di ciglio
Fece l'armi cessar; fe' vuoto intorno
Largo campo lasciarsi; e solo e senza
Cambiar di volto, al Ceninese ardito
Si fece incontro ed accettò l'invito.

Ersilia - Ma poi?

Valeria - Non so: quando partì dal campo
Chi mi narrò ciò ch'io t'esposi, ancora
Il pregio della pugna era indistinto.



SCENA III

Ostilio e detti.

Ostilio - Più indistinto non è: Romolo ha vinto.

Ersilia - Ed è vero?

Ostilio - Il vedrai
Tu stessa or ora al re de' numi in voto
Le prime spoglie opime
Trionfante portar.

Valeria - Le spoglie! Ah! dunque
Acronte...

Ostilio - Acronte a prova
Mostrò di quanto alla virtude e all'arte
L'impeto ceda ed il furor. Di sangue
Avido sol, senza curar difese
Ei s'affretta a ferir: l'altro prudente
Veglia solo ai ripari, e lascia al folle
La libertà d'indebolirsi. Ansante
Il vede al fin men violenti i colpi
E più rari vibrar. Lo stringe, il preme,
L'incalza allor. Quei nol sostien, vacilla,
S'arretra, inciampa, e nel cader supino
Perde l'acciaro. Il vincitor sereno
Corre a lui, lo solleva,
Gli rende il ferro.

Ersilia - Oh grande!

Ostilio - E già volea
Stringerlo amico al sen, quando s'avvide
Che il traditor furtivo
Tenta ferirlo. Acceso
Di sdegno allor, terribile si scaglia
Sopra il fellone, e con l'invitto acciaro
Di quell'ingrato sangue ancor non tinto,
Gli passa il petto e lo rovescia estinto.

Valeria - Chi mi soccorre! Io moro. (s'abbandona sopra un sasso)

Ersilia - Or di costanza,
Valeria, è tempo. Un tale affanno... (Oh Dio,
M'attende il genitor!) D'una infelice
Deh, prendi cura, Ostilio: abbia l'amica
Del tuo amor generoso un nuovo pegno;
Questo di te pietoso ufficio è degno.

Perdono al primo eccesso
Del suo dolor concedi:
Tu intendi amor, tu vedi
Che merita pietà.
Se un dì sperar sereno
A lei non fu permesso,
Abbia del pianto almeno
L'amara libertà. (parte)



SCENA IV

Valeria ed Ostilio.

Ostilio - Adorata Valeria,
Soffri ch'io lo confessi, invidio il fato
Di chi l'omaggio ottiene
Di lagrime sì belle.

Valeria - Ostilio, ah parti!
Un di mia debolezza
Spettator, qual tu sei,
Mi fa troppo arrossir.

Ostilio - Sono i tuoi cenni
Leggi per me. Ma sappi
Che il tuo dolore io non condanno; e, forse,
S'io ti scoprissi in seno
Più duro il cor, mi piaceresti meno.

Fra quelle tenere
Dolenti stille,
Che i raggi adombrano
Di tue pupille,
Traluce il merito
Del tuo bel cor.
E quel vezzoso
Volto pietoso
Si fa più amabile
Nel suo dolor. (parte)



SCENA V

Valeria sola.

Valeria - Per chi piangi, o Valeria? Ah, questo pianto
Partecipe ti rende (si leva)
Dell'altrui reità! Rammenta al fine
D'Acronte i falli, i torti tuoi. Risveglia
La tua virtù, scordati un empio... Oh Dio!
Sparger così d'oblio
L'ardor che un'alma ha per gran tempo accesa,
È difficile, è dura, è lunga impresa.

Un istante al cor talora
Basta sol per farsi amante;
Ma non basta un solo istante
Per uscir di servitù.
L'augellin dal visco uscito
Sente il visco fra le piume;
Sente i lacci del costume
Una languida virtù. (parte)



SCENA VI

Luogo spazioso alle radici del colle Palatino già ornato per festeggiare le seguìte nozze con le donzelle sabine; donde per magnifica scala si ascende alla reggia di Romolo situata sul colle suddetto.

La scena è tutta ingombrata di numeroso popolo accorso al ritorno del vincitore. Fra lo strepito de' pubblici applausi si avanza Romolo coronato d'alloro, preceduto da' littori, da' prigionieri sabini, dalle spoglie opime del vinto Acronte, e seguìto dal trionfante esercito vittorioso.
Romolo, indi Valeria frettolosa
.

Coro - Serbate, o numi,
L'eroe che regna
E l'arte insegna
Di trionfar.
Crescan gli allori
Per le sue chiome;
Ne adori il nome
La terra e il mar.

Romolo - Il tenor de' fati intendi,
E vincendo, o Roma, apprendi
Qual d'onor ne' dì futuri
È la via che déi calcar.
Sé facondo altri rischiari,
Gli astri annunzi, il ciel descriva,
Per lui spiri il bronzo e viva;
Giunga i marmi ad animar.
È il tenor de' fati amici
Che a dar leggi il Tebro impari,
I sommessi a far felici,
I superbi a debellar.

Coro - Serbate, o numi,
L'eroe che regna
E l'arte insegna
Di trionfar.

Romolo - Il tenor de' fati intendi,
E vincendo, o Roma, apprendi...

Valeria - Al riparo, signor. La tua presenza
È necessaria: abbiam nemici in Roma.

