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ilmetastasio testo integrale brano completo citazione delle fonti commedie opere storiche opere teatrali in prosa e in versi, operaomnia #
Dramma rappresentato con musica del Caldara la prima volta in Vienna nel Gran teatro della corte il dì 4 novembre 1734.
PERSONAGGI
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TITO VESPASIANO imperator di Roma. |
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VITELLIA figlia dell'imperator Vitellio. |
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SERVILIA sorella di Sesto, amante di Annio. |
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SESTO amico di Tito, amante di Vitellia. |
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ANNIO amico di Sesto, amante di Servilia. |
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PUBLIO prefetto del pretorio. |
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SENATORI E POPOLO |
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La scena è in Roma.
ATTO PRIMO
SCENA I
Logge a vista del Tevere negli appartamenti di Vitellia.
Vitellia e Sesto.
Vitellia - Ma che! sempre l'istesso, Sesto, a dir mi verrai? So che sedotto Fu Lentulo da te; che i suoi seguaci Son pronti già; che il Campidoglio acceso Darà moto a un tumulto, e sarà il segno Onde possiate uniti Tito assalir; che i congiurati avranno Vermiglio nastro al destro braccio appeso, Per conoscersi insieme. Io tutto questo Già mille volte udii: la mia vendetta Mai non veggo però. S'aspetta forse Che Tito a Berenice in faccia mia Offra, d'amore insano, L'usurpato mio soglio e la sua mano? Parla! di'! che s'attende?
Sesto - Oh Dio!
Vitellia - Sospiri? Intenderti vorrei. Pronto all'impresa Sempre parti da me; sempre ritorni Confuso, irresoluto. Onde in te nasce Questa vicenda eterna D'ardire e di viltà?
Sesto - Vitellia, ascolta: Ecco, io t'apro il mio cor. Quando mi trovo Presente a te, non so pensar, non posso Voler che a voglia tua; rapir mi sento Tutto nel tuo furor; fremo a' tuoi torti; Tito mi sembra reo di mille morti. Quando a lui son presente, Tito, non ti sdegnar, parmi innocente.
Vitellia - Dunque...
Sesto - Pria di sgridarmi, Ch'io ti spieghi il mio stato almen concedi. Tu vendetta mi chiedi; Tito vuol fedeltà. Tu di tua mano Con l'offerta mi sproni; ei mi raffrena Co' benefizi suoi. Per te l'amore, Per lui parla il dover. Se a te ritorno, Sempre ti trovo in volto Qualche nuova beltà; se torno a lui, Sempre gli scopro in seno Qualche nuova virtù. Vorrei servirti; Tradirlo non vorrei. Viver non posso, Se ti perdo, mia vita; e, se t'acquisto, Vengo in odio a me stesso. Questo è lo stato mio: sgridami adesso.
Vitellia - No, non meriti, ingrato! L'onor dell'ire mie.
Sesto - Pensaci, o cara, Pensaci meglio. Ah! non togliamo, in Tito, La sua delizia al mondo, il padre a Roma, L'amico a noi. Fra le memorie antiche Trova l'egual, se puoi. Fingiti in mente Eroe più generoso o più clemente. Parlagli di premiar: poveri a lui Sembran gli erari sui. Parlagli di punir: scuse al delitto Cerca in ognun. Chi all'inesperta ei dona, Chi alla canuta età. Risparmia in uno L'onor del sangue illustre; il basso stato Compatisce nell'altro. Inutil chiama, Perduto il giorno ei dice, In cui fatto non ha qualcun felice.
Vitellia - Ma regna.
Sesto - Ei regna, è ver; ma vuol da noi Sol tanta servitù quanto impedisca Di perir la licenza. Ei regna, è vero; Ma di sì vasto impero, Tolto l'alloro e l'ostro, Suo tutto il peso, e tutto il frutto è nostro.
Vitellia - Dunque a vantarmi in faccia Venisti il mio nemico; e più non pensi Che questo eroe clemente un soglio usurpa Dal suo tolto al mio padre? Che m'ingannò, che mi ridusse (e questo È il suo fallo maggior) quasi ad amarlo? E poi, perfido! e poi di nuovo al Tebro Richiamar Berenice! Una rivale Avesse scelta almeno Degna di me fra le beltà di Roma: Ma una barbara, o Sesto, Un'esule antepormi! una regina!
Sesto - Sai pur che Berenice Volontaria tornò.
Vitellia - Narra a' fanciulli Codeste fole. Io so gli antichi amori; So le lagrime sparse allor che quindi L'altra volta partì; so come adesso L'accolse e l'onorò. Chi non lo vede? Il perfido l'adora.
Sesto - Ah! principessa, Tu sei gelosa.
Vitellia - Io!
Sesto - Sì.
Vitellia - Gelosa io sono, Se non soffro un disprezzo?
Sesto - E pure...
Vitellia - E pure Non hai cor d'acquistarmi.
Sesto - Io son...
Vitellia - Tu sei Sciolto d'ogni promessa. A me non manca Più degno esecutor dell'odio mio.
Sesto - Sentimi!
Vitellia - Intesi assai.
Sesto - Fermati!
Vitellia - Addio.
Sesto - Ah, Vitellia! ah, mio nume! Non partir. Dove vai? Perdonami, ti credo: io m'ingannai. Tutto, tutto farò. Prescrivi, imponi, Regola i moti miei: Tu la mia sorte, il mio destin tu sei.
Vitellia - Prima che il sol tramonti, Voglio Tito svenato, e voglio...
SCENA II
Annio, e detti.
Annio - Amico, Cesare a sé ti chiama.
Vitellia - Ah! non perdete Questi brevi momenti. A Berenice Tito gli usurpa.
Annio - Ingiustamente oltraggi, Vitellia, il nostro eroe: Tito ha l'impero E del mondo e di sé. Già per suo cenno Berenice partì.
Sesto - Come!
Vitellia - Che dici!
Annio - Voi stupite a ragion. Roma ne piange Di meraviglia e di piacere. Io stesso Quasi nol credo; ed io Fui presente, o Vitellia, al grande addio.
Vitellia - (Oh speranze!)
Sesto - Oh virtù!
Vitellia - Quella superba Oh, come volentieri udita avrei Esclamar contro Tito!
Annio - Anzi giammai Più tenera non fu. Partì; ma vide Che adorata partiva, e che al suo caro Men che a lei non costava il colpo amaro.
Vitellia - Ognun può lusingarsi.
Annio - Eh! si conobbe Che bisognava a Tito Tutto l'eroe per superar l'amante. Vinse, ma combatté. Non era oppresso, Ma tranquillo non era; ed in quel volto, Dicasi per sua gloria, Si vedea la battaglia e la vittoria.
Vitellia - (E pur forse con me, quanto credei, Tito ingrato non è). (a parte a Sesto) Sesto, sospendi D'eseguire i miei cenni. Il colpo ancora Non è maturo.
Sesto - (con isdegno) E tu non vuoi ch'io vegga... Ch'io mi lagni, o crudele...
Vitellia - (con isdegno) Or che vedesti? Di che ti puoi lagnar?
Sesto - (con sommissione) Di nulla. (Oh Dio! Chi provò mai tormento eguale al mio?)
Vitellia - Deh! se piacer mi vuoi, Lascia i sospetti tuoi; Non mi stancar con questo Molesto dubitar. Chi ciecamente crede, Impegna a serbar fede; Chi sempre inganni aspetta, Alletta ad ingannar. (parte)
SCENA III
Sesto ed Annio.
Annio - Amico, ecco il momento Di rendermi felice. All'amor mio Servilia promettesti. Altro non manca Che d'Augusto l'assenso. Ora da lui Impetrar lo potresti.
Sesto - Ogni tua brama, Annio, m'è legge. Impaziente anch'io Son che alla nostra antica E tenera amicizia aggiunga il sangue Un vincolo novello.
Annio - Io non ho pace Senza la tua germana.
Sesto - E chi potrebbe Rapirtene l'acquisto? Ella t'adora; Io sino al giorno estremo Sarò tuo; Tito è giusto.
Annio - Il so, ma temo. Io sento che in petto Mi palpita il core, Né so qual sospetto Mi faccia temer. Se dubbio è il contento, Diventa in amore Sicuro tormento L'incerto piacer. (parte)
SCENA IV
Sesto.
Sesto - Numi, assistenza! A poco a poco io perdo L'arbitrio di me stesso. Altro non odo Che il mio funesto amor. Vitellia ha in fronte Un astro che governa il mio destino. La superba lo sa, ne abusa; ed io Né pure oso lagnarmi. Oh sovrumano Poter della beltà! Voi, che dal Cielo Tal dono aveste, ah! non prendete esempio Dalla tiranna mia. Regnate, è giusto; Ma non così severo, Ma non sia così duro il vostro impero.
Opprimete i contumaci; Son gli sdegni allor permessi: Ma infierir contro gli oppressi! Questo è un barbaro piacer. Non v'è Trace in mezzo a' Traci Sì crudel, che non risparmi Quel meschin che getta l'armi, Che si rende prigionier. (parte)
SCENA V
Innanzi, atrio del tempio di Giove Statore, luogo già celebre per le adunanze del Senato; indietro, parte del Foro romano, magnificamente adornato d'archi, obelischi e trofei; da' lati, veduta in lontano deI monte Palatino e d'un gran tratto della via Sacra; in faccia, aspetto esteriore del Campidoglio e magnifica strada per cui vi si ascende.
