Pietro Metastasio - Opera Omnia >>  Temistocle




 

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Dramma rappresentato con musica del Caldara la prima volta in Vienna nel gran teatro della Corte il dì 4 novembre 1736.



PERSONAGGI

 
SERSE  re di Persia.
 
TEMISTOCLE
 
ASPASIA  figliuol di Temistocle.
 
NEOCLE  figliuol di Temistocle.
 
ROSSANE  principessa del sangue reale, amante di Serse.
 
LISIMACO  ambasciatore de' Greci.
 
SEBASTE  confidente di Serse.
 

La scena si rappresenta in Susa.




ATTO PRIMO

SCENA I

Deliziosa nel palazzo di Serse.

Temistocle e Neocle.

Neocle - Che fai?

Temistocle - Lascia ch'io vada
Quel superbo a punir. Vedesti, o padre,
Come ascoltò le tue richieste? E quanti
Insulti mai dobbiam soffrir?

Temistocle - Raffrena
Gli ardori intempestivi. Ancor supponi
D'essere in Grecia, e di vedermi intorno
La turba adulatrice,
Che s'affolla a ciascun quando è felice?
Tutto, o Neocle, cambiò. Debbono i saggi
Adattarsi alla sorte. È del nemico
Questa la reggia: io non son più d'Atene
La speranza e l'amor. Mendico ignoto,
Esule, abbandonato,
Ramingo, discacciato,
Ogni cosa perdei: sola m'avanza,
E il miglior mi restò, la mia costanza.

Neocle - Ormai, scusa, o signor, quasi m'irrìta
Questa costanza tua. Ti vedi escluso
Da quelle mura istesse
Che il tuo sangue serbò; trovi per tutto
Della patria inumana
L'odio persecutor che ti circonda,
Che t'insidia ogni asilo, e vuol ridurti
Che a tal segno si venga,
Che non abbi terren che ti sostenga:
E lagnar non t'ascolto!
E tranquillo ti miro! Ah! come puoi
Soffrir con questa pace
Perversità sì mostruosa?

Temistocle - Ah! figlio,
Nel cammin della vita
Sei nuovo pellegrin: perciò ti sembra
Mostruoso ogni evento. Il tuo stupore
Non condanno però: la meraviglia
Dell'ignoranza è figlia
E madre del saper. L'odio, che ammiri,
È de' gran benefizi
La mercé più frequente. Odia l'ingrato,
E assai ve n'ha, del benefizio il peso
Nel suo benefattor; ma l'altro in lui
Ama all'incontro i benefizi sui.
Perciò diversi siamo:
Quindi m'odia la patria, e quindi io l'amo.

Neocle - Se solo ingiusti, o padre,
Fosser gli uomini teco, il soffrirei;
Ma con te sono ingiusti ancor gli dèi.

Temistocle - Perché?

Neocle - Di tua virtù premio si chiama
Questa misera sorte?

Temistocle - E, fra la sorte
O misera o serena,
Sai tu ben quale è premio e quale è pena?

Neocle - Come?

Temistocle - Se stessa affina
La virtù ne' travagli, e si corrompe
Nelle felicità. Limpida è l'onda
Rotta fra' sassi, e, se ristagna, è impura.
Brando, che inutil giace,
Splendeva in guerra, è rugginoso in pace.

Neocle - Ma il passar da' trionfi
A sventure sì grandi...

Temistocle - Invidieranno
Forse l'età future,
Più che i trionfi miei, le mie sventure.

Neocle - Sia tutto ver. Ma qual cagion ti guida
A cercar nuovi rischi in questo loco?
L'odio de' Greci è poco? Espor de' Persi
Anche all'ire ti vuoi? Non ti sovviene
Che l'assalita Atene
Uscì per te di tutta l'Asia a fronte,
Serse derise e il temerario ponte?
Deh! non creder sì breve
L'odio nel cor d'un re. Se alcun ti scopre,
A chi ricorri? Hai gran nemici altrove:
Ma qui son tutti. A ciascheduno ha tolto,
Nella celebre strage il tuo consiglio
O l'amico o il congiunto o il padre o il figlio.
Deh! per pietà, signore,
Fuggiam...

Temistocle - Taci: da lungi
Veggo alcuno appressar. Lasciami solo;
Attendimi in disparte.

Neocle - E non poss'io
Teco, o padre, restar?

Temistocle - No: non mi fido
Della tua tolleranza; e il nostro stato
Molta ne chiede.

Neocle - Ora...

Temistocle - Ubbidisci.

Neocle - Almeno
In tempesta sì fiera
Abbi cura di te.

Temistocle - Va; taci e spera.

Neocle - Ch'io speri! Ah! padre amato,
E come ho da sperar?
Qual astro ha da guidar
La mia speranza?
Mi fa tremar del fato
L'ingiusta crudeltà;
Ma più tremar mi fa
La tua costanza. (parte)



SCENA II

Aspasia, Sebaste, Temistocle in disparte.

Temistocle - (Uom d'alto affare, al portamento, al volto
Quegli mi par: sarà men rozzo. A lui
Chieder potrò... Ma una donzella è seco,
E par greca alle vesti).

Aspasia - (a Sebaste)Odi.

Sebaste - (in atto di partire) Non posso, Bella Aspasia, arrestarmi:
M'attende il re.

Aspasia - Solo un momento. È vero
Questo barbaro editto?

Sebaste - È ver. Chi a Serse
Temistocle conduce estinto o vivo,
Grandi premi otterrà. (incamminato per partire)

Aspasia - (Padre infelice!)

Temistocle - Signor, dimmi, se lice (incontrando Sebaste)
Tanto saper: può del gran Serse al piede
Ciascuno andar? Quando è permesso, e dove?

Aspasia - (Come il padre avvertir?)

Sebaste - (a Temistocle con disprezzo) Chiedilo altrove.

Temistocle - Se forse errai, cortese
M'avverti dell'error. Stranier son io
E de' costumi ignaro.

Sebaste - Aspasia, addio. (dopo aver guardato Temistocle come sopra, parte)



SCENA III

Temistocle ed Aspasia.

Temistocle - (Che fasto insano!)

Aspasia - (A queste sponde, o numi,
Deh! non guidate il genitor).

Temistocle - (Si cerchi
Da questa greca intanto
qualche lume miglior). Gentil donzella,
Se il Ciel... (Stelle, che volto!)

Aspasia - (Eterni dèi!
È il genitore, o al genitor somiglia).

Temistocle - Di'...

Aspasia - Temistocle!

Temistocle - Aspasia!

Aspasia - (s'abbracciano) Ah padre!

Temistocle - Ah, figlia!

Aspasia - Fuggi.

Temistocle - E tu vivi?

Aspasia - Ah! fuggi,
Caro mio genitor. Qual ti condusse
Maligna stella a questa reggia? Ah! Serse
Vuol la tua morte: a chi ti guida a lui
Premi ha proposti... Ah! non tardar: potrebbe
Scoprirti alcun.

Temistocle - Mi scoprirai con questo
Eccessivo timor. Di': quando in Argo
Io ti mandai per non lasciarti esposta
A' tumulti guerrieri, il tuo naviglio
Non si perdé?

Aspasia - Sì, naufragò, né alcuno
Campò dal mare. Io, sventurata, io sola
Alla morte rapita,
Con la mia libertà comprai la vita.

Temistocle - Come?

Aspasia - Un legno nemico all'onde... oh Dio!
Lo spavento m'agghiaccia... all'onde insane
M'involò semiviva;
Prigioniera mi trasse a questa riva.

Temistocle - È noto il tuo natal?

Aspasia - No: Serse in dono
Alla real Rossane
Mi diè non conosciuta. Oh, quante volte
Ti richiamai! con quanti voti il Cielo
Stancai per rivederti! Ah, non temei
Sì funesti adempiti i voti miei!

Temistocle - Rasserenati, o figlia: assai vicini
Han fra loro i confini
La gioia e il lutto; onde il passaggio è spesso
Opra sol d'un istante. Oggi potrebbe
Prender la nostra sorte un ordin nuovo:
Già son meno infelice or che ti trovo.

Aspasia - Ma qual mi trovi! in servitù. Qual vieni!
Solo, proscritto e fuggitivo. Ah! dove,
Misero genitor, dov'è l'usato
Splendor che ti seguia? le pompe, i servi,
Le ricchezze, gli amici?... Oh, ingiusti numi!
Oh, ingratissima Atene!
E il terren ti sostiene! e oziosi ancora
I fulmini di Giove...

Temistocle - Olà, più saggia
Regola, Aspasia, il tuo dolor. Mia figlia
Non è chi può lo scempio
Della patria bramar; né un solo istante
Tollero in te sì scellerata idea.

Aspasia - Quando tu la difendi, ella è più rea.

Temistocle - Mai più...

Aspasia - Parti una volta,
Fuggi da questo ciel.

Temistocle - Di che paventi,
Se ignoto a tutti...?

Aspasia - Ignoto a tutti! E dove
È Temistocle ignoto? Il luminoso
Carattere dell'alma, in fronte impresso,
Basta solo a tradirti. Oggi più fiero
Sarebbe il rischio. Un orator d'Atene
In Susa è giunto. A' suoi seguaci, a lui
Chi potrebbe celar...

Temistocle - Dimmi: sapresti
A che venga e chi sia?

Aspasia - No, ma fra poco
Il re l'ascolterà. Puoi quindi ancora
Il popolo veder, che già s'affretta
Al destinato loco.

