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ARGOMENTO
Navigava il giovane Gernando colla sua giovanetta sposa Costanza e con la piccola Silvia ancora infante, di lei sorella, per raggiungere nell'Indie Occidentali il suo genitore, a cui era commesso il governo di una parte di quelle; quando da una lunga e pericolosa tempesta fu costretto a discendere in un'isola disabitata per dar agio alla bambina ed alla sposa di ristorarsi in terra delle agitazioni del mare. Mentre queste placidamente riposavano in una nascosta grotta, che loro offerse comodo ed opportuno ricetto, l'infelice Gernando con alcuni de' suoi seguaci fu sorpreso, rapito e fatto schiavo da una numerosa schiera di pirati barbari, che ivi sventuratamente capitarono. I suoi compagni, che videro dalla nave confusamente il tumulto, e crederono rapite con Gernando la bambina e la sposa, si diedero ad inseguire i predatori; ma, perduta in poco tempo la traccia, ripresero il loro interrotto cammino. Desta la sventurata Costanza, dopo aver cercato lungamente in vano lo sposo e la nave che l'avea colà condotta, si credé, come Arianna, tradita ed abbandonata dal suo Gernando. Quando i primi impeti del suo disperato dolore cominciarono a dar luogo al naturale amor della vita, si rivolse ella, come saggia, a cercar le vie di conservarsi in quell'abbandonata segregazion de' viventi; ed ivi dell'erbe e delle frutte, onde abbondava il terreno, si andò lunghissimo tempo sostenendo con la picciola Silvia, ed inspirando l'odio e l'orrore da lei concepito contro tutti gli uomini all'innocente che non li conosceva. Dopo tredici anni di schiavitù, riuscì a Gernando di liberarsi. La prima sua cura fu di tornare a quell'isola, dove aveva involontariamente abbandonata Costanza, benché senz'alcuna speranza di ritrovarla in vita.
L'inaspettato incontro de' teneri sposi è l'azione che si rappresenta.
INTERLOCUTORI
Costanza moglie di Gernando.
Silvia di lei sorella minore.
Enrico compagno di Gernando.
Gernando consorte di Costanza.
SCENA I
Parte amenissima di picciola e disabitata isoletta a vista del mare, ornata distintamente dalla natura di strane piante, di capricciose grotte e di fioriti cespugli. Gran sasso molto innanzi dal destro lato, sul quale si legge impressa un'iscrizione non finita in caratteri europei.
Costanza, vestita a capriccio di pelli, di fronde e di fiori, con elsa e parte di spada logora alla mano, in atto di terminare l'imperfetta iscrizione.
Costanza - Qual contrasto non vince
L'indefesso sudor! Duro è quel sasso,
L'istromento è mal atto,
Inesperta la mano; e pur dell'opra
Eccomi al fin vicina. Ah sol concedi
Ch'io la vegga compita,
E da sì acerba vita
Poi mi libera, o Ciel. Se mai la sorte
Ne' dì futuri alcun trasporta a questo
Incognito terreno,
Dirà quel marmo almeno
Il mio caso funesto e memorando.
(legge l'iscrizione)
Dal traditor Gernando
Costanza - abbandonata, i giorni suoi
In questo terminò lido straniero.
Amico passeggiero,
Se una tigre non sei
O vendica o compiangi... i casi miei.
Questo sol manca. A terminar s'attenda
Dunque l'opra che avanza
(torna al lavoro)
SCENA II
Silvia frettolosa ed allegra, e detta.
Silvia - Ah germana! Ah Costanza!
Costanza - Che avvenne, o Silvia? Onde la gioia?
Silvia - Io sono
Fuor di me di piacer.
Costanza - Perché?
Silvia - La mia
Amabile cervetta,
In van per tanti dì pianta e cercata,
Da se stessa è tornata.
Costanza - E ciò ti rende
Lieta così?
Silvia - Poco ti pare? È quella
La mia cura, il sai pur, la mia compagna,
La dolce amica mia. M'ama, m'intende,
Mi dorme in sen, mi chiede i baci, è sempre
Dal mio fianco indivisa in ogni loco:
La perdei; la ritrovo; e ti par poco?