Nell'atrio suddetto saranno Publio, i senatori romani e i legati delle province soggette, destinati a presentare al Senato gli annui imposti tributi. Mentre Tito, preceduto da' littori, seguìto da' pretoriani, accompagnato da Sesto e da Annio, e circondato da numeroso popolo, scende dal Campidoglio, cantasi il seguente Coro:
CORO
Serbate, o dèi custodi
Della romana sorte,
In Tito, il giusto, il forte,
L'onor di nostra età.
Voi gi'immortali allori
Su la cesarea chioma,
Voi custodite a Roma
La sua felicità.
Fu vostro un sì gran dono;
Sia lungo il dono vostro;
L'invidii al mondo nostro
Il mondo che verrà.
(sulla fine del coro suddetto giunge Tito nell'atrio, e nel tempo medesimo Annio e Sesto da diverse parti)
Publio - Te della patria il padre (a Tito) Oggi appella il Senato; e mai più giusto Non fu ne' suoi decreti, o invitto Augusto.
Annio - Né padre sol, ma sei Suo nume tutelar. Più che mortale Giacché altrui ti dimostri, a' voti altrui Comincia ad avvezzarti. Eccelso tempio Ti destina il Senato; e là si vuole Che fra divini onori Anche il nume di Tito il Tebro adori.
Publio - Quei tesori che vedi, Delle serve province annui tributi, All'opra consacriam. Tito non sdegni Questi del nostro amor pubblici segni.
Tito - Romani, unico oggetto È dei voti di Tito il vostro amore; Ma il vostro amor non passi Tanto i confini suoi, Che debbano arrossirne e Tito e voi. Più tenero, più caro Nome che quel di padre Per me non v'è; ma meritarlo io voglio, Ottenerlo non curo. I sommi dèi, Quanto imitar mi piace, Aborrisco emular. Li perde amici Chi li vanta compagni: e non si trova Follia la più fatale Che potersi scordar d'esser mortale. Quegli offerti tesori Non ricuso però: cambiarne solo L'uso pretendo. Udite. Oltre l'usato Terribile il Vesevo ardenti fiumi Dalle fauci eruttò; scosse le rupi, Riempié di ruine I campi intorno e le città vicine. Le desolate genti Fuggendo van; ma la miseria opprime Quei che al fuoco avanzar. Serva quell'oro Di tanti afflitti a riparar lo scempio. Questo, o Romani, è fabbricarmi il tempio.
Annio - Oh vero eroe!
Publio - Quanto di te minori Tutti i premi son mai, tutte le lodi
CORO
Serbate, o dèi custodi Della romana sorte,
In Tito, il giusto, il forte,
L'onor di nostra età.
Tito - Basta, basta, o Quiriti. Sesto a me s'avvicini; Annio non parta; Ogni altro si allontani. (si ritirano tutti fuori dell'atrio, e vi rimangono Tito, Sesto ed Annio)
Annio - (Adesso, o Sesto, Parla per me).
Sesto - Come, signor, potesti La tua bella regina...
Tito - Ah, Sesto, amico, Che terribil momento! Io non credei... Basta, ho vinto: partì. Grazie agli dèi! Giusto è ch'io pensi adesso A compir la vittoria. Il più si fece: Facciasi il meno.
Sesto - E che più resta?
Tito - A Roma Toglier ogni sospetto Di vederla mia sposa.
Sesto - Assai lo toglie La sua partenza.
Tito - Un'altra volta ancora Partissi e ritornò. Del terzo incontro Dubitar si potrebbe; e, fin che vuoto Il mio talamo sia d'altra consorte, Chi sa gli affetti miei Sempre dirà ch'io lo conservo a lei. Il nome di regina Troppo Roma aborrisce. Una sua figlia Vuol veder sul mio soglio; E appagarla convien. Giacché l'amore Scelse in vano i miei lacci, io vuo' che almeno L'amicizia or gli scelga. Al tuo s'unisca, Sesto, il cesareo sangue. Oggi mia sposa Sarà la tua germana.
Sesto - Servilia?
Tito - Appunto.
Annio - (Oh me infelice!)
Sesto - (Oh dèi! Annio è perduto).
Tito - Udisti? Che dici? Non rispondi?
Sesto - E chi potrebbe Risponderti, o signor? M'opprime a segno La tua bontà, che non ho cor... Vorrei...
Annio - (Sesto è in pena per me).
Tito - Spiegati. Io tutto Farò per tuo vantaggio.
Sesto - (Ah! si serva l'amico).
Annio - (Annio, coraggio!)
Sesto - Tito!... (risoluto)
Annio - (risoluto) Augusto, io conosco Di Sesto il cor. Fin dalla cuna insieme Tenero amor ne stringe. Ei, di se stesso Modesto estimator, teme che sembri Sproporzionato il dono; e non s'avvede Ch'ogni distanza eguaglia D'un Cesare il favor. Ma tu consiglio Da lui prender non déi. Come potresti Sposa elegger più degna Dell'impero e di te? Virtù, bellezza, Tutto è in Servilia. Io le conobbi in volto Ch'era nata a regnar. De' miei presagi L'adempimento è questo.
Sesto - (Annio parla così! Sogno o son desto?)
Tito - E ben! recane a lei, Annio, tu la novella; e tu mi siegui, Amato Sesto, e queste Tue dubbiezze deponi. Avrai tal parte Tu ancor nel soglio, e tanto T'innalzerò, che resterà ben poco Dello spazio infinito, Che frapposer gli dèi fra Sesto e Tito.
Sesto - Questo è troppo, o signor. Modera almeno, Se ingrati non ci vuoi, Modera, Augusto, i benefizi tuoi.
Tito - Ma che! se mi negate Che benefico io sia, che mi lasciate?
Del più sublime soglio L'unico frutto è questo: Tutto è tormento il resto, E tutto è servitù. Che avrei, se ancor perdessi Le sole ore felici Che ho nel giovar gli oppressi, Nel sollevar gli amici, Nel dispensar tesori Al merto e alla virtù? (parte)
SCENA VI
Annio, poi Servilia.
Annio - Non ci pentiam. D'un generoso amante Era questo il dover. Se a lei che adoro, Per non esserne privo, Tolto l'impero avessi, amato avrei Il mio piacer, non lei. Mio cor, deponi Le tenerezze antiche. È tua sovrana Chi fu l'idolo tuo. Cambiar conviene In rispetto l'amore. Eccola. Oh dèi! Mai non parve sì bella agli occhi miei.
Servilia - Mio ben...
Annio - Taci, Servilia. Ora è delitto Il chiamarmi così.
Servilia - Perché?
Annio - Ti scelse Cesare (che martìr!) per sua consorte. A te (morir mi sento!), a te m'impose Di recarne l'avviso (oh pena!), ed io... Io fui... (parlar non posso)... Augusta, addio!
Servilia - Come! Fermati! Io sposa Di Cesare! E perché?
Annio - Perché non trova Beltà, virtù che sia Più degna d'un impero, anima... Oh stelle! Che dirò? Lascia, Augusta, Deh! lasciami partir.
Servilia - Così confusa Abbandonar mi vuoi? Spiegati, dimmi: Come fu? per qual via?...
Annio - Mi perdo s'io non parto, anima mia.
Ah! perdona al primo affetto Questo accento sconsigliato: Colpa fu del labbro, usato A chiamarti ognor così. Mi fidai del mio rispetto, Che vegliava in guardia al core; Ma il rispetto dall'amore Fu sedotto e mi tradì. (parte)
SCENA VII
Servilia.
Servilia - Io consorte d'Augusto! In un istante Io cambiar di catene! Io tanto amore Dovrei porre in oblio! No, sì gran prezzo Non val per me l'impero. Annio, non lo temer; non sarà vero.
Amo te solo; Te solo amai: Tu fosti il primo; Tu pur sarai L'ultimo oggetto Che adorerò. Quando sincero Nasce in un core, Ne ottien l'impero, Mai più non muore Quel primo affetto Che si provò. (parte)
SCENA VIII
Ritiro delizioso nel soggiorno imperiale sul colle Palatino.
Tito e Publio con un foglio.
Tito - Che mi rechi in quel foglio?
Publio - I nomi ei chiude De' rei che osar con temerari accenti De' Cesari già spenti La memoria oltraggiar.
Tito - Barbara inchiesta, Che agli estinti non giova e somministra Mille strade alla frode D'insidiar gl'innocenti! Io da quest'ora Ne abolisco il costume; e, perché sia In avvenir la frode altrui delusa, Nelle pene de' rei cada chi accusa.
Publio - Giustizia è pur...
Tito - Se la giustizia usasse Di tutto il suo rigor, sarebbe presto Un deserto la terra. Ove si trova Chi una colpa non abbia, o grande o lieve? Noi stessi esaminiam. Credimi: è raro Un giudice innocente Dell'error che punisce.
Publio - Hanno i castighi...
Tito - Hanno, se son frequenti, Minore autorità. Si fan le pene Familiari a' malvagi. Il reo s'avvede D'aver molti compagni; ed è periglio Il pubblicar quanto sian pochi i buoni.
Publio - Ma v'è, signor, chi lacerare ardisce Anche il tuo nome.
Tito - E che perciò? Se il mosse Leggerezza, nol curo; Se follia, lo compiango; Se ragion, gli son grato; e se in lui sono Impeti di malizia, io gli perdono.
Publio - Almen...
SCENA IX
Servilia, e detti.
Servilia - Di Tito al piè...
Tito - Servilia! Augusta!
Servilia - Ah! Signor, sì gran nome Non darmi ancora: odimi prima. Io deggio Palesarti un arcan.