Temistocle - Ognun che il brami
Andar vi può?

Aspasia - Sì.

Temistocle - Dunque resta: io volo
A render pago il desiderio antico,
Che ho di mirar d'appresso il mio nemico.

Aspasia - Ferma! misera me! che tenti? Ah! vuoi
Ch'io muoia di timor? Cambia, se m'ami,
Cambia pensier. Per questa mano invitta,
Che supplice e tremante
Torno a baciar; per quella patria istessa,
Che non soffri oltraggiata,
Che ami nemica e che difendi ingrata...

Temistocle - Vieni al mio sen, diletta Aspasia. In questi
Palpiti tuoi d'un'amorosa figlia
Conosco il cor. Non t'avvilir. La cura
Di me lascia a me stesso. Addio. L'aspetto
Della fortuna avara
Dal padre intanto a disprezzare impara.

Al furor d'avversa sorte
Più non palpita e non teme
Chi s'avvezza, allor che freme,
Il suo volto a sostener.
Scuola son d'un'alma forte
L'ire sue le più funeste,
Come i nembi e le tempeste
Son la scuola del nocchier. (parte)



SCENA IV

Aspasia, poi Rossane.

Aspasia - Ah! non ho fibra in seno
Che tremar non mi senta.

Rossane - Aspasia, io deggio
Di te lagnarmi. I tuoi felici eventi
Perché celar? Se non amica, almeno
Ti sperai più sincera.

Aspasia - (Ah! tutto intese.
Temistocle è scoperto).

Rossane - Impallidisci!
Non parli! È dunque ver? Sì gran nemica
Ho dunque al fianco mio?

Aspasia - Deh! principessa...

Rossane - Taci, ingrata! Io ti scopro
Tutta l'anima mia, di te mi fido;
E tu m'insidii intanto
Di Serse il cor!

Aspasia - (D'altro ragiona).

Rossane - È questa
De' benefizi miei
La dovuta mercé?

Aspasia - Rossane, a torto
E m'insulti e ti sdegni. Il cor di Serse
Possiedi pur, non tel contrasto: io tanto
Ignota a me non sono,
Né van le mie speranze insino al trono.

Rossane - Non simular. Mille argomenti ormai
Ho di temer. Da che ti vede, io trovo
Serse ogni dì più indifferente; osservo
Come attento ti mira; odo che parla
Troppo spesso di te, che si confonde
S'io d'amor gli ragiono; e, mendicando
Al suo fallo una scusa,
Della sua tiepidezza il regno accusa.

Aspasia - Pietoso e non amante
Forse è con me.

Rossane - Ciò, che pietà rassembra,
Non è sempre pietà.

Aspasia - Troppa distanza
V'è fra Serse ed Aspasia.

Rossane - Assai maggiori
Ne agguaglia Amor.

Aspasia - Ma una straniera...

Rossane - Appunto
Questo è il pregio ch'io temo. Han picciol vanto
Le gemme là dove n'abbonda il mare:
Son tesori fra noi, perché son rare.

Aspasia - Rossane, per pietà, non esser tanto
Ingegnosa a tuo danno. A te fai torto,
A Serse e a me. Se fra le cure acerbe
Del mio stato presente avesser parte
Quelle d'amor, non ne sarebbe mai
Il tuo Serse l'oggetto. Altro sembiante
Porto nel core impresso; e Aspasia ha un core
Che ignora ancor come si cambi amore.

Rossane - Tu dunque...



SCENA V

Sebaste, e dette.

Sebaste - Principessa,
Se vuoi mirarlo, or l'orator d'Atene
Al re s'invia.

Rossane - Verrò fra poco.

Aspasia - (a Sebaste) Ascolta.
È ancor noto il suo nome?

Sebaste - Lisimaco d'Egisto.

Aspasia - (Eterni dèi!
Questi è il mio ben). Ma perché venne?

Sebaste - Intesi
Che Temistocle cerchi.

Aspasia - (Ancor l'amante
Nemico al padre mio! Dunque fa guerra
Contro un misero sol tutta la terra).

Rossane - Precedimi, Sebaste. (parte Sebaste) Aspasia, addio.
Deh! non tradirmi.

Aspasia - Ah! scaccia
Questa dal cor gelosa cura. E come
Può mai trovar ricetto
In un'alma gentil sì basso affetto?

Rossane - Basta dir ch'io sono amante,
Per saper che ho già nel petto
Questo barbaro sospetto,
Che avvelena ogni piacer;
Che ha cent'occhi, e pur travede;
Che il mal finge, e il ben non crede;
Che dipinge nel sembiante
I delirii del pensier. (parte)



SCENA VI

Aspasia.

Aspasia - E sarà ver? Del genitore a danno
Vien Lisimaco istesso! Ah! l'incostante
Già m'obliò: mi crede estinta, e crede
Che agli estinti è follia serbar più fede.
Questo, fra tanti affanni,
Questo sol mi mancava, astri tiranni.

Chi mai d'iniqua stella
Provò tenor più rio?
Chi vide mai del mio
Più tormentato cor?
Passo di pene in pene;
Questa succede a quella;
Ma l'ultima che viene
È sempre la peggior. (parte)



SCENA VII

Luogo magnifico destinato alle pubbliche udienze. Trono sublime da un lato. Veduta della città in lontano.

Temistocle e Neocle; indi Serse e Sebaste con numeroso seguito.

Neocle - Padre, dove t'inoltri? Io non intendo
Il tuo pensier. Temo ogni sguardo, e parmi
Che ognun te sol rimiri. Ecco i custodi
E il re: partiam.

Temistocle - Fra il popolo confusi
Resteremo in disparte.

Neocle - È il rischio estremo.

Temistocle - Più non cercar: taci una volta.

Neocle - (Io tremo). (si ritirano da un lato)

Serse - Olà! venga e s'ascolti
Il greco ambasciador. (parte una guardia) Sebaste, e ancora
All'ire mie Temistocle si cela?
Allettano sì poco
Il mio favor, le mie promesse?

Sebaste - Ascoso
Lungamente non fia: son troppi i lacci
Tesi a suo danno.

Serse - Io non avrò mai pace
Fin che costui respiri. Egli ha veduto
Serse fuggir. Fra tante navi e tante,
Onde oppressi l'Egeo, sa che la vita
A un vile angusto legno
Ei mi ridusse a confidar; che poca
Torbid'acqua e sanguigna
Fu la mia sete a mendicar costretta,
E dolce la stimò bevanda eletta.
E vivrà chi di tanto
Si può vantar? No, non fia vero: avrei
Questa sempre nel cor smania inquieta. (va sul trono)

Neocle - (Udisti?)

Temistocle - (Udii).

Neocle - (Dunque fuggiam).

Temistocle - (T'accheta).



SCENA VIII

Lisimaco con sèguito di Greci, e detti.

Lisimaco - Monarca eccelso, in te, nemico ancora,
Non solo Atene onora
La real maestà, ma dal tuo core,
Grande al par dell'impero, un dono attende
Maggior di tutti i doni.

Serse - Pur che pace non sia, siedi ed esponi. (Lisimaco siede)

Neocle - (È Lisimaco?) (a Temistocle)

Temistocle - (Sì). (a Neocle)

Neocle - (Potria giovarti
Un amico sì caro).

Temistocle - (O taci o parti).

Lisimaco - L'opprimer chi disturbi
Il pubblico riposo, è de' regnanti
Interesse comun. Debbon fra loro
Giovarsi in questo anche i nemici. A tutti
Nuoce chi un reo ricetta,
Ché la speme d'asilo a' falli alletta.
Temistocle (ah! perdona,
Amico sventurato) è il delinquente,
Che cerca Atene. In questa reggia il crede;
Pretenderlo potrebbe; in dono il chiede.

Neocle - (Oh domanda crudele!
Oh falso amico!)

Temistocle - (Oh cittadin fedele!)

Serse - Esaminar per ora,
Messagger, non vogl'io qual sia la vera
Cagion per cui qui rivolgesti il piede,
Né quanto è da fidar di vostra fede.
So ben che tutta l'arte
Dell'accorto tuo dir punto non copre
L'ardir di tal richiesta. A me che importa
Il riposo d'Atene? Esser degg'io
De' vostri cenni esecutor? Chi mai
Questo nuovo introdusse
Obbligo fra' nemici? A dar venite
Leggi o consigli? Io non mi fido a questi.
Quelle non soffro. Eh! vi sollevi meno
L'aura d'una vittoria: è molto ancora
La greca sorte incerta;
È ancor la via d'Atene a Serse aperta.

Lisimaco - Ma di qual uso a voi
Temistocle esser può?

Serse - Vi sarà noto,
Quando si trovi in mio poter.

Lisimaco - Fin ora
Dunque non v'è?

Serse - Né, se vi fosse, a voi
Ragion ne renderei.

Lisimaco - Troppo t'accieca
L'odio, o signor, del greco nome; e pure
Se in pacifico nodo...

Serse - Olà! di pace
Ti vietai di parlarmi.

Lisimaco - È ver; ma...

Serse - Basta!
Intesi i sensi tuoi;
La mia mente spiegai: partir già puoi.

Lisimaco - Io partirò; ma, tanto
Se l'amistà ti spiace,
Non ostentar per vanto
Questo disprezzo almen.
Ogni nemico è forte,
L'Asia lo sa per prova;
Spesso maggior si trova,
Quando s'apprezza men. (parte)



SCENA IX

Serse, Sebaste, Temistocle, Neocle.