Romolo - Nemici in Roma!

Valeria - Sì.

Romolo - Dove?

Valeria - Là, verso
La porta Carmental, già tutto è in armi.
Altri accorre, altri fugge, e si dilata
A momenti il tumulto.

Romolo - Seguitemi, o Romani.



SCENA VII

Ostilio e detti.

Ostilio - È tutto in calma:
Risparmia a maggior uopo,
Romolo, il tuo valor.

Romolo - Ma qual cagione...

Ostilio - Il crederesti? Ersilia
V'è chi tentò rapir.

Romolo - Come dal chiuso
Recinto cittadin sperar potea
D'uscir sicuro il rapitor?

Ostilio - Già innanzi
Delle porte i custodi
Certo sedotti avea; ma non deluse
La mia cura però; che per mio cenno
Si alternavan sovente, onde gli stessi
Non eran mai. Con la sua preda ei venne,
Trovò difeso il passo,
Tentò la forza; il suo
Seguace stuol, benché ostinato e fiero,
Tutto estinto rimase, ei prigioniero.

Valeria - Oh ardire!

Romolo - E intanto Ersilia?

Ostilio - Ersilia intanto
Palpitante e smarrita...



SCENA VIII

Ersilia e detti.

Ersilia - Ah Romolo, pietà, clemenza, aita! (vuole inginocchiarsi)

Romolo - Principessa, ah, che fai? Sorgi: che temi?
Qui sicura già sei.

Ersilia - Salvami il padre
Da' militari insulti,
Dall'ira popolare.

Romolo - Il padre!

Ostilio - Ah! quello
Forse che te per man traeva, e ch'io
Ammirai nella pugna...

Ersilia - È il padre mio.

Romolo - Di lui che avvenne?

Ostilio - È prigionier, ma salvo.
Serbarti alcuno, onde ritrarre il vero,
Credei prudente; ed esigea rispetto
La sua presenza, il suo valor.

Romolo - Ma dove
Il prence or si trattiene?

Ostilio - Fra' custodi il lasciai.

Romolo - Deh, venga!

Ostilio - Ei viene.



SCENA ULTIMA

Curzio fra le guardie, e detti.

Romolo - Principe valoroso, e non avranno
Mai fin gli sdegni nostri? I nostri ognora
Vicendevoli insulti
Divideran due popoli guerrieri,
Nati la terra a dominar? Deh, cessi
L'odio una volta! Al generoso fianco
Torni l'invitto acciar. Libero sei.
Niuna sopra di te ragion mi resta.

Curzio - (Qual mai favella inaspettata è questa!)

Romolo - Non mi rispondi, o prence?

Ersilia - (Implacabile è il padre).

Romolo - Ah, già che puoi
Render altri felice,
D'un sì bel don che a te concede il Cielo
L'uso non trascurar; io, se la mano
D'Ersilia a me consenti,
Lo sarò tua mercé. Tutto poi chiedi
Da un grato cor; detta tu stesso i patti
Della nostra amistà. Curzio prescriva,
Curzio l'arbitro sia del mio destino.

Curzio - (Perché Romolo, o dèi, non è sabino!)

Ersilia - (Ah, tace ognor!)

Romolo - Tu parla, Ersilia.

Ersilia - Oh Dio!
Che posso dir? Son figlia;
Intendo il padre; e l'ubbidir, lo sai,
È il mio primo dover.

Romolo - Dunque decisa
È la mia sorte. Il suo tacer si spiega
Non men che il tuo parlar. Curzio, ah! pur troppo
Veggo che a debellar la tua costanza
M'affanno in van. Ma già che te non posso,
Me stesso io vincerò. Va; la tua figlia
Libero riconduci al suol natio.

Curzio - A me tu rendi Ersilia!

Romolo - A te.

Curzio - Che intendo!

Romolo - E amante e amato e vincitor la rendo.

Curzio - (Oh, virtù più che umana!)

Romolo - Addio, mia sola,
Addio, bella mia fiamma. Il Ciel ti serbi
Sempre qual sei d'un genitor sì grande,
Del tuo sesso all'onore,
Al mio rispetto ed all'esempio altrui.

Ersilia - (Morir mi sento).

Curzio - (E come odiar costui?)

Romolo - Parla, guardami, o prence,
Almen pria di partir. Deh, parti amico,
Già che padre non vuoi! L'antico almeno
Natio rancore in qualche parte estinto...

Curzio - Ah! figlio, ah! basta: eccoti Ersilia: hai vinto.

Romolo - È sogno!

Ersilia - È ver!

Curzio - Non ho di sasso al fine
In petto il cor. V'è chi conoscer possa
Romolo, e non amarlo? Amalo, o figlia;
Anch'io l'amo, l'adoro, e al Ciel son grato,
Che a sì bel dì mi conservò pietoso.

Romolo - Oh Roma fortunata!

Ersilia - Oh padre! oh sposo!

Coro - Numi, che intenti siete
Gli eventi a regolar,
Le sorti a dispensar
Fosche o serene,
Soavi i dì rendete
Di coppia sì fedel,
Già che formaste in Ciel
Le lor catene.



EDIZIONE DI RIFERIMENTO: "Tutte le opere - Pietro Metastasio", a cura di B. Brunelli, Mondadori, Milano, 1953







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