Tito - Publio, ti scosta, Ma non partir. (Publio si ritira)
Servilia - Che del cesareo alloro Me, fra tante più degne, Generoso monarca, inviti a parte, È dono tal, che desteria tumulto Nel più stupido core. Io ne comprendo Tutto il valor. Voglio esser grata, e credo Doverlo esser così. Tu mi scegliesti, Né forse mi conosci. Io, che, tacendo, Crederei d'ingannarti, Tutta l'anima mia vengo a svelarti.
Tito - Parla.
Servilia - Non ha la terra Chi più di me le tue virtudi adori: Per te nutrisco in petto Sensi di meraviglia e di rispetto. Ma il cor... Deh! non sdegnarti.
Tito - Eh! parla.
Servilia - Il core Signor, non è più mio: già da gran tempo Annio me lo rapì. L'amai che ancora Non comprendea d'amarlo, e non amai Altri fin or che lui. Genio e costume Unì l'anime nostre. Io non mi sento Valor per obliarlo. Anche dal trono Il solito sentiero Farebbe a mio dispetto il mio pensiero. So che oppormi è delitto D'un Cesare al voler; ma tutto almeno Sia noto al mio sovrano: Poi se mi vuol sua sposa, ecco la mano.
Tito - Grazie, o numi dei ciel! Pure una volta Senza larve sul viso Mirai la verità. Pur si ritrova Chi s'avventuri a dispiacer col vero. Servilia, oh qual contento Oggi provar mi fai! quanta mi porgi Ragion di meraviglia! Annio pospone Alla grandezza tua la propria pace! Tu ricusi un impero Per essergli fedele! Ed io dovrei Turbar fiamme sì belle? Ah! non produce Sentimenti sì rei di Tito il core. Figlia, ché padre in vece Di consorte m'avrai, sgombra dall'alma Ogni timore. Annio è tuo sposo. Io voglio Stringer nodo sì degno. Il Ciel cospiri Meco a farlo felice; e n'abbia poi Cittadini la patria eguali a voi.
Servilia - O Tito! o Augusto! o vera Delizia de' mortali! io non saprei Come il grato mio cor...
Tito - Se grata appieno Esser mi vuoi, Servilia, agli altri inspira Il tuo candor. Di pubblicar procura Che grato a me si rende, Più del falso che piace, il ver che offende.
Ah! se fosse intorno al trono Ogni cor così sincero, Non tormento un vasto impero, Ma saria felicità. Non dovrebbero i regnanti Tollerar sì grave affanno, Per distinguer dall'inganno L'insidiata verità. (parte)
SCENA X
Servilia e Vitellia.
Servilia - Felice me!
Vitellia - Posso alla mia sovrana Offirir del mio rispetto i primi omaggi? Posso adorar quel volto, Per cui, d'amor ferito, Ha perduto il riposo il cor di Tito?
Servilia - (Che amaro favellar! Per mia vendetta Si lasci nell'inganno). Addio. (in atto di partire)
Vitellia - Servilia Sdegna già di mirarmi! Oh dèi! partir così! così lasciarmi!
Servilia - Non ti lagnar s'io parto, O lagnati d'Amore, Che accorda a quei del core I moti del mio piè. Al fin non è portento Che a te mi tolga ancora L'eccesso d'un contento, Che mi rapisce a me. (parte)
SCENA XI
Vitellia, poi Sesto.
Vitellia - Questo soffrir degg'io Vergognoso disprezzo? Ah, con qual fasto Già mi guarda costei! Barbaro Tito! Ti parea dunque poco Berenice antepormi? Io dunque sono L'ultima de' viventi? Ogni altra è degna Di te, fuor che Vitellia? Ah, trema, ingrato! Trema d'avermi offesa! Oggi il tuo sangue...
Sesto - Mia vita.
Vitellia - E ben, che rechi? Il Campidoglio È acceso? è incenerito? Lentulo dove sta? Tito è punito?
Sesto - Nulla intrapresi ancor.
Vitellia - Nulla! E sì franco Mi torni innanzi? e con qual merto ardisci Di chiamarmi tua vita?
Sesto - È tuo comando Il sospendere il colpo.
Vitellia - E non udisti I miei novelli oltraggi? Un altro cenno Aspetti ancor? Ma ch'io ti creda amante, Dimmi, come pretendi, Se così poco i miei pensieri intendi?
Sesto - Se una ragion potesse Almen giustificarmi...
Vitellia - Una ragione! Mille ne avrai, qualunque sia l'affetto Da cui prenda il tuo cor regola e moto. È la gloria il tuo voto? Io ti propongo La patria a liberar. Frangi i suoi ceppi; La tua memoria onora; Abbia il suo Bruto il secol nostro ancora. Ti senti d'un illustre Ambizion capace? Eccoti aperta Una strada all'impero. I miei congiunti, Gli amici miei, le mie ragioni al soglio Tutte impegno per te. Può la mia mano Renderti fortunato? Eccola! corri, Mi vendica, e son tua. Ritorna asperso Di quel perfido sangue; e tu sarai La delizia, l'amore, La tenerezza mia. Non basta? Ascolta, E dubita, se puoi. Sappi che amai Tito fin or; che del mio cor l'acquisto Ei t'impedì; che, se rimane in vita, Si può pentir; ch'io ritornar potrei, Non mi fido di me, forse ad amarlo. Or va: se non ti muove Desio di gloria, ambizione, amore; Se tolleri un rivale, Che usurpò, che contrasta, Che involar ti potrà gli affetti miei, Degli uomini il più vil dirò che sei.
Sesto - Quante vie d'assalirmi! Basta, basta, non più! Già m'inspirasti, Vitellia, il tuo furore. Arder vedrai Fra poco il Campidoglio; e questo acciaro Nel sen di Tito... (Ah, sommi dèi, qual gelo Mi ricerca le vene!)
Vitellia - Ed or che pensi?
Sesto - Ah, Vitellia!
Vitellia - Il previdi: Tu pentito già sei
Sesto - Non son pentito; Ma...
Vitellia - Non stancarmi più. Conosco, ingrato, Che amor non hai per me. Folle ch'io fui! Già ti credea, già mi piacevi, e quasi Cominciavo ad amarti. Agli occhi miei Involati per sempre, E scordati di me.
Sesto - Fermati! io cedo; Io già volo a servirti.
Vitellia - Eh! non ti credo. M'ingannerai di nuovo. In mezzo all'opra Ricorderai...
Sesto - No: mi punisca Amore, Se penso ad ingannarti.
Vitellia - Dunque, corri! Che fai? perché non parti?
Sesto - Parto; ma tu, ben mio, Meco ritorna in pace. Sarò qual più ti piace; Quel che vorrai farò. Guardami, e tutto oblio, E a vendicarti io volo. Di quello sguardo solo Io mi ricorderò. (parte)
SCENA XII
Vitellia, poi Publio.
Vitellia - Vedrai, Tito, vedrai che al fin sì vile Questo volto non è. Basta a sedurti Gli amici almen, se ad invaghirti è poco. Ti pentirai...
Publio - Tu qui, Vitellia? Ah! corri: Va Tito alle tue stanze.
Vitellia - Cesare! E a che mi cerca?
Publio - Ancor nol sai? Sua consorte ti elesse.
Vitellia - Io non sopporto, Publio, d'esser derisa.
Publio - Deriderti! Se andò Cesare istesso A chiederne il tuo assenso.
Vitellia - E Servilia?
Publio - Servilia, Non so perché, rimane esclusa.
Vitellia - Ed io...
Publio - Tu sei la nostra Augusta. Ah! principessa, Andiam: Cesare attende.
Vitellia - Aspetta. (Oh dèi!) Sesto ?... (Misera me!) Sesto?... (verso la scena) È partito. Publio, corri... raggiungi... Digli... No. Va più tosto... (Ah! mi lasciai Trasportar dallo sdegno). E ancor non vai?
Publio - Dove?
Vitellia - A Sesto.
Publio - E dirò?
Vitellia - Che a me ritorni; Che non tardi un momento.
Publio - Vado. (Oh, come confonde un gran contento!) (parte)
SCENA XIII
Vitellia.
Vitellia - Che angustia è questa! Ah! caro Tito, io fui Teco ingiusta, il confesso. Ah! se frattanto Sesto il cenno eseguisse, il caso mio Sarebbe il più crudel... No, non si faccia Sì funesto presagio. E se mai Tito Si tornasse a pentir?... Perché pentirsi? Perché l'ho da temer? Quanti pensieri Mi si affollano in mente! Afflitta e lieta, Godo, torno a temer, gelo, m'accendo; Me stessa in questo stato io non intendo.
Quando sarà quel dì, Ch'io non ti senta in sen Sempre tremar così, Povero core? Stelle, che crudeltà! Un sol piacer non v'è Che, quando mio si fa, Non sia dolore. (parte)
FINE DELL'ATTO PRIMO
ATTO SECONDO
SCENA I
Portici.
Sesto solo col distintivo de' congiurati sul manto.