Serse - Temistocle fra' Persi
Credon, Sebaste, i Greci? Ah! cerca e spia
Se fosse vero: il tuo signor consola.
Questa vittima sola
L'odio, che il cor mi strugge,
Calmar potrebbe.

Neocle - (E il genitor non fugge!)

Temistocle - (Ecco il punto: all'impresa!) (si fa strada fra le guardie)

Neocle - (Ah, padre! ah, senti!)

Temistocle - Potentissimo re. (presentandosi dinanzi al trono)

Sebaste - Che ardir! (alle guardie) Quel folle
Dal trono s'allontani.

Temistocle - Non oltraggiano i numi i voti umani.

Sebaste - Parti.

Serse - No, no: s'ascolti.
Parla, stranier: che vuoi?

Temistocle - Contro la sorte
Cerco un asilo, e non lo spero altrove:
Difendermi non può che Serse o Giove.

Serse - Chi sei?

Temistocle - Nacqui in Atene.

Serse - E greco ardisci
Di presentarti a me?

Temistocle - Sì. Questo nome
Qui è colpa, il so; ma questa colpa è vinta
Da un gran merito in me. Serse, tu vai
Temistocle cercando: io tel recai.

Serse - Temistocle! Ed è vero?

Temistocle - A' regi innanzi
Non si mentisce.

Serse - Un merito sì grande
Premio non v'è che ricompensi. Ah! dove,
Quest'oggetto dov'è dell'odio mio?

Temistocle - Già su gli occhi ti sta.

Serse - Qual è?

Temistocle - Son io.

Serse - Tu!

Temistocle - Sì!

Neocle - (Dove m'ascondo?) (parte)

Serse - E così poco
Temi dunque i miei sdegni?
Dunque...

Temistocle - Ascolta e risolvi. Eccoti innanzi
De' giuochi della sorte
Un esempio, o signor. Quello son io,
Quel Temistocle istesso,
Che scosse già questo tuo soglio, ed ora
A te ricorre, il tuo soccorso implora.
Ti conosce potente,
Non t'ignora sdegnato; e pur la speme
D'averti difensore a te lo guida:
Tanto, o signor, di tua virtù si fida.
Sono in tua man: puoi conservarmi, e puoi
Vendicarti di me. Se il cor t'accende
Fiamma di bella gloria, io t'apro un campo
Degno di tua virtù: vinci te stesso,
Stendi la destra al tuo nemico oppresso.
Se l'odio ti consiglia,
L'odio sospendi un breve istante, e pensa
Che vana è la ruina
D'un nemico impotente, util l'acquisto
D'un amico fedel, che re tu sei,
Ch'esule io son, che fido in te, che vengo
Vittima volontaria a questi lidi.
Pensaci, e poi del mio destin decidi.

Serse - (Giusti dèi! chi mai vide
Anima più sicura?
Qual nuova spezie è questa
Di virtù, di coraggio? A Serse in faccia
Solo, inerme e nemico
Venir, fidarsi... Ah! questo è troppo). Ah! dimmi,
Temistocle: che vuoi? con l'odio mio
Cimentar la mia gloria? Ah! questa volta
Non vincerai. Vieni al mio sen: m'avrai (scende dal trono e abbraccia Temistocle)
Qual mi sperasti. In tuo soccorso aperti
Saranno i miei tesori; in tua difesa
S'armeranno i miei regni; e quindi appresso
Fia Temistocle e Serse un nome istesso.

Temistocle - Ah! signor, fin ad ora
Un eccesso parea la mia speranza,
E pur di tanto il tuo gran cor l'avanza.
Che posso offrirti? i miei sudori? il sangue?
La vita mia? Del benefizio illustre
Sempre saran minori
La mia vita, il mio sangue, i miei sudori.

Serse - Sia Temistocle amico
La mia sola mercé. Le nostre gare
Non finiscan però. De' torti antichi
Se ben l'odio mi spoglio,
Guerra con te più generosa io voglio.

Contrasto assai più degno
Comincerà, se vuoi,
Or che la gloria in noi
L'odio in amor cambiò.
Scordati tu lo sdegno,
Io le vendette oblio;
Tu mio sostegno, ed io
Tuo difensor sarò. (parte con Sebaste e séguito)



SCENA X

Temistocle.

Temistocle - Oh, come, instabil sorte,
Cangi d'aspetto! A vaneggiar vorresti
Trarmi con te. No: ti provai più volte
Ed avversa e felice: io non mi fido
Del tuo favor; dell'ire tue mi rido.

Non m'abbaglia quel lampo fugace;
Non m'alletta quel riso fallace;
Non mi fido, non temo di te.
So che spesso tra i fiori e le fronde
Pur la serpe s'asconde, s'aggira;
So che in aria talvolta s'ammira
Una stella, che stella non è. (parte)



SCENA XI

Aspasia, poi Rossane.

Aspasia - Dov'è mai? Chi m'addita,
Misera! il genitor? Nol veggo, e pure
Qui si scoperse al re. Neocle mel disse:
Non poteva ingannarsi. Ah, principessa,
Pietà, soccorso! Il padre mio difendi
Dagli sdegni di Serse.

Rossane - Il padre!

Aspasia - Oh Dio!
Io son dell'infelice
Temistocle la figlia.

Rossane - Tu! come?

Aspasia - Or più non giova
Nasconder la mia sorte.

Rossane - (Aimè! la mia rival si fa più forte).

Aspasia - Deh! generosa implora
Grazia per lui.

Rossane - Grazia per lui! Tu dunque
Tutto non sai.

Aspasia - So che all'irato Serse
Il padre si scoperse: il mio germano,
Che impedir nol poté, fuggì, mi vide,
E il racconto funesto
Ascoltai dal suo labbro.

Rossane - Or odi il resto.
Sappi...



SCENA XII

Sebaste, e dette.

Sebaste - Aspasia, t'affretta:
Serse ti chiama a sé. Che sei sua figlia
Temistocle or gli disse; e mai più lieta
Novella il re non ascoltò.

Rossane - (Che affanno!)

Aspasia - Fosse l'odio di Serse
Più moderato almen.

Sebaste - L'odio! Di lui
Temistocle è l'amor.

Aspasia - Come! Poc'anzi
Il volea morto.

Sebaste - Ed or l'abbraccia, il chiama
La sua felicità, l'addita a tutti,
Non parla che di lui.

Aspasia - Rossane, addio:
Non so, per troppa gioia, ove son io.

È specie di tormento
Questo per l'alma mia
Eccesso di contento,
Che non potea sperar.
Troppo mi sembra estremo;
Temo che un sogno sia;
Temo destarmi, e temo
A' palpiti tornar. (parte)



SCENA XIII

Rossane e Sebaste.

Sebaste - (Già Rossane è gelosa:
Spera, o mio cor).

Rossane - Che mai vuol dir, Sebaste,
Questa di Serse impaziente cura
Di parlar con Aspasia?

Sebaste - Io non ardisco
Dirti i sospetti miei.

Rossane - Ma pur?

Sebaste - Mi sembra
Che Serse l'ami. Allor che d'essa intese
La vera sorte, un'improvvisa in volto
Gioia gli scintillò, che del suo core
Il segreto tradì.

Rossane - Va, non è vero:
Son sogni tuoi.

Sebaste - Lo voglia il Ciel; ma giova
Sempre il peggio temer.

Rossane - Numi! e in tal caso
Che far degg'io?

Sebaste - Che? Vendicarti. A tanta
Beltà facil sarebbe. È un gran diletto
D'un infido amator punir l'inganno.

Rossane - Consola, è ver, ma non compensa il danno.

Sceglier fra mille un core,
In lui formarsi il nido,
E poi trovarlo infido,
È troppo gran dolor.
Voi che provate amore,
Che infedeltà soffrite,
Dite se è pena, e dite
Se se ne dà maggior. (parte)



SCENA XIV

Sebaste.

Sebaste - M'arride il Ciel: Serse è d'Aspasia amante;
Irritata è Rossane. In lui l'amore,
Gli sdegni in lei fomenterò. Se questa
Giunge a bramar vendetta,
Un gran colpo avventuro. A' molti amici,
Ch'io posso offrirle, uniti i suoi, mi rendo
Terribile anche a Serse. Al trono istesso
Potrei forse... chi sa? Comprendo anch'io
Quanto ardita è la speme;
Ma fortuna ed ardir van spesso insieme.

Fu troppo audace, è vero,
Chi primo il mar solcò,
E incogniti cercò
Lidi remoti.
Ma senza quel nocchiero
Sì temerario allor,
Quanti tesori ancor
Sariano ignoti! (parte)


FINE DELL'ATTO PRIMO




ATTO SECONDO

SCENA I

Ricchissimi appartamenti destinati da Serse a Temistocle. Vasi all'intorno ricolmi d'oro e di gemme.

Temistocle, poi Neocle.

Temistocle - Eccoti in altra sorte; ecco cambiato,
Temistocle, il tuo stato. Or or, di tutto
Bisognoso e mendico, in van cercavi
Un tugurio per te: questo or possiedi
Di preziosi arredi
Rilucente soggiorno;
Splender ti vedi intorno
In tal copia i tesori; arbitro sei
E d'un regno e d'un re. Chi sa qual altro
Sul teatro del mondo
Aspetto io cambierò. Veggo pur troppo
Che favola è la vita;
E la favola mia non è compita.