Costanza - Che felice innocenza! (torna al lavoro)
Silvia - E ho da vederti
Sempre in pianti, o germana?
Costanza - E come il ciglio
Mai rasciugar potrei?
Già sette volte e sei
L'anno si rinnovò da che lasciata
In sì barbara guisa,
Da' viventi divisa,
Di tutto priva e senza speme, oh Dio!
Di mai tornar su la paterna arena,
Vivo morendo: e tu mi vuoi serena?
Silvia - Ma per esser felici
Che manca a noi? Qui siam sovrane. È questa
Isoletta ridente il nostro regno;
Sono i sudditi nostri
Le mansuete fiere. A noi produce
La terra, il mar. Dalla stagione ardente
Ci difendon le piante, i cavi sassi
Dalla fredda stagion; né forza o legge
Qui col nostro desio mai non contrasta.
Or di', che basterà, se ciò non basta?
Costanza - Ah tu del ben, che ignori,
La mancanza non senti. Atta del labbro
A far uso non eri, o del pensiero,
Quando qui si approdò; né d'altro oggetto
Che di ciò che hai presente
Serbi le tracce in mente. Io, ch'era allora
Quale or tu sei, paragonar ben posso,
(Oh memoria molesta!)
Con quel ben che perdei, quel che mi resta.
Silvia - Spesso esaltar t'intesi
Le ricchezze, il saper, l'arti, i costumi,
Le delizie europee; ma con tua pace
Questa assai più tranquillità mi piace.
Costanza - Silvia, v'è gran distanza
Dall'udire al veder.
Silvia - Ma pur le belle
Contrade che tu vanti
D'uomini son feconde; e questi sono
La specie de' viventi
Nemica a noi. Tu mille volte e mille
Non mi dicesti...
Costanza - Ah sì, tel dissi, e mai
Non tel dissi abbastanza. Empii, crudeli,
Perfidi, ingannatori,
D'ogni fiera peggiori,
Che sia pietà non sanno;
Non conoscon, non hanno
Né amor, né fé, né umanità nel seno. (piange)
Silvia - E ben, da lor qui siam sicure almeno.
Ma... tu piangi di nuovo! Ah no, se m'ami,
Non t'affligger così. Che far poss'io,
Cara, per consolarti? (la prende per mano.)
Brami la mia cervetta? Asciuga il pianto,
E in tuo poter rimanga.
Costanza - Ah troppo, o Silvia mia, giusto è ch'io pianga.
(abbracciandola)
Se non piange un'infelice,
Da' viventi separata,
Dallo sposo abbandonata,
Dimmi, oh Dio, chi piangerà?
Chi può dir ch'io pianga a torto,
Se né men sperar mi lice
Questo misero conforto
D'ottener l'altrui pietà. (parte)
Alla replica dell'Aria si vede passar di lontano a vele gonfie una nave, dalla quale scendono sul palischermo Gernando ed Enrico in abito indiano che sbarcan poi sul lido.
SCENA III
Silvia sola.
Silvia - Che ostinato dolor! Quel pianger sempre
Mi fa sdegno e pietà. Prego, consiglio,
Sgrido, accarezzo, ed ogni sforzo è vano.
Ma l'enigma più strano è che, qualora
Consolarla desio,
Il suo pianto s'accresce, e piango anch'io.
Seguiamo almeno i passi suoi...
(nel voler partire s'avvede della nave.)
Ma... quale
Sorge colà sul mar mole improvvisa?
Uno scoglio non è. Cangiar di loco
Un sasso non potrebbe. E un sì gran mostro
Come va sì leggier! L'acqua divisa
Fa dietro biancheggiar! Quasi nel corso
Allo sguardo s'invola:
Porta l'ali sul dorso, e nuota, e vola!
A Costanza si vada:
Ella saprà se un conosciuto è questo
Abitator dell'elemento infido;
E almen...
(nel partire vede non veduta Gernando ed Enrico)
Misera me! Gente è sul lido.
Che fo? Chi mi soccorre? Ah... di spavento
Così... son io ripiena...
Che a fuggir... che a celarmi... ho forza appena.