Sesto - Oh dèi, che smania è questa! Che tumulto ho nel cor! Palpito, agghiaccio: M'incammino, m'arresto: ogni aura, ogni ombra Mi fa tremare. Io non credea che fosse Sì difficile impresa esser malvagio. Ma compirla convien. Già per mio cenno Lentulo corre al Campidoglio. Io deggio Tito assalir. Nel precipizio orrendo È scorso il piè. Necessità divenne Ormai la mia ruina. Almen si vada Con valore a perir. Valore? E come Può averne un traditor? Sesto infelice, Tu traditor! Che orribil nome! E pure T'affretti a meritarlo. E chi tradisci? Il più grande, il più giusto, il più clemente Principe della terra, a cui tu devi Quanto puoi, quanto sei. Bella mercede Gli rendi in vero! Ei t'innalzò per farti Il carnefice suo. M'inghiotta il suolo Prima ch'io tal divenga. Ah! non ho core, Vitellia, a secondar gli sdegni tui: Morrei, prima del colpo, in faccia a lui. S'impedisca... Ma come, Or che tutto è disposto?... Andiamo, andiamo Lentulo a trattener. Sieguane poi Quel che il fato vorrà. Stelle, che miro! Arde già il Campidoglio! Aimè! l'impresa Lentuto incominciò. Forse già tardi Sono i rimorsi miei. Difendetemi Tito, eterni dèi! (vuol partire)
SCENA II
Annio, e detto.
Annio - Sesto, dove t'affretti?
Sesto - Io corro, amico... Oh dèi! non m'arrestar. (vuol partire)
Annio - Ma dove vai?
Sesto - Vado... Per mio rossor già lo saprai. (parte)
SCENA III
Annio, poi Servilia, indi Publio con guardie.
Annio - Già lo saprai per mio rossor! Che arcano Si nasconde in que' detti! A quale oggetto Celarlo a me? Quel pallido sembiante, Quel ragionar confuso, Stelle! che mai vuol dir? Qualche periglio Sovrasta a Sesto. Abbandonar nol deve Un amico fedel. Sieguasi. (vuol partire)
Servilia - Al fine, Annio, pur ti riveggo.
Annio - Ah! mio tesoro, Quanto deggio al tuo amor! Torno a momenti: Perdonami, se parto.
Servilia - E perché mai Così presto mi lasci?
Publio - Annio, che fai? Roma tutta è in tumulto, il Campidoglio Vasto incendio divora; e tu frattanto Puoi star senza rossore Tranquillamente a ragionar d'amore?
Servilia - Numi!
Annio - (Or di Sesto i detti Più mi fanno tremar. Cerchisi...) (in atto di partire)
Servilia - E puoi Abbandonarmi in tal periglio?
Annio - (Oh Dio! Fra l'amico e la sposa Divider mi vorrei). Prendine cura, Publio, per me. Di tutti i giorni miei L'unico ben ti raccomando in lei. (parte frettoloso)
SCENA IV
Servilia e Publio.
Servilia - Publio, che inaspettato Accidente funesto!
Publio - Ah, voglia il Cielo Che un'opra sia del caso, e che non abbia Forse più reo disegno Chi destò quelle fiamme!
Servilia - Ah! tu mi fai Tutto il sangue gelar.
Publio - Torna, o Servilia, A' tuoi soggiorni e non temer. Ti lascio Quei custodi in difesa, e corro intanto Di Vitellia a cercar. Tito m'impone D'aver cura d'entrambe.
Servilia - E ancor di noi Tito si rammentò?
Publio - Tutto rammenta; Provvede a tutto; a riparare i danni, A prevenir le insidie, a ricomporre Gli ordini già sconvolti... Oh, se il vedessi Della confusa plebe Gl'impeti regolar! Gli audaci affrena; I timidi assicura; in cento modi Sa promesse adoprar, minacce e lodi. Tutto ritrovi in lui: ci vedi insieme Il difensor di Roma, Il terror delle squadre, L'amico, il prence, il cittadino, il padre.
Servilia - Ma, sorpreso così, come ha saputo...
Publio - Eh! Servilia, t'inganni: Tito non si sorprende. Un impensato Colpo non v'è, che nol ritrovi armato.
Sia lontano ogni cimento, L'onda sia tranquilla e pura, Buon guerrier non s'assicura, Non si fida il buon nocchier. Anche in pace, in calma ancora, L'armi adatta, i remi appresta, Di battaglia o di tempesta Qualche assalto a sostener. (parte)
SCENA V
Servilia.
Servilia - Dall'adorato oggetto Vedersi abbandonar; saper che a tanti Rischi corre ad esporsi; in sen per lui Sentirsi il cor tremante, e nel periglio Non poterlo seguir: questo è un affanno D'ogni affanno maggior; questo è soffrire La pena del morir senza morire.
Almen, se non poss'io Seguir l'amato bene, Affetti del cor mio, Seguitelo per me. Già sempre a lui vicino Raccolti Amor vi tiene, E insolito cammino Questo per voi non è. (parte)
SCENA VI
Vitellia, poi Sesto.
Vitellia - Chi per pietà m'addita Sesto dov'è? Misera me! Per tutto Ne chiedo in vano, in van lo cerco. Almeno Tito trovar potessi!
Sesto - (senza veder Vitellia) Ove m'ascondo! Dove fuggo, infelice!
Vitellia - Ah, Sesto! ah, senti!
Sesto - Crudel, sarai contenta. Ecco adempito Il tuo fiero comando.
Vitellia - Aimè! che dici?
Sesto - Già Tito... oh Dio! già dal trafitto seno Versa l'anima grande.
Vitellia - Ah, che facesti!
Sesto - No, nol fec'io, ché, dell'error pentito, A salvarlo correa; ma giunsi appunto Che un traditor del congiurato stuolo Da tergo lo feria. Ferma!' gridai; Ma il colpo era vibrato. Il ferro indegno Lascia colui nella ferita e fugge. A ritrarlo io m'affretto; Ma con l'acciaro il sangue N'esce, il manto m'asperge, e Tito, oh Dio! Manca, vacilla e cade.
Vitellia - Ah! ch'io mi sento Morir con lui.
Sesto - Pietà, furor mi sprona L'uccisore a punir; ma il cerco in vano; Già da me dileguossi. Ah! principessa, Che fia di me? come avrò mai più pace? Quanto, ahi quanto mi costa Il desio di piacerti!
Vitellia - Anima rea, Piacermi! Orror mi fai. Dove si trova Mostro peggior di te? quando s'intese Colpo più scellerato? Hai tolto al mondo Quanto avea di più caro; hai tolto a Roma Quanto avea di più grande. E chi ti fece Arbitro de' suoi giorni? Di': qual colpa, inumano! Punisti in lui? L'averti amato? È vero: Questo è l'error di Tito; Ma punir nol dovea chi l'ha punito.
Sesto - Onnipotenti dèi! son io? Mi parla Così Vitellia? E tu non fosti...
Vitellia - Ah! taci, Barbaro, e del tuo fallo Non volermi accusar. Dove apprendesti A secondar le furie D'un'amante sdegnata? Qual anima insensata Un delirio d'amor nel mio trasporto Compreso non avrebbe? Ah! tu nascesti Per mia sventura. Odio non v'è che offenda Al par dell'amor tuo. Nel mondo intero Sarei la più felice, Empio! se tu non eri. Oggi di Tito La destra stringerei; leggi alla terra Darei dal Campidoglio; ancor vantarmi Innocente potrei. Per tua cagione Son rea, perdo l'impero, Non spero più conforto; E Tito, ah, scellerato! e Tito è morto.
Come potesti, oh Dio! Perfido traditor!... Ah, che la rea son io! Sento gelarmi il cor, Mancar mi sento. Pria di tradir la fé, Perché, crudel! perché... Ah! che del fallo mio Tardi mi pento. (parte)
SCENA VII
Sesto, poi Annio.
Sesto - Grazie, o numi crudeli! Or non mi resta Più che temer. Della miseria umana Questo è l'ultimo segno. Ho già perduto Quanto perder potevo. Ho già tradito L'amicizia, l'amor, Vitellia e Tito. Uccidetemi almeno, Smanie che m'agitate, Furie che lacerate Questo perfido cor. Se lente siete A compir la vendetta, Io stesso, io la farò. (in atto di snudar la spada)
Annio - Sesto, t'affretta! Tito brama...
Sesto - Lo so, brama il mio sangue: Tutto si verserà. (in atto di snudar la spada)
Annio - Ferma! che dici? Tito chiede vederti. Al fianco suo Stupisce che non sei, che l'abbandoni In periglio sì grande.
Sesto - Io!... Come?... E Tito Nel colpo non spirò?
Annio - Qual colpo? Ei torna Illeso dal tumulto.
Sesto - Eh! tu m'inganni: Io stesso lo mirai cader trafitto Da scellerato acciaro.
Annio - Dove?
Sesto - Nel varco augusto, ove si ascende Quinci presso al Tarpeo.
Annio - No, travedesti: Tra il fumo e tra il tumulto, Altri Tito ti parve.
Sesto - Altri? E chi mai Delle cesaree vesti Ardirebbe adornarsi? Il sacro alloro, L'augusto ammanto...
Annio - Ogni argomento è vano: Vive Tito ed è illeso. In questo istante Io da lui mi divido.
Sesto - Oh dèi pietosi! Oh caro prence! oh dolce amico! Ah! lascia Che a questo sen... Ma non m'inganni?
Annio - Io merto Sì poca fé! Dunque tu stesso a lui Corri e 'l vedrai.
Sesto - Ch'io mi presenti a Tito Dopo averlo tradito?
Annio - Tu lo tradisti?
Sesto - Io del tumulto, io sono Il primo autor.
Annio - Come! Perché?
Sesto - Non posso Dirti di più.
Annio - Sesto è infedele!
Sesto - Amico, M'ha perduto un istante. Addio. M'involo Alla patria per sempre. Ricordati di me. Tito difendi Da nuove insidie. Io vo ramingo, afflitto A pianger fra le selve il mio delitto.
Annio - Fermati! Oh dèi! Pensiam... Senti. Fin ora La congiura è nascosta; ognuno incolpa Di quest'incendio il caso: or la tua fuga Indicar la potrebbe.