Neocle - Splendon pure una volta,
Amato genitor, fauste le stelle
All'innocenza, alla virtù: siam pure
Fuor de' perigli. A tal novella, oh, come
Tremeran spaventati
Tutti d'Atene i cittadini ingrati!
Or di nostre fortune
Comincia il corso: io lo prevengo, e parmi
Già ricchezze ed onori,
Già trionfi ed allori
Teco adunar, teco goderne e teco
Passar d'Alcide i segni,
I regi debellar, dar legge a' regni.

Temistocle - Non tanta ancor, non tanta
Fiducia, o Neocle. Or nell'ardire eccedi,
Pria nel timor. Quand'eran l'aure avverse,
Tremavi accanto al porto: or che seconde
Si mostrano un momento,
Apri di già tutte le vele al vento.
Il contrario io vorrei. Questa baldanza,
Che tanto or t'avvalora,
È vizio adesso, era virtude allora:
E quel timor, che tanto
Prima ti tenne oppresso,
Fu vizio allor, saria virtude adesso.

Neocle - Ma che temer dobbiamo?

Temistocle - Ma in che dobbiam fidarci? In quei tesori?
D'un istante son dono:
Può involarli un istante. In questi amici,
Che acquistar già mi vedi? Eh! non son miei:
Vengon con la fortuna, e van con lei.

Neocle - Del magnanimo Serse
Basta il favore a sostenerci.

Temistocle - E basta
L'ira di Serse a ruinarne.

Neocle - È troppo
Giusto e prudente il re.

Temistocle - Ma un re sì grande
Tutto veder non può. Talor s'inganna,
Se un malvagio il circonda;
E di malvagi ogni terreno abbonda.

Neocle - Superior d'ogni calunnia ormai
La tua virtù ti rese.

Temistocle - Anzi là, dove
Il suo merto ostentar ciascun procura,
La virtù, che più splende, è men sicura.

Neocle - Ah qual!...

Temistocle - Parti: il re vien.

Neocle - Qual ne' tuoi detti
Magia s'asconde! Io mi credea felice;
Mille rischi or pavento: in un istante
Par che tutto per me cangi sembiante.

Tal per altrui diletto
Le ingannatrici scene
Soglion talor d'aspetto
Sollecite cambiar.
Un carcere il più fosco
Reggia così diviene;
Così verdeggia un bosco
Dove ondeggiava il mare. (parte)



SCENA II

Serse e Temistocle.

Serse - Temistocle.

Temistocle - Gran re.

Serse - Di molto ancora
Debitor ti son io. Mercé promisi
A chi fra noi Temistocle traesse.
L'ottenni: or le promesse
Vengo a compir.

Temistocle - Né tanti doni e tanti
Bastano ancor?

Serse - No; di sì grande acquisto,
Onde superbo io sono,
Parmi scarsa mercé qualunque dono.

Temistocle - E vuoi...

Serse - Vuo' della sorte
Corregger l'ingiustizia e sollevarti
Ad onta sua. Già Lampsaco e Miunte,
E la città, che il bel Meandro irriga,
Son tue da questo istante; e Serse poi
Del giusto amore, onde il tuo merto onora,
Prove darà più luminose ancora.

Temistocle - Deh! sia più moderato
L'uso, o signor, del tuo trionfo; e tanto
Di mirar non ti piaccia
Temistocle arrossir. Per te fin ora
Che feci?

Serse - Che facesti! E ti par poco
Credermi generoso?
Fidarmi una tal vita? aprirmi un campo
Onde illustrar la mia memoria? e tutto
Rendere a' regni miei
In Temistocle sol quanto perdei?

Temistocle - Ma le ruine, il sangue,
Le stragi, onde son reo...

Serse - Tutto compensa
La gloria di poter nel mio nemico
Onorar la virtù. L'onta di pria
Fu della sorte; e questa gloria è mia.

Temistocle - Oh magnanimi sensi,
Degni d'un'alma a sostener di Giove
Le veci eletta! oh fortunati regni
A tal re sottoposti!

Serse - Odimi. Io voglio
Della proposta gara
Seguir l'impegno. Al mio poter fidasti
Tu la tua vita; al tuo valore io fido
Il mio poter. Delle falangi perse
Sarai duce sovrano. In faccia a tutte
Le radunate schiere
Vieni a prenderne il segno. Andrai per ora
Dell'inquieto Egitto
L'insolenza a punir: più grandi imprese
Poi tenterem. Di soggiogare io spero,
Con Temistocle al fianco, il mondo intero.

Temistocle - E a questo segno arriva,
Generoso mio re...

Serse - Va, ti prepara
A novelli trofei. Diran poi l'opre
Ciò che dirmi or vorresti.

Temistocle - Amici dèi,
Chi tanto a voi somiglia
Custoditemi voi. Fate ch'io possa,
Memore ognor de' benefizi sui,
Morir per Serse o trionfar per lui.

Ah! d'ascoltar già parmi
Quella guerriera tromba,
Che fra le stragi e l'armi
M'inviterà per te.
Non mi spaventa il fato,
Non mi fa orror la tomba,
Se a te non moro ingrato,
Mio generoso re. (parte)



SCENA III

Serse, poi Rossane, indi Sebaste.

Serse - È ver che opprime il peso
D'un diadema real, che mille affanni
Porta con sé; ma quel poter de' buoni
Il merto sollevar, dal folle impero
Della cieca fortuna
Liberar la virtù, render felice
Chi non l'è, ma n'è degno, è tal contento,
Che di tutto ristora,
Ch'empie l'alma di sé, che quasi agguaglia,
Se tanto un uom presume,
Il destin d'un monarca a quel d'un nume.
Parmi esser tal da quel momento in cui
Temistocle acquistai. Ma il grande acquisto
Assicurar bisogna. Aspasia al trono
Voglio innalzar: la sua virtù n'è degna,
Il sangue suo, la sua beltà. Difenda
Così nel soglio mio de' suoi nipoti
Temistocle il retaggio; e sia maggiore
Fra' legami del sangue il nostro amore.
Pur d'Aspasia io vorrei
Prima i sensi saper. Già per mio cenno
Andò Sebaste ad esplorarli; e ancora
Tornar nol veggo. Eccolo forse... Oh stelle!
È Rossane. Si evìti. (partendo)

Rossane - Ove t'affretti,
Signor? fuggi da me?

Serse - No; in altra parte
Grave cura mi chiama.

Rossane - E pur fra queste
Tue gravi cure avea Rossane ancora
Luogo una volta.

Serse - Or son più grandi.

Rossane - È vero;
Lo comprendo ancor io: veggo di quanto
Temistocle le accrebbe. È ben ragione
Che un ospite sì degno
Occupi tutto il cor di Serse. E poi
È confuso il tuo core,
Né mi fa meraviglia
Fra' meriti del padre, e...

Serse - Principessa,
Addio.

Rossane - Senti. Ah, crudel!

Serse - (Si disinganni
La sua speranza). Odi, Rossane: è tempo
Ch'io ti spieghi una volta i miei pensieri.
Sappi...

Sebaste - Signor, di nuovo
Chiede il greco orator che tu l'ascolti.

Serse - Che! non partì?

Sebaste - No. Seppe
Che Temistocle è in Susa, e grandi offerte
Farà per ottenerlo.

Serse - Or troppo abusa
Della mia tolleranza: udir nol voglio:
Parta, ubbidisca. (Sebaste s'incammina)

Rossane - (È amor quell'ira).

Serse - (a Sebaste) Ascolta: Meglio pensai. Va, l'introduci. Io voglio
Punirlo in altra guisa. (parte Sebaste)

Rossane - I tuoi pensieri
Spiegami al fin.

Serse - Tempo or non v'è. (volendo partire)

Rossane - Prometti
Pria con me di spiegarti
E poi, crudel, non mi rispondi e parti!

Serse - Quando parto e non rispondo,
Se comprendermi pur sai,
Tutto dico il mio pensier.
Il silenzio è ancor facondo,
E talor si spiega assai
Chi risponde col tacer. (parte)



SCENA IV

Rossane, poi Aspasia.

Rossane - Non giova lusingarsi;
Trionfa Aspasia. Ecco l'altera. E quale
È il gran pregio che adora
Serse in costei? (considerando Aspasia)

Aspasia - Sono i tuoi dubbi al fine
Terminati, o Rossane?

Rossane - (come sopra) (Io non ritrovo
Di nodi sì tenaci
Tanta ragion).

Aspasia - Che fai? Mi guardi e taci!

Rossane - Ammiro quel volto,
Vagheggio quel ciglio,
Che mette in periglio
La pace d'un re.
Un'alma confusa
Da tanta bellezza
È degna di scusa,
Se manca di fé. (parte)



SCENA V

Aspasia, poi Lisimaco.

Aspasia - Che amari detti! O gelosia tiranna,
Come tormenti un cor! Ti provo, oh Dio!
Per Lisimaco anch'io.

Lisimaco - (Solo un istante
Bramerei rivederla, e poi... M'inganno?
Ecco il mio ben).

Aspasia - Non può ignorar ch'io viva:
Troppo è pubblico il caso. Ah! d'altra fiamma
Arde al certo l'ingrato; ed io non posso
Ancor di lui scordarmi? Ah! sì, disciolta
Da questi lacci ormai... (volendo partire)

Lisimaco - Mia vita, ascolta.

Aspasia - Chi sua vita mi chiama?... Oh stelle!

Lisimaco - Il tuo
Lisimaco fedele. A rivederti
Pur, bella Aspasia, il mio destin mi porta.

Aspasia - Aspasia! Io non son quella: Aspasia è morta.