(si nasconde fra' cespugli)
SCENA IV
Gernando, Enrico in abito indiano dal palischermo, e Silvia in disparte.
Enrico - Ma sarà poi, Gernando,
Questo il terren che cerchi?
Gernando - Ah sì; nell'alma
Dipinto mi restò per man d'Amore,
E co' palpiti suoi l'afferma il core.
Silvia - (Potessi almen veder quei volti).
Enrico - È molto
Facile errar.
Gernando - No, caro Enrico; è desso:
Riconosco ogni sasso. Ecco lo speco
Dove in placido obblio con Silvia in braccio
Lasciai l'ultima volta
La mia sposa, il mio ben, l'anima mia,
E mai più non la vidi. Ecco ove fui
Da' pirati assalito:
Qua mi trovai ferito,
Là mi cadde l'acciaro. Ah caro amico,
Ogn'indugio è delitto;
Andiam. Tu da quel lato,
Da questo io cercherò. L'isola è angusta;
Smarrirci non possiam. Poca speranza
Ho di trovar Costanza;
Ma l'istesso terreno
Ch'è tomba a lei, sarà mia tomba almeno.
(parte)
SCENA V
Enrico, e Silvia in disparte.
Silvia - (Nulla intender poss'io).
Enrico - Tenero in vero
È il caso di Gernando. Appena è sposo,
Dée con la sua diletta
Fidarsi al mar. Fra gl'inquieti flutti
Languir la vede; a ristorarla in questa
Spiaggia discende; ella riposa, ed egli
Da barbari rapito,
Tratto a contrade ignote,
In servitù vive tant'anni, e senza
Notizia più del sospirato oggetto.
Silvia - (Pur si rivolse al fin. Che dolce aspetto!)
Enrico - Parla a ciascun l'umanità per lui,
L'obbligo a me. La libertà gli deggio,
Primo dono del Ciel. Spietato ogni altro
Sarebbe; ingrato io sono
Se manco a lui. D'abborrimento è degna
Ogni anima spietata;
Ma l'orror de' viventi è un'alma ingrata.
Benché di senso privo,
Fin l'arboscello è grato
A quell'amico rivo
Da cui riceve umor.
Per lui di frondi ornato
Bella mercé gli rende,
Quando dal sol difende
Il suo benefattor.
(parte)
SCENA VI
Silvia sola.
Silvia - Che fu mai quel ch'io vidi!
Un uom non è: gli si vedrebbe in volto
La ferocia dell'alma. Empii, crudeli
Gli uomini sono, e di ragione avranno
Impresso nel sembiante il cor tiranno.
Una donna né pure: avvolto in gonna
Non è come noi siam. Qualunque ei sia,
È un amabile oggetto. Alla germana
A dimandarne andrò... Ma il piè ricusa
D'allontanarsi. Oh stelle!
Chi mi fa sospirar? Perché sì spesso
Mi batte il cor? Sarà timor. No; lieta
Non sarei, se temessi. È un altro affetto
Quel non so che, che mi ricerca il petto.
Fra un dolce deliro
Son lieta e sospiro:
Quel volto mi piace,
Ma pace non ho.
Di belle speranze
Ho pieno il pensiero;
E pur quel ch'io spero
Conoscer non so.
(parte)
SCENA VII
Gernando solo affannato, indi Enrico.
Gernando - Ah presaga fu l'alma
Di sue sventure. In van m'affretto; in vano
Cerco, chiamo, m'affanno: un'orma, un segno
Dell'idol mio non trovo. Ov'è l'amico?
Forse ei più fortunato... Enrico... Enrico?
Cerchisi... Oh Dio, non posso: oh Dio, m'opprime
La stanchezza e il dolor! Là su quel sasso
Si respiri e si attenda...
(nell'appressarsi Gernando vede l'iscrizione)
Come! Note europee? Stelle! Il mio nome!
Chi ve l'impresse e quando? (legge)
Dal traditor Gernando
Costanza - abbandonata, i giorni suoi
In questo terminò lido straniero...
Io manco. (s'appoggia al sasso.)
Enrico - Ah mi conforta!