Sesto - E ben, che vuoi?
Annio - Che tu non parta ancor, che taccia il fallo, Che torni a Tito, e che con mille emendi Prove di fedeltà l'error passato.
Sesto - Colui, qualunque sia, che cadde estinto, Basta a scoprir...
Annio - Là dov'ei cadde, io volo. Saprò chi fu; se il ver si sa; se parla Alcun di te. Pria che s'induca Augusto A temer di tua fé, potrò avvertirti: Fuggir potrai. Dubbio è 'l tuo mai, se resti; Certo, se parti.
Sesto - Io non ho mente, amico, Per distinguer consigli. A te mi fido. Vuoi ch'io vada? anderò... Ma Tito, oh numi! Mi leggerà sul volto. (s'incammina e si ferma)
Annio - Ogni tardanza, Sesto, ti perde.
Sesto - Eccomi, io vo... (come sopra) Ma questo Manto asperso di sangue?
Annio - Chi quel sangue versò?
Sesto - Quell'infelice Che per Tito io piangea.
Annio - Cauto l'avvolgi, Nascondilo, e t'affretta.
Sesto - Il caso, oh Dio! Potria...
Annio - Dammi quel manto: eccoti il mio. (cambia il manto) Corri: non più dubbiezze, Fra poco io ti raggiungo. (parte)
Sesto - Io son sì oppresso, Così confuso io sono, Che non so se vaneggio o se ragiono.
Fra stupido e pensoso, Dubbio così s'aggira Da un torbido riposo Chi si destò talor; Che desto ancor delira Fra le sognate forme, Che non sa ben se dorme, Non sa se veglia ancor. (parte)
SCENA VIII
Galleria terrena adornata di statue corrispondente a' giardini.
Tito e Servilia.
Tito - Contro me si congiura! Onde il sapesti?
Servilia - Un de' complici venne Tutto a scoprirmi, acciò da te gl'implori Perdono al fallo.
Tito - E Lentulo è infedele?
Servilia - Lentulo è della trama Lo scellerato autor. Sperò di Roma Involarti l'impero, unì seguaci, Dispose i segni, il Campidoglio accese Per destare un tumulto; e già correa, Cinto del manto augusto, A sorprender l'indegno! ed a sedurre Il Popolo confuso. Ma, giustizia dei Ciel! le istesse vesti, Ch'ei cinse per tradirti, Fur tua difesa e sua ruina. Un empio, Fra i sedotti da lui, corse, ingannato Dalle auguste divise, E, per uccider te, Lentulo uccise.
Tito - Dunque morì nel colpo?
Servilia - Almen, se vive, Egli nol sa.
Tito - Come l'indegna tela Tanto poté restarmi occulta?
Servilia - E pure Fra' tuoi custodi istessi De' complici vi son. Cesare, è questo Lo scellerato segno onde fra loro Si conoscono i rei. Porta ciascuno Pari a questo, signor, nastro vermiglio, Che su l'omero destro il manto annoda: Osservalo e ti guarda.
Tito - Or di', Servilia: Che ti sembra un impero? Al bene altrui Chi può sagrificarsi Più di quello ch'io feci? E pur non giunsi A farmi amar; pur v'è chi m'odia e tenta Questo sudato alloro Svellermi dalla chioma, E ritrova seguaci, e dove? in Roma. Tito, l'odio di Roma! Eterni dèi! Io, che spesi per lei Tutti i miei dì, che per la sua grandezza Sudor, sangue versai, E or sul Nilo, or su l'Istro arsi e gelai! Io, che ad altro, se veglio, Fuor che alla gloria sua pensar non oso; Che, in mezzo al mio riposo, Non sogno che il suo ben; che, a me crudele, Per compiacere a lei, Sveno gli affetti miei, m'opprimo in seno L'unica del mio cor fiamma adorata! Oh patria! oh sconoscenza! oh Roma ingrata!
SCENA IX
Sesto, Tito, Servilia.
Sesto - (Ecco il mio prence. Oh, come Mi palpita, al mirarlo, il cor smarrito!)
Tito - Sesto, mio caro Sesto, io son tradito!
Sesto - (Oh rimembranza!)
Tito - Il crederesti, amico? Tito è l'odio di Roma. Ah! tu che sai Tutti i pensieri miei, che senza velo Hai veduto il mio cor, che fosti sempre L'oggetto dei mio amor, dimmi se questa Aspettarmi io dovea crudel mercede!
Sesto - (L'anima mi trafigge e non sel crede).
Tito - Dimmi: con qual mio fallo Tant'odio ho mai contro di me commosso?
Sesto - Signor...
Tito - Parla.
Sesto - Ah! signor, parlar non posso.
Tito - Tu piangi, amico Sesto: il mio destino Ti fa pietà. Vieni al mio seno. Oh, quanto Mi piace, mi consola Questo tenero segno Della tua fedeltà!
Sesto - (Morir mi sento: Non posso più. Parmi tradirlo ancora Col mio tacer. Si disinganni appieno).
SCENA X
Sesto, Vitellia, Tito, Servilia.
Vitellia - (Ah! Sesto è qui. Non mi scoprisse almeno).
Sesto - Sì, sì, voglio al suo piè... (vuol andare a Tito)
Vitellia - (s'inoltra e l'interrompe) Cesare invitto, Preser gli dèi cura di te.
Sesto - (Mancava Vitellia ancor).
Vitellia - Pensando Al passato tuo rischio, ancor pavento. (Per pietà, non parlar!) (piano a Sesto)
Sesto - (Questo è tormento!)
Tito - Il perder, principessa, E la vita e l'impero Affliggermi non può. Già miei non sono Che per usarne a benefizio altrui. So che tutto è di tutti, e che né pure Di nascer meritò chi d'esser nato Crede solo per sé. Ma, quando a Roma Giovi ch'io versi il sangue, Perché insidiarmi? Ho ricusato mai Di versarlo per lei? Non sa l'ingrata Che son romano anch'io, che Tito io sono? Perché rapir quel che offerisco in dono?
Servilia - Oh vero eroe!
SCENA XI
Sesto, Vitellia, Tito, Servilia, ed Annio col manto di Sesto.
Annio - (Potessi Sesto avvertir. M'intenderà). Signore, (a Tito) Già l'incendio cedé; ma non è vero Che il caso autor ne sia. V'è chi congiura Contro la vita tua: prendine cura.
Tito - Annio, il so... Ma che miro! (a parte a Servilia) Servilia, il segno, che distingue i rei, Annio non ha sul manto?
Servilia - Eterni dèi!
Tito - Non v'è che dubitar. Forma, colore, Tutto, tutto è concorde.
Servilia - (ad Annio) Ah, traditore!
Annio - Io traditor!
Sesto - (Che avvenne!)
Tito - E sparger vuoi Tu ancora il sangue mio? Annio, figlio, e perché? che t'ho fatt'io?
Annio - Io spargere il tuo sangue! Ah! pria m'uccida Un fulmine del ciel.
Tito - T'ascondi in vano: Già quel nastro vermiglio, Divisa de' ribelli, a me scoperse Che a parte sei del tradimento orrendo.
Annio - Questo! Come!...
Sesto - (Ah, che feci! Or tutto intendo).
Annio - Nulla, signor, m'è noto Di tal divisa. In testimonio io chiamo Tutti i numi celesti.
Tito - Da chi dunque l'avesti?
Annio - L'ebbi... (Se dico il ver, l'amico accuso).
Tito - E ben?
Annio - L'ebbi... non so...
Tito - L'empio è confuso.
Sesto - (Oh amicizia!)
Vitellia - (Oh timor!)
Tito - Dove si trova Principe, o Sesto amato, Di me più sventurato? Ogni altro acquista Amici almen co' benefici suoi: Io co' miei benefici Altro non fo che procurar nemici.
Annio - (Come scolparmi?)
Sesto - (Ah, non rimanga oppressa L'innocenza per me. Vitellia, ormai Tutto è forza ch'io dica). (piano a Vitellia, incaminandosi a Tito)
Vitellia - (piano a Sesto) (Ah, no! che fai?
Deh! pensa al mio periglio).
Sesto - (Che angustia è questa!)
Annio - (Eterni dèi, consiglio!)
Tito - Servilia, e un tale amante Val sì gran prezzo?
Servilia - Io dell'affetto antico Ho rimorso, ho rossor.
Sesto - (Povero amico!)
Tito - Ma dimmi, anima ingrata: (ad Annio) il sol pensiero Di tanta infedeltà non è bastato A farti inorridir?
Sesto - (Son io l'ingrato).
Tito - Come ti nacque in seno Furor cotanto ingiusto?
Sesto - (Più resister non posso). Eccomi, Augusto, A' piedi tuoi. (s'inginocchia)
Vitellia - (Misera me!)
Sesto - La colpa Ond'Annio è reo...
Vitellia - Sì, la sua colpa è grande; Ma la bontà di Tito Sarà maggior. Per lui, signor, perdono Sesto domanda e lo domando anch'io. (Morta mi vuoi?) (piano a Sesto)
Sesto - (s'alza) (Che atroce caso è il mio!)
Tito - Annio si scusi almeno.
Annio - Dirò... (Che posso dir?)
Tito - Sesto, io mi sento Gelar per lui. La mia presenza istessa Più confonder lo fa. Custodi, a voi Annio consegno. Esamini il Senato Il disegno, l'errore Di questo... Ancor non voglio Chiamarti traditor. Rifletti, ingrato! Da quel tuo cor perverso Del tuo principe il cor quanto è diverso.