Lisimaco - So che la fama il disse;
So che mentì; so per quai mezzi il Cielo
Te conservò.

Aspasia - Già che tant'oltre sai
Che per te più non vivo ancor saprai.

Lisimaco - Deh! perché mi trafiggi
Sì crudelmente il cor?

Aspasia - Merita in vero
Più di riguardo un sì fedele amico,
Un sì tenero amante. Ingrato! e ardisci,
Nemico al genitore,
Venirmi innanzi e ragionar d'amore?

Lisimaco - Nemico! Ah! tu non vedi
Le angustie mie. Sacro dover m'astringe
La patria ad ubbidir; ma in ogni istante
Contrasta in me col cittadin l'amante.

Aspasia - Scordati l'uno o l'altro.

Lisimaco - Uno non deggio,
L'altro non posso; e, senza aver mai pace,
Procuro ognor quel che ottener mi spiace.

Aspasia - Va, lode al Ciel, nulla ottenesti.

Lisimaco - Oh Dio!
Pur troppo, Aspasia, ottenni. Ah! perdonate,
Se al dolor del mio bene
Donai questo sospiro, o dèi d'Atene.

Aspasia - (Io tremo!) E che ottenesti?

Lisimaco - Il re concede
Temistocle alla Grecia.

Aspasia - Aimè!

Lisimaco - Pur ora
Rimandarlo promise, e la promessa
Giurò di mantener.

Aspasia - Misera! (Ah! Serse
Punisce il mio rifiuto).
Lisimaco, pietà. Tu sol, tu puoi
Salvarmi il padre.

Lisimaco - E per qual via? M'attende
Già forse il re dove adunati sono
Il popolo e le schiere. A tutti in faccia,
Consegnarlo vorrà. Pensa qual resti
Arbitrio a me.

Aspasia - Tutto, se vuoi. Concedi
Che una fuga segreta...

Lisimaco - Ah! che mi chiedi?

Aspasia - Chiedo da un vero amante
Una prova d'amor. Non puoi scusarti.

Lisimaco - Oh Dio! fui cittadin prima d'amarti.

Aspasia - Ed obbliga tal nome
D'un innocente a procurar lo scempio?

Lisimaco - Io non lo bramo: il mio dovere adempio.

Aspasia - E ben, facciamo entrambi
Dunque il nostro dovere: anch'io lo faccio.
Addio.

Lisimaco - Dove t'affretti?

Aspasia - A Serse in braccio.

Lisimaco - Come!

Aspasia - Egli m'ama, e ch'io soccorra un padre
Ogni ragion consiglia.
Anch'io prima d'amarti ero già figlia.

Lisimaco - Senti. Ah! non dare al mondo
Questo d'infedeltà barbaro esempio.

Aspasia - Sieguo il tuo stile: il mio dovere adempio.

Lisimaco - Ma sì poco ti costa...

Aspasia - Mi costa poco? Ah, sconoscente! Or sappi
Per tuo rossor che, se consegna il padre,
Serse me vuol punir. Mandò poc'anzi
Il trono ad offerirmi, e questa, a cui
Nulla costa il lasciarti in abbandono,
Per non lasciarti ha ricusato il trono.

Lisimaco - Che dici, anima mia!

Aspasia - Tutto non dissi:
Senti, crudel. Mille ragioni, il sai,
Ho d'aborrirti; e pur non posso; e pure,
Ridotta al duro passo
Di lasciarti per sempre, il cor mi sento
Sveller dal sen. Dovrei celarlo, ingrato!
Vorrei, ma non ho tanto
Valor che basti a trattenere il pianto.

Lisimaco - Deh! non pianger così: tutto vogl'io,
Tutto... (Ah, che dico!) Addio, mia vita, addio.

Aspasia - Dove?

Lisimaco - Fuggo un assalto
Maggior di mia virtù.

Aspasia - Se di pietade
Ancor qualche scintilla...

Lisimaco - Addio, non più: già il mio dover vacilla.

Oh dèi, che dolce incanto
È d'un bel ciglio il pianto!
Chi mai, chi può resistere?
Quel barbaro qual è?
Io fuggo, amato bene;
Ché, se ti resto accanto,
Mi scorderò d'Atene,
Mi scorderò di me. (parte)



SCENA VI

Aspasia.

Aspasia - Dunque il donarmi a Serse
Ormai l'unica speme è che mi resta:
Che pena, oh Dio, che dura legge è questa!

A dispetto d'un tenero affetto,
Farsi schiava d'un laccio tiranno
È un affanno, che pari non ha.
Non si vive, se viver conviene
Chi s'aborre chiamando suo bene,
A chi s'ama negando pietà. (parte)



SCENA VII

Grande e ricco padiglione aperto da tutti i lati, sotto di cui trono alla destra ornato d'insegne militari. Veduta di vasta pianura occupata dall'esercito persiano disposto in ordinanza.

Serse e Sebaste, con séguito di satrapi, guardie e popolo; poi Temistocle, indi Lisimaco con Greci.

Serse - Sebaste, ed è pur vero! Aspasia dunque
Ricusa le mie nozze?

Sebaste - È, al primo invito,
Ritrosa ogni beltà. Forse in segreto
Arde Aspasia per te; ma il confessarlo
Si reca ad onta, ed a spiegarsi un cenno
Brama del genitor.

Serse - L'avrà.

Sebaste - Già viene
L'esule illustre e l'orator d'Atene.

Serse - Il segno a me del militare impero
Fa che si rechi.

(Serse va in trono, servito da Sebaste. Uno de' satrapi porta sopra bacile d'oro il bastone del comando, e lo sostiene vicino a lui. Intanto nello approssimarsi, non udito da Serse, dice Lisimaco a Temistocle quanto siegue)

Lisimaco - (A qual funesto impiego,
Amico, il Ciel mi destinò! Con quanto
Rossor...)

Temistocle - (Di che arrossisci? Io non confondo
L'amico e il cittadin. La patria è un nume,
A cui sacrificar tutto è permesso:
Anch'io, nel caso tuo, farei l'istesso).

Serse - Temistocle, t'appressa. In un raccolta
Ecco de' miei guerrieri
La più gran parte e la miglior: non manca
A tante squadre ormai
Che un degno condottier; tu lo sarai.
Prendi: con questo scettro, arbitro e duce
Di lor ti eleggo. In vece mia punisci,
Premia, pugna, trionfa. È a te fidato
L'onor di Serse e della Persia il fato.

Lisimaco - (Dunque il re mi deluse,
O Aspasia lo placò).

Temistocle - Del grado illustre,
Monarca eccelso, a cui mi veggo eletto,
In tua virtù sicuro,
Il peso accetto e fedeltà ti giuro.
Faccian gli dèi che meco
A militar per te venga Fortuna;
O, se sventura alcuna
Minacciasser le stelle, unico oggetto
Temistocle ne sia. Vincan le squadre,
Perisca il condottiero: a te ritorni
Di lauri poi, non di cipressi cinto,
Fra l'armi vincitrici il duce estinto.

Lisimaco - In questa guisa, o Serse,
Temistocle consegni?

Serse - Io sol giurai
Di rimandarlo in Grecia. Odi se adempio
Le mie promesse. Invitto duce, io voglio
Punito al fin quell'insolente orgoglio.
Va: l'impresa d'Egitto
Basta ogni altro a compir; va del mio sdegno
Portatore alla Grecia. Ardi, ruina,
Distruggi, abbatti, e fa che senta il peso
Delle nostre catene
Tebe, Sparta, Corinto, Argo ed Atene.

Temistocle - (Or son perduto!)

Lisimaco - E ad ascoltar m'inviti...

Serse - Non più: vanne e riporta
Sì gran novella a' tuoi. Di' lor qual torna
L'esule in Grecia e quai compagni ei guida.

Lisimaco - (Oh patria sventurata! oh Aspasia infida!) (parte co' Greci)



SCENA VIII

Temistocle, Serse, Sebaste.

Temistocle - (Io traditor!)

Serse - Duce, che pensi?

Temistocle - Ah! cambia
Cenno, mio re. V'è tanto mondo ancora
Da soggiogar.

Serse - Se della Grecia avversa
Pria l'ardir non confondo,
Nulla mi cal d'aver soggetto il mondo.

Temistocle - Rifletti...

Serse - È stabilita
Di già l'impresa; e chi si oppon, m'irrìta.

Temistocle - Dunque eleggi altro duce.

Serse - Perché?

Temistocle - Dell'armi perse
Io depongo l'impero al piè di Serse. (depone il bastone a piè del trono)

Serse - Come!

Temistocle - E vuoi ch'io divenga
Il distruttor delle paterne mura?
No, tanto non potrà la mia sventura.

Sebaste - (Che ardir!)

Serse - Non è più Atene, è questa reggia
La patria tua: quella t'insidia, e questa
T'accoglie, ti difende e ti sostiene.

Temistocle - Mi difenda chi vuol: nacqui in Atene.
È istinto di natura.
L'amor del patrio nido. Amano anch'esse
Le spelonche natie le fiere istesse.

Serse - (Ah! d'ira avvampo). Ah! dunque Atene ancora
Ti sta nel cor? Ma che tanto ami in lei?

Temistocle - Tutto, signor: le ceneri degli avi,
Le sacre leggi, i tutelari numi,
La favella, i costumi,
Il sudor che mi costa,
Lo splendor che ne trassi,
L'aria, i tronchi, il terren, le mura, i sassi.