Sai Costanza ove sia?
Gernando - (appoggiato al sasso)
Costanza - è morta.
Enrico - Come!
Gernando - Leggi. (accennando l'iscrizione)
Enrico - Infelice! (legge piano le prime parole, e poi esclama.)
I giorni suoi
In questo terminò lido straniero.
Amico passeggiero,
Se una tigre non sei
O vendica o compiangi... Appien compita
L'opra non è.
Gernando - Non le bastò la vita. (cade piangendo sul sasso)
Enrico - Oh tragedia funesta! Ah piangi, amico;
Le lagrime son giuste. Io t'accompagno,
T'accompagnano i sassi. Unico in tanto
Dolor, ma gran conforto, è che rimorsi
Almen non hai. Facesti
Quanto da un uom richiede
E l'amore e la fede,
E la ragione e l'onestà. Non piacque
Al Ciel di secondarti. Or non ti resta
Che piegar, come pio, la fronte umìle
Ai decreti supremi; e, come saggio,
Abbandonar questa crudel contrada.
Gernando - Abbandonarla! E dove vuoi ch'io vada?
Ove speri ch'io possa
Più riposo trovar! Questo è il soggiorno
Che il Ciel mi destinò.
Enrico - Ma che pretendi?
Gernando - Respirar, fin ch'io viva,
Sempre quell'aure istesse
Che il mio ben respirò; di questi oggetti
Nutrire il mio tormento;
Tornare ogni momento
Questo sasso a baciar; viver penando;
Compire il mio destino
Col suo nome fra' labbri, a lei vicino.
Enrico - Ah Gernando, ah che dici!
E la patria? e gli amici?
E il vecchio genitor?...
Gernando - L'ucciderei,
Se in questo stato io mi mostrassi a lui.
Va'; per me tu l'assisti:
Mi fido di te. Se del mio caso ei chiede,
Raddolcisci narrando il caso mio.
Enrico - E tu speri ch'io possa...
Gernando - Amico, addio.
Non turbar quand'io mi lagno,
Caro amico, il mio cordoglio:
Io non voglio altro compagno
Che il mio barbaro dolor.
Qual conforto in questa arena
Un amico a me saria?
Ah la mia nella sua pena
Renderebbesi maggior! (parte)
SCENA VIII
Enrico solo.
Enrico - Non s'irrìti fra' primi
Impeti il suo dolor. Merita il caso
Questo riguardo; e s'ei persiste, a forza
Quindi svellerlo è d'uopo. Olà. Dovrebbe
Colà sul palischermo alcun de' nostri
Trovarsi pure. Olà. (escono due marinari)
Conviene, amici,
Rapir Gernando. Ei, di dolore insano,
Non vuol con noi partir. V'è noto il sito
Dove colà fra' sassi
Scorre limpido un rio? Selvoso è il loco,
E all'insidie opportuno. Ivi nascosti,
Ch'egli passi aspettate,
E alla nave il traete. Udiste? Andate.
(partono i marinari)
SCENA IX
Enrico innanzi dalla sinistra, Silvia indietro dal medesimo lato, avanzandosi verso la destra senza vederlo.
Silvia - Dov'è Costanza? Io non la trovo. A lei
Tutto narrar vorrei.
Enrico - (la sente e si rivolge)
Che miro! Ascolta,
Bella ninfa.
Silvia - Ah di nuovo
Tu sei qui! (in atto di fuggire)
Enrico - Perché fuggi? Odi un momento.
Silvia - Che vuoi da me? (dalla scena)
Enrico - Solo ammirarti, e solo
Teco parlar.
Silvia - Prometti
Di parlarmi da lungi. (dalla scena)
Enrico - Io lo prometto.
(Che sembiante gentil!) (scostandosi)
Silvia - (avvicinandosi)
(Che dolce aspetto!)
Enrico - Ma di tanto spavento
Qual cagione in me trovi? Al fin non sono
Un aspide, una fiera. Un uomo al fine
Render non ti dovria così smarrita.
Silvia - Un uom sei dunque? (turbandosi)
Enrico - Un uom.