Tu, infedel, non hai difese; È palese il tradimento: Io pavento d'oltraggiarti Nel chiamarti traditor. Tu, crudel, tradir mi vuoi D'amistà col finto velo; Io mi celo agli occhi tuoi Per pietà del tuo rossor. (parte)
SCENA XII
Vitellia, Servilia, Sesto, Annio.
Annio - E pur, dolce mia sposa... (a Servilia)
Servilia - A me t'invola: Tua sposa io più non son. (in atto di partire)
Annio - Fermati e senti.
Servilia - Non odo gli accenti D'un labbro spergiuro; Gli affetti non curo D'un perfido cor. Ricuso, detesto Il nodo funesto, Le nozze, lo sposo, L'amante e l'amor. (parte)
SCENA XIII
Sesto, Vitellia, Annio.
Annio - (E Sesto non favella?)
Sesto - (Io moro).
Vitellia - (Io tremo).
Annio - Ma, Sesto, al punto estremo Ridotto io sono, e non ascolto ancora Chi s'impieghi per me. Tu non ignori Quel che mi dice ognun, quel ch'io non dico. Questo è troppo soffrir. Pensaci, amico.
Ch'io parto reo, lo vedi; Ch'io son fedel, lo sai: Di te non mi scordai; Non ti scordar di me. Soffro le mie catene; Ma questa macchia in fronte, Ma l'odio del mio bene Soffribile non è. (parte fra le guardie)
SCENA XIV
Sesto e Vitellia.
Sesto - Posso al fine, o crudele...
Vitellia - Oh Dio! l'ore in querele Non perdiamo così. Fuggi e conserva La tua vita e la mia.
Sesto - Ch'io fugga e lasci Un amico innocente...
Vitellia - Io dell'amico La cura prenderò.
Sesto - No, fin ch'io vegga Annio in periglio...
Vitellia - A tutti i numi il giuro, Io lo difenderò.
Sesto - Ma che ti giova La fuga mia?
Vitellia - Con la tua fuga è salva La tua vita, il mio onor. Tu sei perduto, Se alcun ti scopre, e, se scoperto sei, Pubblico è il mio segreto.
Sesto - In questo seno Sepolto resterà. Nessuno il seppe: Tacendolo morrò.
Vitellia - Mi fiderei, Se minor tenerezza Per Tito in te vedessi. Il suo rigore Non temo già; la sua clemenza io temo: Questa ti vincerebbe. Ah! per que' primi Momenti in cui ti piacqui, ah! per le care Dolci speranze tue, fuggi, assicura Il mio timido cor. Tanto facesti: L'opra compisci. Il più gran dono è questo Che far mi puoi. Tu non mi rendi meno Che la pace e l'onor. Sesto, che dici? Risolvi.
Sesto - Oh Dio!
Vitellia - Sì, già ti leggo in volto La pietà che hai di me; conosco i moti Del tenero tuo cor. Di': m'ingannai? Sperai troppo da te? Ma parla, o Sesto!
Sesto - Partirò, fuggirò. (Che incanto è questo!)
Vitellia - Respiro!
Sesto - Almen tal volta, Quando lungi sarò...
SCENA XV
Publio con guardie, e detti.
Publio - Sesto!
Sesto - Che chiedi?
Publio - La tua spada.
Sesto - E perché?
Publio - Per tua sventura, Lentulo non morì. Già il resto intendi. Vieni.
Vitellia - (Oh colpo fatale!) (Sesto dà la spada)
Sesto - Al fin, tiranna...
Publio - Sesto, partir conviene. È già raccolto Per udirti il Senato, e non poss'io Differir di condurti.
Sesto - Ingrata, addio!
Se mai senti spirarti sul volto Lieve fiato che lento s'aggiri, Di': Son questi gli estremi sospiri Del mio fido, che muore per me. Al mio spirto, dal seno disciolto, La memoria di tanti martìri Sarà dolce con questa mercé. (parte con Publio e guardie)
SCENA XVI
Vitellia.
Vitellia - Misera! che farò? Quell'infelice, Oh Dio! muore per me. Tito fra poco Saprà il mio fallo, e lo sapran con lui Tutti, per mio rossor. Non ho coraggio Né a parlar, né a tacere, Né a fuggir, né a restar. Non spero aiuto, Non ritrovo consiglio. Altro non veggo Che imminenti ruine; altro non sento Che moti di rimorso e di spavento.
Tremo fra' dubbi miei; Pavento i rai dei giorno; L'aure, che ascolto intorno, Mi fanno palpitar. Nascondermi vorrei, Vorrei scoprir l'errore: Né di celarmi ho core, Né core ho di parlar. (parte)
FINE DELL'ATTO SECONDO
ATTO TERZO
SCENA I
Camera chiusa con porte, sedia e tavolino con sopra da scrivere.
Tito e Publio.
Publio - Già de' pubblici giuochi, Signor, l'ora trascorre. Il dì solenne Sai che non soffre il trascurarli. È tutto Colà, d'intorno alla festiva arena, Il popolo raccolto, e non si attende Che la presenza tua. Ciascun sospira, Dopo il noto periglio, Di rivederti salvo. Alla tua Roma Non differir sì bel contento.
Tito - Andremo, Publio, fra poco. Io non avrei riposo, Se di Sesto il destino Pria non sapessi. Avrà il Senato ormai Le sue discolpe udite; avrà scoperto, Vedrai, ch'egli è innocente; e non dovrebbe Tardar molto l'avviso.
Publio - Ah! troppo chiaro Lentulo favellò.
Tito - Lentulo forse Cerca al fallo un compagno, Per averlo al perdono. Ei non ignora Quanto Sesto m'è caro. Arte comune Questa è de' rei. Pur dal Senato ancora Non torna alcun! Che mai sarà? Va, chiedi Che si fa, che s'attende. Io tutto voglio Saper pria di partir.
Publio - Vado: ma temo Di non tornar nunzio felice.
Tito - E puoi Creder Sesto infedele? Io dal mio core Il suo misuro; e un impossibil parmi Ch'egli m'abbia tradito.
Publio - Ma, signor, non han tutti il cor di Tito.
Tardi s'avvede D'un tradimento Chi mai di fede Mancar non sa. Un cor verace, Pieno d'onore, Non è portento, Se ogni altro core Crede incapace D'infedeltà. (parte)
SCENA II
Tito, poi Annio.
Tito - No, così scellerato Il mio Sesto non credo. Io l'ho veduto Non sol fido ed amico, Ma tenero per me. Tanto cambiarsi Un'alma non potrebbe. Annio, che rechi? L'innocenza di Sesto, Come la tua, di', si svelò? Che dice? Consolami.
Annio - Ah! signor, pietà per lui Io vengo ad implorar.
Tito - Pietà! Ma dunque Sicuramente è reo?
Annio - Quel manto, ond'io Parvi infedele, egli mi diè. Da lui Sai che seppesi il cambio. A Sesto in faccia, Esser da lui sedotto Lentulo afferma, e l'accusato tace. Che sperar si può mai?
Tito - Speriamo, amico, Speriamo ancora. Agl'infelici è spesso Colpa la sorte; e quel che vero appare, Sempre vero non è. Tu ne hai le prove: Con la divisa infame Mi vieni innanzi; ognun t'accusa: io chiedo Degl'indizi ragion; tu non rispondi, Palpiti, ti confondi... A tutti vera Non parea la tua colpa? E pur non era. Chi sa? Di Sesto a danno Può il caso unir le circostanze istesse, O somiglianti a quelle.
Annio - Il Ciel volesse! Ma se poi fosse reo?
Tito - Ma, se poi fosse reo, dopo sì grandi Prove dell'amor mio; se poi di tanta Enorme ingratitudine è capace, Saprò scordarmi appieno Anch'io... Ma non sarà: lo spero almeno.
SCENA III
Publio con foglio, e detti.
Publio - Cesare, nol diss'io? Sesto è l'autore Della trama crudel.
Tito - Publio, ed è vero?
Publio - Pur troppo ei di sua bocca Tutto affermò. Coi complici il Senato Alle fiere il condanna. Ecco il decreto Terribile, ma giusto; (dà il foglio a Tito) Né vi manca, o signor, che il nome augusto.
Tito - Onnipotenti dèi! (si getta a sedere)
Annio - Ah! pietoso monarca... (inginocchiandosi)
Tito - Annio, per ora Lasciami in pace. (Annio si leva)
Publio - Alla gran pompa unite Sai che le genti ormai...
Tito - Lo so. Partite. (Publio si ritira)
Annio - Pietà, signor, di lui! So che il rigore è giusto; Ma norma i falli altrui Non son del tuo rigor. Se a' prieghi miei non vuoi, Se all'error suo non puoi, Donalo al cor d'Augusto, Donalo a te, signor. (parte)
SCENA IV
Tito solo a sedere.
Tito - Che orror! che tradimento! Che nera infedeltà! Fingersi amico, Essermi sempre al fianco, ogni momento Esiger dal mio core Qualche prova d'amore; e starmi intanto Preparando la morte! Ed io sospendo Ancor la pena? e la sentenza ancora Non segno?... Ah! sì, lo scellerato mora. (prende la penna per sottoscrivere, e poi s'arresta) Mora!... Ma senza udirlo Mando Sesto a morir?... Sì, già l'intese Abbastanza il Senato. E s'egli avesse Qualche arcano a svelarmi? Olà! (depone la penna; intanto esce una guardia) (S'ascolti, E poi vada al supplizio). A me si guidi Sesto. (parte la guardia) È pur di chi regna Infelice il destino! (s'alza) A noi si niega Ciò che a' più bassi è dato. In mezzo al bosco Quel villanel mendico, a cui circonda Ruvida lana il rozzo fianco, a cui È mal fido riparo Dall'ingiurie del ciel tugurio informe, Placido i sonni dorme, Passa tranquillo i dì, molto non brama, Sa chi l'odia e chi l'ama, unito o solo Torna sicuro alla foresta, al monte, E vede il core a ciascheduno in fronte. Noi fra tante grandezze Sempre incerti viviam; ché in faccia a noi La speranza o il timore Su la fronte d'ognun trasforma il core. Chi dall'infido amico... Olà!... chi mai Questo temer dovea?