Serse - Ingrato! e in faccia mia (scende dal trono)
Vanti con tanto fasto
Un amor che m'oltraggia?

Temistocle - Io son...

Serse - Tu sei
Dunque ancor mio nemico. In van tentai
Co' benefizi miei...

Temistocle - Questi mi stanno,
E a caratteri eterni,
Tutti impressi nel cor. Serse m'additi
Altri nemici sui:
Ecco il mio sangue, il verserò per lui.
Ma della patria a' danni
Se pretendi obbligar gli sdegni miei,
Serse, t'inganni: io morirò per lei.

Serse - Non più: pensa e risolvi. Esser non lice
Di Serse amico e difensor d'Atene:
Scegli qual vuoi.

Temistocle - Sai la mia scelta.

Serse - Avverti:
Del tuo destin decide
Questo momento.

Temistocle - Il so pur troppo.

Serse - Irrìti
Chi può farti infelice.

Temistocle - Ma non ribelle.

Serse - Il viver tuo mi devi.

Temistocle - Non l'onor mio.

Serse - T'odia la Grecia.

Temistocle - Io l'amo.

Serse - (Che insulto, oh dèi!) Questa mercede ottiene
Dunque Serse da te?

Temistocle - Nacqui in Atene.

Serse - (Più frenarmi non posso). Ah! quell'ingrato
Toglietemi d'innanzi:
Serbatelo al castigo. E pur vedremo
Forse tremar questo coraggio invitto.

Temistocle - Non è timor dove non è delitto.

Serberò fra' ceppi ancora
Questa fronte ognor serena:
È la colpa, e non la pena,
Che può farmi impallidir.
Reo son io: convien ch'io mora,
Se la fede error s'appella;
Ma per colpa così bella
Son superbo di morir. (parte, seguito da alcune guardie)



SCENA IX

Serse, Sebaste, Rossane, poi Aspasia.

Rossane - Serse, io lo credo appena...

Serse - Ah! principessa,
Chi crederlo potea? Nella mia reggia,
A tutto il mondo in faccia,
Temistocle m'insulta. Atene adora,
Se ne vanta, e per lei
L'amor mio vilipende e i doni miei.

Rossane - (Torno a sperar). Chi sa? Potrà la figlia
Svolgerlo forse.

Serse - Eh! che la figlia e il padre
Son miei nemici. È naturale istinto
L'odio per Serse ad ogni greco. Io voglio
Vendicarmi d'entrambi.

Rossane - (Felice me!) Della fedel Rossane
Tutti non hanno il cor.

Serse - Lo veggo, e quasi
Del passato arrossisco.

Rossane - E pure io temo
Che, se Aspasia a te viene...

Serse - Aspasia! Ah! tanto
Non ardirà.

Aspasia - Pietà, signor!

Rossane - (piano a Serse) (Lo vedi
Se tanto ardì? Non ascoltarla).

Serse - (piano a Rossane) (Udiamo
Che mai dirmi saprà).

Aspasia - Salvami, o Serse,
Salvami il genitor. Donalo, oh Dio!
Al tuo cor generoso, al pianto mio.

Serse - (Che bel dolor!)

Rossane - (Temo assalto).

Serse - E vieni
Tu grazie ad implorar? tu che d'ogni altro
Forse più mi disprezzi?

Aspasia - Ah no, t'inganni:
Fu rossor quel rifiuto. Il mio rossore
Un velo avrà, se il genitor mi rendi:
Sarà tuo questo cor.

Rossane - (Fremo).

Serse - E degg'io
Un ingrato soffrir, che i miei nemici
Ama così?

Aspasia - No, chiedo men. Sospendi
Sol per poco i tuoi sdegni: ad ubbidirti
Forse indurlo potrò. Mel nieghi? Oh dèi,
Nacqui pure infelice! Ancor da Serse
Niun partì sconsolato: io son la prima,
Che lo prova crudel! No, non lo credo;
Possibile non è. Questo rigore
È in te stranier, ti costa forza. Ostenti
Fra la natia pietà l'ira severa;
Ma l'ira è finta e la pietade è vera.
Ah! sì, mio re, cedi al tuo cor; seconda
I suoi moti pietosi e la mia speme,
O me spirar vedrai col padre insieme.

Serse - Sorgi. (Che incanto!)

Rossane - (Ecco, delusa io sono).

Serse - Fa che il padre ubbidisca, e gli perdono.

Di' che a sua voglia eleggere
La sorte sua potrà;
Di' che sospendo il fulmine,
Ma nol depongo ancor;
Che pensi a farsi degno
Di tanta mia pietà;
Che un trattenuto sdegno
Sempre si fa maggior. (parte col séguito de' satrapi e le guardie)



SCENA X

Aspasia, Rossane, Sebaste.

Rossane - (Io mi sento morir)

Aspasia - Scusa, Rossane,
Un dover che m'astrinse...

Rossane - Agli occhi miei
Involati, superba! Hai vinto, il vedo;
Lo confesso, ti cedo:
Brami ancor più? Vuoi trionfarne? Ormai
Troppo m'insulti: ho tollerato assai.

Aspasia - L'ire tue sopporto in pace,
Compatisco il tuo dolore:
Tu non puoi vedermi il core,
Non sai come in sen mi sta.
Chi non sa qual è la face,
Onde accesa è l'alma mia,
Non può dir se degna sia
O d'invidia o di pietà. (parte)



SCENA XI

Rossane e Sebaste.

Sebaste - (Profittiam di quell'ira).

Rossane - Ah, Sebaste, ah, potessi
Vendicarmi di Serse!

Sebaste - Pronta è la via. Se a' miei fedeli aggiungi
Gli amici tuoi, sei vendicata, e siamo
Arbitri dello scettro.

Rossane - E quali amici
Offrir mi puoi?

Sebaste - Le numerose schiere
Sollevate in Egitto
Dipendono da me. Le regge Oronte
Per cenno mio, col mio consiglio. Osserva:
Questo è un suo foglio. (le porge un foglio ed ella il prende)

Rossane - Alle mie stanze, amico,
Vanne, m'attendi: or sarò teco. È rischio
Qui ragionar di tale impresa.

Sebaste - E poi
Sperar poss'io...

Rossane - Va: sarò grata. Io veggo
Quanto ti deggio, e ti conosco amante.

Sebaste - (Pur colsi al fine un fortunato istante). (parte)



SCENA XII

Rossane.

Rossane - Rossane, avrai costanza
D'opprimer chi adorasti? Ah! sì; l'infido
Troppo mi disprezzò: de' torti miei
Paghi le pene. A mille colpi esposto
Voglio mirarlo a ciglio asciutto, e voglio
Che giunto all'ora estrema...
Oh Dio! vanto fierezza, e il cor mi trema.

Ora a' danni d'un ingrato
Forsennato il cor s'adira:
Or d'amore, in mezzo all'ira,
Ricomincia a palpitar.
Vuol punir chi l'ha ingannato;
A trovar le vie s'affretta:
E aborrisce la vendetta
Nel potersi vendicar.


FINE DELL'ATTO SECONDO




ATTO TERZO

SCENA I

Camera in cui Temistocle è ristretto.

Temistocle, poi Sebaste.

Temistocle - Oh patria, oh Atene, oh tenerezza, oh nome
Per me fatal! Dolce fin or mi parve
Impiegar le mie cure,
Il mio sangue per te. Soffersi in pace
Gli sdegni tuoi; peregrinai tranquillo
Fra le miserie mie di lido in lido:
Ma, per esserti fido,
Vedermi astretto a comparire ingrato,
Ed a re sì clemente,
Che, oltraggiato e potente,
Le offese oblia, mi stringe al sen, mi onora,
Mi fida il suo poter; perdona, Atene,
Soffrir nol so. De' miei pensieri il nume
Sempre sarai, come fin or lo fosti;
Ma comincio a sentir quanto mi costi.

Sebaste - A te Serse m'invia: come scegliesti,
Senz'altro indugio, ei vuol saper. Ti brama
Pentito dell'error; lo spera; e dice
Che non può figurarsi a questo segno
Un Temistocle ingrato.

Temistocle - Ah! no, tal non son io; lo sanno i numi,
Che mi veggono il cor: così potesse
Vederlo anche il mio re. Guidami, amico,
Guidami a lui...

Sebaste - Non è permesso. O vieni
Pronto a giurar su l'ara
Odio eterno alla Grecia, o a Serse innanzi
Non sperar più di comparir.

Temistocle - Né ad altro
Prezzo ottener si può che mi rivegga
Il mio benefattor?

Sebaste - No. Giura, e sei
Del re l'amor. Ma, se ricusi, io tremo
Pensando alla tua sorte. In questo, il sai,
Implacabile è Serse.

Temistocle - (Ah, dunque io deggio
Farmi ribelle, o tollerar l'infame
Taccia d'ingrato! E non potrò scusarmi
In faccia al mondo, o confessar morendo
Gli obblighi miei!) (pensa)

Sebaste - Risolvi.

Temistocle - (risoluto) (Eh! usciam da questo
Laberinto funesto, e degno il modo
Di Temistocle sia). Va: si prepari
L'ara, il licor, la sacra tazza e quanto
È necessario al giuramento. Ho scelto:
Verrò.

Sebaste - Contento io volo a Serse.

Temistocle - Ascolta:
Lisimaco partì?

Sebaste - Scioglie or dal porto
L'ancore appunto.

Temistocle - Ah! si trattenga: il bramo
Presente a sì grand'atto. Al re ne porta,
Sebaste, i prieghi miei.