Silvia - (fugge spaventata)
Soccorso! Aita!
Enrico - Ferma. (la raggiunge e la trattiene)
Silvia - Pietà, mercé! Nulla io ti feci:
Non essermi crudel. (inginocchiandosi)
Enrico - (la solleva.)
Deh sorgi, o cara:
Cara, ti rassicura. Ah mi trafigge
Quell'ingiusto timore.
Silvia - (Ch'io mi fidi di lui mi dice il core).
Enrico - Di', se cortese sei come sei bella:
La povera Costanza
Dove, quando restò di vita priva?
Silvia - Costanza? Lode al Ciel, Costanza è viva.
Enrico - Viva! Ah Silvia gentil, ché al sito, agli anni
Certo Silvia tu sei, corri a Costanza.
A Gernando io frattanto...
Silvia - Ah dunque è teco
Quel crudel, quell'ingrato?
Enrico - Chiamalo sventurato,
Ma non crudele. Ah, non tardar: sarebbe
Tirannia differir le gioie estreme
Di due sposi sì fidi.
Silvia - Andiamo insieme.
Enrico - No; se insieme ne andiam, bisogna all'opra
Tempo maggior. Va. Qui con lei ritorna;
Con lui qui tornerò. (in atto di partire)
Silvia - Senti: e il tuo nome?
Enrico - Enrico. (come sopra)
Silvia - Odimi. Ah troppo (con affetto)
Non trattenerti.
Enrico - Onde la fretta, o cara?
Silvia - Non so. Mesta io mi trovo
Subito che mi lasci; e in un momento
Poi rallegrar mi sento allor che torni.
Enrico - Ed io teco vivrei tutti i miei giorni. (parte)
SCENA X
Silvia sola.
Silvia - Che mai m'avvenne! Ei parte,
E mi resta presente? Ei parte, ed io
Pur sempre col pensier lo vo seguendo?
Perché tanto affannarmi? Io non m'intendo.
Non so dir se pena sia
Quel ch'io provo, o sia contento;
Ma se pena è quel ch'io sento,
Oh che amabile penar!
È un penar che mi consola,
Che m'invola ogni altro affetto,
Che mi desta un nuovo in petto,
Ma soave palpitar. (parte)
SCENA XI
Costanza sola.
Costanza - Ah che in van per me pietoso
Fugge il tempo e affretta il passo:
Cede agli anni il tronco, il sasso;
Non invecchia il mio martìr.
Non è vita una tal sorte;
Ma sì lunga è questa morte,
Ch'io son stanca di morir.
(finita la seconda parte dell'Aria, s'abbandona a sedere sopra un tronco alla sinistra, e ripete sedendo la prima parte.)
Giacché da me lontana
L'innocente germana
Mi lascia in pace, al doloroso impiego
Torni la man. (torna al lavoro)
SCENA XII
Gernando e detta.
Gernando - Giacché il pietoso amico (senza veder Costanza)
Lungi ha rivolto il passo,
Quell'adorato sasso
Si torni a ribaciar. Ma... Chi è colei? (la vede)
Donde venne? Che fa?
Costanza - Tu sudi, e forse
Resterà sempre ignoto,
Infelice Costanza, il tuo lavoro.
Gernando - Costanza! Ah sposa!
(l'abbraccia: Costanza si rivolge e lo riconosce)
Costanza - Ah traditore! Io moro. (sviene sopra il sasso)
Gernando - Mio ben!... Non ode. Oh Dio!
Perdé l'uso de' sensi. Ah qualche stilla
Di fresco umor... Dove potrei... Sì; scorre
Non lungi un rio; poc'anzi il vidi... E deggio
L'idol mio così solo
Abbandonar? Ritornerò di volo. (parte in fretta.)
SCENA XIII
Enrico, e Costanza svenuta.
Enrico - Ignora il caro amico
Le sue felicità. Da me s'asconde;
Rinvenirlo non so... Ma su quel sasso
Una ninfa riposa! (s'appressa e l'osserva)
Silvia - non è; dunque è Costanza. Oh come
Ha pien di morte il volto!
Costanza - (comincia a rinvenire)
Aimè!