SCENA V
Publio e Tito.
Tito - Ma, Publio, ancora Sesto non viene.
Publio - Ad eseguire il cenno Già volaro i custodi.
Tito - Io non comprendo Un sì lungo tardar.
Publio - Pochi momenti Sono scorsi, o signor.
Tito - Vanne tu stesso; Affrettalo.
Publio - Ubbidisco. (nel partire) I tuoi littori Veggonsi comparir: Sesto dovrebbe Non molto esser lontano. Eccolo.
Tito - Ingrato! All' udir che s'appressa, Già mi parla a suo pro l'affetto antico. Ma no; trovi il suo prence e non l'amico. (siede e si compone in atto di maestà)
SCENA VI
Tito, Publio, Sesto e custodi
Sesto, entrato appena, si ferma
Sesto - (Numi! è quello ch'io miro (guardando Tito) Di Tito il volto? Ah! la dolcezza usata Più non ritrovo in lui. Come divenne Terribile per me!)
Tito - (Stelle! ed è questo Il sembiante di Sesto? Il suo delitto Come lo trasformò! Porta sul volto La vergogna, il rimorso e lo spavento).
Publio - (Mille affetti diversi ecco a cimento).
Tito - Avvicinati. (a Sesto con maestà)
Sesto - (Oh voce Che mi piomba sul cor!)
Tito - (a Sesto con maestà) Non odi?
Sesto - (s'avanza due passi e si ferma) (Oh Dio! Mi trema il piè; sento bagnarmi il volto Da gelido sudore; L'angoscia del morir non è maggiore).
Tito - (Palpita l'infedel).
Publio - (Dubbio mi sembra, Se il pensar che ha fallito Più dolga a Sesto, o se il punirlo a Tito).
Tito - (E pur mi fa pietà). Publio, custodi, Lasciatemi con lui. (parte Publio e le guardie)
Sesto - (No, di quel volto Non ho costanza a sostener l'impero).
Tito - (rimasto solo con Sesto, depone l'aria maestosa) Ah! Sesto, è dunque vero? Dunque vuoi la mia morte? E in che t'offese. Il tuo prence, il tuo padre, Il tuo benefattor? Se Tito Augusto Hai potuto obliar, di Tito amico Come non ti sovvenne? Il premio è questo Della tenera cura Ch'ebbe sempre di te? Di chi fidarmi In avvenir potrò, se giunse, oh dèi! Anche Sesto a tradirmi? E lo potesti? E il cor te lo sofferse?
Sesto - (prorompe in un dirottissimo pianto e se gli getta a' piedi) Ah, Tito! ah, mio Clementissimo prence! Non più, non più. Se tu veder potessi Questo misero cor, spergiuro, ingrato, Pur ti farei pietà. Tutte ho su gli occhi, Tutte le colpe mie; tutti rammento I benefizi tuoi: soffrir non posso Né l'idea di me stesso, Né la presenza tua. Quel sacro volto, La voce tua, la tua clemenza istessa Diventò mio supplizio. Affretta almeno, Affretta il mio morir. Toglimi presto Questa vita infedel; lascia ch'io versi, Se pietoso esser vuoi, Questo perfido sangue a' piedi tuoi.
Tito - Sorgi, infelice! (Sesto si leva) (Il contenersi è pena A quel tenero pianto). Or vedi a quale Lagrimevole stato Un delitto riduce, una sfrenata Avidità d'impero! E che sperasti Di trovar mai nel trono? Il sommo forse D'ogni contento? Ah! sconsigliato, osserva Quai frutti io ne raccolgo; E bramalo, se puoi.
Sesto - No, questa brama Non fu che mi sedusse.
Tito - Dunque che fu?
Sesto - La debolezza mia, La mia fatalità.
Tito - Più chiaro almeno Spiegati.
Sesto - Oh Dio! non posso.
Tito - Odimi, o Sesto: Siam soli; il tuo sovrano Non è presente. Apri il tuo core a Tito, Confidati all'amico; io ti prometto Che Augusto nol saprà. Del tuo delitto Di' la prima cagion. Cerchiamo insieme Una via di scusarti. Io ne sarei Forse di te più lieto.
Sesto - Ah! la mia colpa Non ha difesa.
Tito - In contraccambio almeno D'amicizia lo chiedo. Io non celai Alla tua fede i più gelosi arcani; Merito ben che Sesto Mi fidi un suo segreto.
Sesto - (Ecco una nuova Specie di pena! o dispiacere a Tito, O Vitellia accusar).
Tito - Dubiti ancora? (comincia a turbarsi) Ma, Sesto, mi ferisci Nel più vivo del cor. Vedi che troppo Tu l'amicizia oltraggi Con questo diffidar. Pensaci. Appaga Il mio giusto desio. (con impazienza)
Sesto - (Ma qual astro splendeva al nascer mio!) (con impeto di disperazione)
Tito - E taci? e non rispondi? Ah! già che puoi Tanto abusar di mia pietà...
Sesto - Signore... Sappi dunque... (Che fo?)
Tito - Siegui.
Sesto - (Ma quando Finirò di penar?)
Tito - Parla una volta: Che mi volevi dir?
Sesto - Ch'io son l'oggetto Dell'ira degli dèi; che la mia sorte Non ho più forza a tollerar; ch'io stesso Traditor mi confesso, empio mi chiamo; Ch'io merito la morte e ch'io la bramo.
Tito - (ripiglia l'aria di maestà) Sconoscente! e l'avrai! Custodi! il reo Toglietemi dinanzi. (alle guardie, che saranno uscite)
Sesto - Il bacio estremo Su quella invitta man...
Tito - (nol concede) Parti.
Sesto - Fia questo L'ultimo don. Per questo solo istante Ricordati, signor, l'amor primiero.
Tito - Parti; non è più tempo. (senza guardarlo)
Sesto - È vero, è vero! Vo disperato a morte; Né perdo già costanza A vista del morir. Funesta la mia sorte La sola rimembranza Ch'io ti potei tradir. (parte con le guardie)
SCENA VII
Tito.
Tito - E dove mai s'intese Più contumace infedeltà! Poteva Il più tenero padre un figlio reo Trattar con più dolcezza? Anche innocente D'ogni altro error, saria di vita indegno Per questo sol. Deggio alla mia negletta Disprezzata clemenza una vendetta. (va con isdegno verso il tavolino, e s'arresta) Vendetta! Ah! Tito, e tu sarai capace D'un sì basso desio, che rende eguale L'offeso all'offensor? Merita in vero Gran lode una vendetta, ove non costi Più che il volerla. Il torre altrui la vita È facoltà comune Al più vil della terra: il darla è solo De' numi e de' regnanti. Eh! viva... In vano Parlan dunque le leggi? Io lor custode Le eseguisco così? di Sesto amico Non sa Tito scordarsi? Han pur saputo Obliar d'esser padri e Manlio e Bruto. Sieguansi i grandi esempi. (siede) Ogni altro affetto D'amicizia e pietà taccia per ora. Sesto è reo: Sesto mora! (sottoscrive) Eccoci al fine Su le vie del rigore: (s'alza) eccoci aspersi Di cittadino sangue, e s'incomincia Dal sangue d'un amico. Or che diranno I posteri di noi? Diran che in Tito Si stancò la clemenza, Come in Silla e in Augusto La crudeltà. Forse diran che troppo Rigido io fui; ch'eran difese al reo I natali e l'età; che un primo errore Punir non si dovea; che un ramo infermo Subito non recide Saggio cultor, se a risanarlo in vano Molto pria non sudò; che Tito al fine Era l'offeso, e che le proprie offese, Senza ingiuria del giusto, Ben poteva obliar... Ma dunque io faccio Sì gran forza al mio cor? Né almen sicuro Sarò ch'altri m'approvi? Ah! non si lasci Il solito cammin. Viva l'amico, (lacera il foglio) Benché infedele; e, se accusarmi il mondo Vuol pur di qualche errore, M'accusi di pietà, non di rigore. (getta il foglio lacerato) Publio!
SCENA VIII
Tito e Publio.
Publio - Cesare.
Tito - Andiamo Al popolo che attende.
Publio - E Sesto?
Tito - E Sesto Venga all'arena ancor.
Publio - Dunque il suo fato...
Tito - Sì, Publio, è già deciso.
Publio - (Oh sventurato!)
Tito - Se all'impero, amici dèi, Necessario è un cor severo, O togliete a me l'impero, O a me date un altro cor. Se la fé de' regni miei Con l'amor non assicuro, D'una fede io non mi curo Che sia frutto del timor. (parte)
SCENA IX
Vitellia, uscendo dalla porta opposta, richiama Publio che seguiva Tito.
Vitellia - Publio, ascolta.
Publio - (in atto di partire) >Perdona; Deggio a Cesare appresso Andar...
Vitellia - Dove?
Publio - (come sopra) All'arena.
Vitellia - E Sesto?
Publio - Anch'esso.
Vitellia - Dunque morrà?
Publio - (come sopra) Pur troppo.