Sebaste - Vi sarà: tu di Serse arbitro or sei. (parte)



SCENA II

Temistocle.

Temistocle - Sia luminoso il fine
Del viver mio: qual moribonda face,
Scintillando s'estingua. Olà! custodi,
A me Neocle ed Aspasia. Al fin che mai
Esser può questa morte? Un ben? s'affretti.
Un mal? fuggasi presto
Dal timor d'aspettarlo,
Che è mal peggiore. È della vita indegno
Chi a lei pospon la gloria. A ciò che nasce
Quella è comun: dell'alme grandi è questa
Proprio e privato ben. Tema il suo fato
Quel vil, che agli altri oscuro,
Che ignoto a sé, morì nascendo e porta
Tutto sé nella tomba. Ardito spiri
Chi può senza rossore
Rammentar come visse, allor che muore.



SCENA III

Neocle, Aspasia e detto.

Neocle - O caro padre!

Aspasia - O amato
Mio genitore!

Neocle - È dunque ver che a Serse
Viver grato eleggesti?

Aspasia - È dunque vero
Che sentisti una volta
Pietà di noi, pietà di te?

Temistocle - Tacete,
E ascoltatemi entrambi. È noto a voi
A qual esatta ubbidienza impegni
Un comando paterno?

Neocle - È sacro nodo.

Aspasia - È inviolabil legge.

Temistocle - E ben, v'impongo
Celar quanto io dirò, fin che l'impresa
Risoluta da me non sia matura.

Neocle - Pronto Neocle il promette.

Aspasia - Aspasia il giura.

Temistocle - Dunque sedete, e di coraggio estremo
Date prova in udirmi. (siede)

Neocle - (Io gelo).

Aspasia - (Io tremo). (siedono Neocle ed Aspasia)

Temistocle - L'ultima volta è questa,
Figli miei, ch'io vi parlo. Infin ad ora
Vissi alla gloria; or, se più resto in vita,
Forse di tante pene
Il frutto perderei: morir conviene.

Aspasia - Ah, che dici!

Neocle - Ah, che pensi!

Temistocle - È Serse il mio
Benefattor; patria la Grecia. A quello
Gratitudine io deggio;
A questa fedeltà. Si oppone all'uno
L'altro dovere; e, se di loro un solo
È da me violato,
O ribelle divengo, o sono ingrato.
Entrambi questi orridi nomi io posso
Fuggir, morendo. Un violento ho meco
Opportuno velen...

Aspasia - Come! ed a Serse
Andar non promettesti?

Temistocle - E in faccia a lui
L'opra compir si vuol.

Neocle - Sebaste afferma
Che a giurar tu verrai...

Temistocle - So ch'ei lo crede,
E mi giova l'error. Con questa speme
Serse m'ascolterà. La Persia io bramo
Spettatrice al grand'atto, e di que' sensi,
Che per Serse ed Atene in petto ascondo,
Giudice io voglio e testimonio il mondo.

Neocle - (Oh noi perduti!)

Aspasia - (Oh me dolente!) (piangono)

Temistocle - Ah, figli,
Qual debolezza è questa! A me celate
Questo imbelle dolor. D'esservi padre
Non mi fate arrossir. Pianger dovreste
S'io morir non sapessi.

Aspasia - Ah! se tu mori,
Noi che farem?

Neocle - Chi resta a noi?

Temistocle - Vi resta
Della virtù l'amore,
Della gloria il desio,
L'assistenza del Ciel, l'esempio mio.

Aspasia - Ah! padre...

Temistocle - Udite. Abbandonarvi io deggio
Soli, in mezzo a' nemici,
In terreno stranier, senza i sostegni
Necessari alla vita, e delle umane
Instabili vicende
Non esperti abbastanza; onde, il preveggo,
Molto avrete a soffrir. Siete miei figli:
Rammentatelo, e basta. In ogni incontro
Mostratevi con l'opre
Degni di questo nome. I primi oggetti
Sian de' vostri pensieri
L'onor, la patria e quel dovere a cui
Vi chiameran gli dèi. Qualunque sorte
Può farvi illustri, e può far uso un'alma
D'ogni nobil suo dono
Fra le selve così, come sul trono.
Del nemico destino
Non cedete agl'insulti: ogni sventura
Insoffribil non dura,
Soffribile si vince. Alle bell'opre
Vi stimoli la gloria,
Non la mercé. Vi faccia orror la colpa,
Non il castigo. E, se giammai costretti
Vi trovaste dal fato a un atto indegno,
V'è il cammin d'evitarlo: io ve l'insegno. (s'alza e s'alzano Neocle e Aspasia)

Neocle - Deh! non lasciarne ancora.

Aspasia - Ah! padre amato
Dunque mai più non ti vedrò?

Temistocle - Tronchiamo
Questi congedi estremi. È troppo, o figli,
Troppo è tenero il passo: i nostri affetti
Potrebbe indebolir. Son padre anch'io,
E sento al fin... Miei cari figli, addio! (gli abbraccia)

Ah! frenate il pianto imbelle;
Non è ver, non vado a morte;
Vo del fato, delle stelle,
Della sorte a trionfar.
Vado il fin de' giorni miei
Ad ornar di nuovi allori;
Vo di tanti miei sudori
Tutto il frutto a conservar. (parte)



SCENA IV

Aspasia e Neocle.

Aspasia - Neocle!

Neocle - Aspasia!

Aspasia - Ove siam?

Neocle - Quale improvviso
Fulmine ci colpì!

Aspasia - Miseri! e noi
Ora che far dobbiam?

Neocle - Mostrarci degni
Di sì gran genitore. (risoluto) Andiam, germana,
Intrepidi a mirarlo
Trionfar di se stesso. Il nostro ardire
Gli addolcirà la morte.

Aspasia - Andiam: ti sieguo...
Oh Dio! non posso: il piè mi trema. (siede)

Neocle - E vuoi
Tanto dunque avvilirti?

Aspasia - E han tanto ancora
Valor gli affetti tui

Neocle - Se manca a me, l'apprenderò da lui.

Di quella fronte un raggio,
Tinto di morte ancor,
M'inspirerà coraggio,
M'insegnerà virtù.
A dimostrarmi ardito
M'invita il genitor:
Sieguo il paterno invito
Senza cercar di più. (parte)



SCENA V

Aspasia.

Aspasia - Dunque di me più forte
Il germano sarà? Forse non scorre
L'istesso sangue in queste vene? Anch'io
Da Temistocle nacqui. (si leva) Ah! sì, rendiamo
Gli ultimi a lui pietosi uffizi. In queste
Braccia riposi, allor che spira. Imprima
Su la gelida destra i baci estremi
L'orfana figlia; e, di sua man chiudendo
Que' moribondi lumi... Ah, qual funesta
Fiera immagine è questa! Aimè, qual gelo
Mi ricerca ogni fibra! Andar vorrei,
E vorrei rimaner. D'orrore agghiaccio,
Avvampo di rossor. Sento in un punto
E lo sprone ed il fren. Mi struggo in pianto,
Nulla risolvo, e perdo il padre intanto.

Ah! si resti... Onor mi sgrida.
Ah! si vada... Il piè non osa.
Che vicenda tormentosa
Di coraggio e di viltà!
Fate, o dèi, che si divida
L'alma ormai da questo petto:
Abbastanza io fui l'oggetto
Della vostra crudeltà. (parte)



SCENA VI

Serse, poi Rossane con un foglio.

Serse - Dove il mio duce, il mio
Temistocle dov'è? D'un re che l'ama
Non si nieghi agli amplessi.

Rossane - Io vengo, o Serse,
Su l'orme tue.

Serse - (Che incontro!)

Rossane - Odimi; e questa
Sia pur l'ultima volta.

Serse - Io so, Rossane,
So che hai sdegno con me; so che vendetta
Minacciarmi vorrai...

Rossane - Sì, vendicarmi
Io voglio, è ver: son troppo offesa. Ascolta
La vendetta qual sia. Serse, è in periglio
La tua vita, il tuo scettro. In questo foglio
Un disegno sì rio
Leggi, previeni, e ti conserva. Addio. (gli dà il foglio, e vuol partire)

Serse - Sentimi, principessa:
Lascia che almen del generoso dono...

Rossane - Basta così: già vendicata io sono.

È dolce vendetta
D'un'anima offesa
Il farsi difesa
Di chi l'oltraggiò.
È gioia perfetta,
Che il cor mi ristora
Di quanti fin ora
Tormenti provò. (parte)



SCENA VII

Serse, poi Sebaste.

Serse - Viene il foglio a Sebaste;
Oronte lo vergò: leggasi... Oh stelle,
Che nera infedeltà! Sebaste è dunque
De' tumulti d'Egitto
L'autore ignoto! Ed al mio fianco intanto
Sì gran zelo fingendo... Eccolo. E come
Osa il fellon venirmi innanzi!

Sebaste - Io vengo
Della mia fé, de' miei sudori, o Serse,
Un premio al fine ad implorar.

Serse - Son grandi,
Sebaste, i merti tuoi,
E puoi tutto sperar. Parla: che vuoi?

Sebaste - Va l'impresa d'Atene
Temistocle a compir; l'altra d'Egitto
Fin or duce non ha. Di quelle schiere,
Che all'ultima destini,
Chiedo il comando.

Serse - Altro non vuoi?

Sebaste - Mi basta
Poter del zelo mio
Darti prove, o signor.