Enrico - Costanza?
Costanza - Lasciami. (senza guardarlo)
Enrico - Ah del tuo sposo
Vivi all'amor verace.
Costanza - Lasciami, traditor, morire in pace. (come sopra)
Enrico - Io traditor! Non mi conosci.
Costanza - Oh stelle!
(si rivolge e lo guarda con ammirazione e spavento)
Gernando - ov'è? Tu non sei più l'istesso?
Ho sognato poc'anzi, o sogno adesso?
Enrico - Non sognasti e non sogni. Il tuo Gernando
Vedesti, a quel che ascolto:
Di lui l'amico or vedi.
Costanza - E mi ritorna innanzi? Ei che ha potuto
Lasciarmi in abbandono!
Enrico - Ah l'infelice
Non ti lasciò, ma fu rapito.
Costanza - Quando?
Enrico - Quando immersa nel sonno
Tu colà riposavi. (accennando la grotta)
Costanza - Chi lo rapì?
Enrico - Di barbari pirati
Un assalto improvviso. Ei si difese,
Ma, nella man ferito,
Perdé l'acciaro; il numero l'oppresse,
E restò prigionier.
Costanza - Ma sino ad ora...
Enrico - Ma sino ad or non ebbe
Libero che il pensiero; e a te vicino
Col suo pensier fu sempre.
Costanza - Oh Dio, qual torto,
Mio Gernando, io ti feci!
Enrico - Eccolo al fine
Sciolto da' lacci: eccolo a te. Ritorna
Fido e tenero sposo
A renderti il riposo,
A calmare il tuo pianto,
A viver teco ed a morirti accanto.
Costanza - Ah mio Gernando, ah dove sei?
(incamminandosi alla sinistra)
SCENA ULTIMA
Silvia dalla destra e detti; indi Gernando dal lato medesimo.
Silvia - Costanza,
Costanza? Il tuo Gernando
In van cerchi colà. Per te poc'anzi
Quinci al fonte affrettossi, ed assalito
(accennando alla destra)
Ritornar non poté.
Costanza - Stelle! Assalito?
Da chi? Perché?
Enrico - Perdona;
Il fallo è mio. Perch'ei ti tenne estinta
E qui restar volea, rapirlo a forza
A' nostri imposi.
Costanza - Andiamo
A toglierlo d'impaccio. (vuol partire)
Silvia - Aspetta: io tutto
Già lor spiegai.
Costanza - Che aspetti ancor? Tant'anni
Non attesi abbastanza? È tempo, è tempo
Che di mia sorte amara
Io trovi il fine.
(rivolgendosi per partire si trova fra le braccia di Gernando)
Gernando - In queste braccia, o cara.
Costanza - Ed è vero?
Gernando - E non sogno?
Costanza - Gernando è meco?
Gernando - Ho la mia sposa accanto?
Enrico - Quegli amplessi, quel pianto,
Quegli accenti interrotti
Mi fanno intenerir.
Silvia - (va ad Enrico.)
Che pensi, Enrico?
Di te Gernando è più gentile. Osserva
Com'ei parla a Costanza:
E tu nulla mi dici.
Enrico - Eccomi pronto,
Se pur caro io ti sono,
A dir ciò che tu vuoi.
Silvia - (tenera e lieta molto)
Se mi sei caro?
Più della mia cervetta.
Enrico - E ben, mi porgi
Dunque la man: sarai mia sposa.
Silvia - Io sposa?
Oh questo no! Sarei ben folle. In qualche
Isola resterei
A passar solitaria i giorni miei.
Costanza - No, Silvia, il mio Gernando
Non mi lasciò: tutto saprai. Non sono
Gli uomini, come io dissi,
Inumani ed infidi.
Silvia - Quando Enrico conobbi, io me ne avvidi.
Costanza - A torto gli accusai. Dell'error mio
Or mi disdico.
Silvia - E mi disdico anch'io. (porgendo la mano ad Enrico)
CORO
Allor che il ciel s'imbruna
Non manchi la speranza
Fra l'ire del destin.
Si stanca la Fortuna;
Resiste la Costanza;
E si trionfa al fin.
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