Vitellia - (Aimè!) Con Tito Sesto ha parlato?
Publio - E lungamente.
Vitellia - E sai Quel ch'ei dicesse?
Publio - No. Solo con lui Restar Cesare volle: escluso io fui. (parte)
SCENA X
Vitellia, poi Annio e Servilia da diverse parti.
Vitellia - Non giova lusingarsi; Sesto già mi scoperse: a Publio istesso Si conosce sul volto. Ei non fu mai Con me sì ritenuto; ei fugge; ei teme Di restar meco. Ah! secondato avessi Gl'impulsi del mio cor. Per tempo a Tito Dovea svelarmi e confessar l'errore. Sempre in bocca d'un reo, che la detesta, Scema d'orror la colpa. Or questo ancora Tardi saria. Seppe il delitto Augusto, E non da me. Questa ragione istessa Fa più grave...
Servilia - Ah, Vitellia!
Annio - Ah, principessa!
Servilia - Il misero germano...
Annio - Il caro amico...
Servilia - È condotto a morir.
Annio - Fra poco, in faccia Di Roma spettatrice, Delle fiere sarà pasto infelice.
Vitellia - Ma che posso per lui?
Servilia - Tutto. A' tuoi prieghi Tito lo donerà.
Annio - Non può negarlo Alla novella Augusta.
Vitellia - Annio, non sono Augusta ancor.
Annio - Pria che tramonti il sole Tito sarà tuo sposo. Or, me presente, Per le pompe festive il cenno ei diede.
Vitellia - (Dunque Sesto ha taciuto! Oh amore! oh fede!) Annio, Servilia, andiam. (Ma dove corro Così, senza pensar?). Partite, amici: Vi seguirò.
Annio - Ma, se d'un tardo aiuto Sesto fidar si dee, Sesto è perduto. (parte)
Vitellia - Precedimi tu ancor. (a Servilia) Un breve istante Sola restar desio.
Servilia - Deh! non lasciarlo Nel più bel fior degli anni Perir così. Sai che fin or di Roma Fu la speme e l'amore. Al fiero eccesso Chi sa chi l'ha sedotto. In te sarebbe Obbligo la pietà. Quell'infelice T'amò più di se stesso; avea fra' labbri Sempre il tuo nome; impallidia qualora Si parlava di te. Tu piangi!
Vitellia - Ah! parti.
Servilia - Ma tu perché restar? Vitellia, ah! parmi...
Vitellia - Oh dèi! parti, verrò: non tormentarmi!
Servilia - Se altro che lagrime Per lui non tenti, Tutto il tuo piangere Non gioverà. A questa inutile Pietà che senti, Oh, quanto è simile La crudeltà! (parte)
SCENA XI
Vitellia.
Vitellia - Ecco il punto, o Vitellia, D'esaminar la tua costanza. Avrai Valor che basti a rimirare esangue Il tuo Sesto fedel? Sesto, che t'ama Più della vita sua? che per tua colpa Divenne reo? che t'ubbidì crudele? Che ingiusta t'adorò? che in faccia a morte Sì gran fede ti serba? E tu frattanto, Non ignota a te stessa, andrai tranquilla Al talamo d'Augusto? Ah! mi vedrei Sempre Sesto d'intorno, e l'aure e i sassi Temerei che loquaci Mi scoprissero a Tito. A' piedi suoi Vadasi il tutto a palesar. Si scemi Il delitto di Sesto, Se scusar non si può. Speranze, addio, D'impero e d'imenei! nutrirvi adesso Stupidità saria. Ma, pur che sempre Questa smania crudel non mi tormenti, Si gettin pur l'altre speranze a' venti.
Getta il nocchier talora Pur que' tesori all'onde, Che da remote sponde Per tanto mar portò; E, giunto al lido amico, Gli dèi ringrazia ancora, Che ritornò mendico, Ma salvo ritornò. (parte)
SCENA XII
Luogo magnifico, che introduce a vasto anfiteatro, di cui per diversi archi scopresi la parte interna. Si vedranno già nell'arena i complici della congiura condannati alle fiere.
Nel tempo che si canta il coro, esce Tito, preceduto da' littori, circondato da' senatori e patrizi romani, e seguito da' pretoriani; indi Annio e Servilia da diverse parti.
CORO
Che del Ciel, che degli dèi Tu il pensier, l'amor tu sei, Grand'eroe, nel giro angusto Si mostrò di questo dì. Ma cagion di meraviglia Non è già, felice Augusto, Che gli dèi chi lor somiglia Custodiscano così.
( sulla fine del coro suddetto giunge Tito nell'atrio, e nel tempo medesimo Annio e Sesto da diverse parti)
Tito - Pria che principio a' lieti Spettacoli si dia, custodi, innanzi Conducetemi il reo. (Più di perdono Speme ei non ha: quanto aspettato meno, Più caro esser gli dee).
Annio - Pietà, signore!
Servilia - Signor, pietà!
Tito - Se a chiederla venite Per Sesto, è tardi. È il suo destin deciso.
Annio - E sì tranquillo in viso Lo condanni a morir?
Servilia - Di Tito il core Come il dolce perdé costume antico?
Tito - Ei s'appressa: tacete!
Servilia - Oh Sesto!
Annio - Oh amico!
SCENA ULTIMA
Publio e Sesto fra' littori, poi Vitellia, e detti.
Tito - Sesto, de' tuoi delitti Tu sai la serie, e sai Qual pena ti si dee. Roma sconvolta, L'offesa maestà, le leggi offese, L'amicizia tradita, il mondo, il Cielo Voglion la morte tua. De' tradimenti Sai pur ch'io son l'unico oggetto. Or senti.
Vitellia - Eccoti, eccelso Augusto, (s'inginocchia) Eccoti al piè la più confusa...
Tito - Ah! sorgi: Che fai? che brami?
Vitellia - Io ti conduco innanzi L'autor dell'empia trama.
Tito - Ov'è? chi mai Preparò tante insidie al viver mio?
Vitellia - Nol crederai.
Tito - Perché?
Vitellia - Perché son io.
Tito - Tu ancora!
Sesto e Servilia - Oh stelle!
Annio e Publio - Oh numi!
Tito - E quanti mai, Quanti siete a tradirmi?
Vitellia - Io la più rea Son di ciascuno; io meditai la trama; Il più fedele amico Io ti sedussi; io del suo cieco amore A tuo danno abusai.
Tito - Ma del tuo sdegno Chi fu cagion?
Vitellia - La tua bontà. Credei Che questa fosse amor. La destra e il trono Da te speravo in dono; e poi negletta Restai due volte, e procurai vendetta.
Tito - Ma che giorno è mai questo! Al punto istesso Che assolvo un reo, ne scopro un altro! E quando Troverò, giusti numi! Un'anima fedel? Congiuran gli astri, Cred'io, per obbligarmi, a mio dispetto, A diventar crudel. No! non avranno Questo trionfo. A sostener la gara Già s'impegnò la mia virtù. Vediamo Se più costante sia L'altrui perfidia o la clemenza mia. Olà! Sesto si sciolga: abbian di nuovo Lentulo e i suoi seguaci E vita e libertà. Sia noto a Roma Ch'io son l'istesso, e ch'io Tutto so, tutti assolvo e tutto oblio.
Publio e Annio - Oh generoso!
Servilia - E chi mai giunse a tanto?
Sesto - Io son di sasso!
Vitellia - Io non trattengo il pianto!
Tito - Vitellia, a te promisi La destra mia; ma...
Vitellia - Lo conosco, Augusto: Non è per me. Dopo un tal fallo, il nodo Mostruoso saria.
Tito - Ti bramo in parte Contenta almeno. Una rival sul trono Non vedrai, tel prometto. Altra io non voglio Sposa che Roma: i figli miei saranno I popoli soggetti; Serbo indivisi a lor tutti gli affetti. Tu d'Annio e di Servilia Agl'imenei felici unisci i tuoi, Principessa, se vuoi. Concedi pure La destra a Sesto: il sospirato acquisto Già gli costa abbastanza.
Vitellia - Infin ch'io viva Fia sempre il tuo voler legge al mio core.
Sesto - Ah Cesare! ah, signore! e poi non soffri Che t'adori la terra e che destini Tempii il Tebro al tuo nume? E come, e quando Sperar potrò che la memoria amara De' falli miei...
Tito - Sesto, non più: torniamo Di nuovo amici, e de' trascorsi tuoi Non si parli più mai. Dal cor di Tito Già cancellati sono: Me gli scordo, t'abbraccio e ti perdono.
CORO
Che del Ciel, che degli dèi Tu il pensier, l'amor tu sei, Grand'eroe, nel giro angusto Si mostrò di questo dì. Ma cagion di meraviglia Non è già, felice Augusto, Che gli dèi chi lor somiglia Custodiscano così.
LICENZA
Non crederlo, signor; te non pretesi Ritrarre in Tito. Il rispettoso ingegno Sa le sue forze appieno, Né a questo segno io gli rallento il freno. Veggo ben che ciascuno Ti riconobbe in lui. So che tu stesso Quegli affetti clementi, Che in sen Tito sentiva, in sen ti senti. Ma, Cesare, è mia colpa La conoscenza altrui? È colpa mia che tu somigli a lui? Ah! vieta, invitto Augusto, Se le immagini tue mirar non vuoi, Vieta alle Muse il rammentar gli eroi.
Sempre l'istesso aspetto Ha la virtù verace; Benché in diverso petto, Diversa mai non è. E ogni virtù più bella Se in te, signor, s'aduna, Come ritrarne alcuna Che non somigli a te?
FINE DEL DRAMMA
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