Serse - Ne ho molte, e questa
È ben degna di te. Ma tu d'Egitto
Hai contezza bastante?

Sebaste - I monti, i fiumi,
Le foreste, le vie, quasi potrei
I sassi annoverar.

Serse - Non basta: è d'uopo
Conoscer del tumulto
Tutti gli autori.

Sebaste - Oronte è il solo.

Serse - Io credo
Ch'altri ve n'abbia. Ha questo foglio i nomi:
Vedi se a te son noti. (gli dà il foglio)

Sebaste - (lo prende) E donde avesti...
(Misero me!) (lo riconosce)

Serse - Che fu? Tu sei smarrito!
Ti scolori! ammutisci!

Sebaste - (Ah, son tradito!)

Serse - Non tremar, vassallo indegno;
È già tardo il tuo timore:
Quando ordisti il reo disegno,
Era il tempo di tremar.
Ma giustissimo consiglio
È del Ciel che un traditore
Mai non vegga il suo periglio,
Che vicino a naufragar. (parte)



SCENA VIII

Sebaste.

Sebaste - Così dunque tradisci
Disleal principessa... Ah, folle! ed io
Son d'accusarla ardito!
Si lagna un traditor d'esser tradito!
Il meritai. Fuggi, Sebaste... Ah! dove
fuggirò da me stesso? Ah! porto in seno
Il carnefice mio. Dovunque io vada,
Il terror, lo spavento
Seguiran la mia traccia;
La colpa mia mi starà sempre in faccia.

Aspri rimorsi atroci,
Figli del fallo mio,
Perché sì tardi, oh Dio!
Mi lacerate il cor?
Perché, funeste voci
Ch'or mi sgridate appresso,
Perché v'ascolto adesso,
Né v'ascoltai fin or? (parte)



SCENA IX

Reggia, ara accesa nel mezzo, e sopra di essa la tazza preparata pel giuramento.

Serse, Aspasia, Neocle, satrapi, guardie e popolo.

Serse - Neocle, perché sì mesto? Onde deriva,
Bella Aspasia, quel pianto? Allor che il padre
Mi giura fé, gemono i figli! È forse
L'amistà, l'amor mio
Un disastro per voi? Parlate.

Neocle ed Aspasia - Oh Dio!



SCENA X

Rossane, Lisimaco con sèguito di Greci, e detti.

Rossane - A che, signor, mi chiedi?

Lisimaco - Serse, da me che vuoi?

Serse - Voglio presenti
Lisimaco e Rossane...

Lisimaco - I nuovi oltraggi
Ad ascoltar d'Atene?

Rossane - I torti miei
Di nuovo a tollerar?

Lisimaco - D'Aspasia infida
A veder l'incostanza?

Aspasia - Ah! non è vero;
Non affliggermi a torto,
Lisimaco crudele: io son l'istessa.
Perché opprimer tu ancora un'alma oppressa?

Serse - Come! voi siete amanti?

Aspasia - Ormai sarebbe
Vano il negar: troppo già dissi.

Serse - (ad Aspasia)E m'offri
Tu la tua man?

Aspasia - D'un genitor la vita
Chiedea quel sacrifizio.

Serse - (a Lisimaco)E del tuo bene
Tu perseguiti il padre?

Lisimaco - Il volle Atene.

Serse - (Oh virtù che innamora!)

Rossane - Il greco duce
Ecco s'appressa.

Neocle - (guardando il padre) (Aver potessi anch'io
Quell'intrepido aspetto!)

Aspasia - (Ah, imbelle cor, come mi tremi in petto!)



SCENA ULTIMA

Temistocle e detti, poi Sebaste in fine.

Serse - Pur, Temistocle, al fine
Risolvesti esser mio. Torna agli amplessi
D'un re, che tanto onora... (volendo abbracciarlo)

Temistocle - Ferma. (ritirandosi con rispetto)

Serse - E perché?

Temistocle - Non ne son degno ancora.
Degno pria me ne renda
Il grand'atto a cui vengo.

Serse - È già su l'ara
La necessaria al rito
Ricolma tazza. Il domandato adempi
Giuramento solenne; e in lui cominci
Della Grecia il castigo.

Temistocle - Esci, o signore,
Esci d'inganno. Io di venir promisi,
Non di giurar.

Serse - Ma tu...

Temistocle - Sentimi, o Serse;
Lisimaco, m'ascolta; udite, o voi
Popoli spettatori,
Di Temistocle i sensi; e ognun ne sia
Testimonio e custode. Il fato avverso
Mi vuole ingrato o traditor. Non resta,
Fuor di queste due colpe,
Arbitrio alla mia scelta,
Se non quel della vita,
Del Ciel libero dono. A conservarmi
Senza delitto altro cammin non veggo
Che il cammin della tomba, e quello eleggo.

Lisimaco - (Che ascolto!)

Serse - (Eterni dèi)

Temistocle - (trae dal petto il veleno) Questo, che meco
Trassi compagno al doloroso esiglio,
Pronto velen l'opra compisca. Il sacro
Licor, la sacra tazza (lo lascia cader nella tazza)
Ne sian ministri; ed all'offrir di questa
Vittima volontaria
Di fé, di gratitudine e d'onore,
Tutti assistan gli dèi.

Aspasia - (Morir mi sento).

Serse - (M'occupa lo stupor).

Temistocle - (a Lisimaco)Della mia fede
Tu, Lisimaco, amico,
Rassicura la patria, e grazia implora
Alle ceneri mie. Tutte perdono
Le ingiurie alla fortuna,
Se avrò la tomba ove sortii la cuna.
(a Serse) Tu, eccelso re, de' benefizi tuoi
Non ti pentir: ne ritrarrai mercede
Dal mondo ammirator. Quella, che intanto
Renderti io posso (oh dura sorte!), è solo
Confessarli e morir. Numi clementi,
Se dell'alme innocenti
Gli ultimi voti han qualche dritto in cielo,
Voi della vostra Atene
Proteggete il destin, prendete in cura
Questo re, questo regno; al cor di Serse
Per la Grecia inspirate
Sensi di pace. Ah! sì, mio re, finisca
Il tuo sdegno in un punto e il viver mio.
Figli, amico, signor, popoli, addio! (prende la tazza)

Serse - Ferma! che fai? Non appressar le labbra
Alla tazza letal.

Temistocle - Perché?

Serse - Soffrirlo
Serse non debbe.

Temistocle - E la cagion?

Serse - Son tante
Che spiegarle non so. (gli leva la tazza)

Temistocle - Serse, la morte
Tormi non puoi: l'unico arbitrio è questo
Non concesso a' monarchi.

Serse - (getta la tazza) Ah! vivi, o grande
Onor del secol nostro. Ama, il consento,
Ama la patria tua; ne è degna: io stesso
Ad amarla incomincio. E chi potrebbe
Odiar la produttrice
D'un eroe, qual tu sei, terra felice?

Temistocle - Numi! ed è ver? tant'oltre
Può andar la mia speranza?

Serse - Odi, ed ammira
Gl'inaspettati effetti
D'un'emula virtù. Su l'ara istessa,
Dove giurar dovevi
Tu l'odio eterno, eterna pace io giuro
Oggi alla Grecia. Ormai riposi, e debba,
Esule generoso,
A sì gran cittadino il suo riposo.

Temistocle - O magnanimo re, qual nuova è questa
Arte di trionfar! D'esser sì grandi
È permesso a' mortali? Oh Grecia! oh Atene!
Oh esiglio avventuroso!

Aspasia - Oh dolce istante!

Neocle - Oh lieto dì!

Lisimaco - Le vostre gare illustri,
Anime eccelse, a pubblicar lasciate
Ch'io voli in Grecia. Io la prometto grata
A donator sì grande,
A tanto intercessor.

Sebaste - De' falli miei,
Signor, chiedo il castigo. Odio una vita,
Che a te... (inginocchiandosi)

Serse - Sorgi, Sebaste: oggi non voglio
Respirar che contenti. A te perdono;
In libertà gli affetti
Lascio d'Aspasia; e la real mia fede
Di Rossane all'amor dono in mercede.

Aspasia - Ah, Lisimaco!

Rossane - Ah, Serse!

Temistocle - Amici numi,
Deh! fate voi ch'io possa
Esser grato al mio re.

Serse - Da' numi implora
Che ti serbino in vita,
E grato mi sarai. Se con l'esempio
Di tua virtù la mia virtude accendi,
Più di quel ch'io ti do, sempre mi rendi.

Coro - Quando un'emula l'invita,
La virtù si fa maggior,
Qual di face a face unita
Si raddoppia lo splendor.



LICENZA

Signor, non mi difendo: è ver, son reo,
E d'error senza frutto. Udii che, inteso
La dea di Cipro a immaginar, compose
Da molte belle una beltà perfetta
Greco pittor. M'assicurò, mi piacque,
Mi sedusse l'esempio. Anch'io sperai,
Le sparse raccogliendo
Virtù de' prischi eroi, di tua grand'alma
Formar l'idea nelle mie carte. I fasti
Perciò d'Atene e Roma
Scorsi, ma in van. Nel cominciar dell'opra
Veggo l'error. Non so trovar, fra tanti
E di Roma e d'Atene illustri figli,
Virtù fin or che a tue virtù somigli.

Mai non sarà felice,
Se i pregi tuoi vuol dir,
Lo sconsigliato ardir
D'un labbro audace.
Quel che di te si dice
Tanto non può spiegar,
Che giunga ad uguagliar
Quel che si tace.


FINE DEL DRAMMA









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