Pietro Metastasio - Opera Omnia >>  Siroe




 

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Rappresentato, con musica del Vinci, la prima volta in Venezia, nel carnevale dell'anno 1726.


ARGOMENTO

Cosroe secondo, re di Persia, trasportato da soverchia tenerezza per Medarse, suo minor figliuolo, giovane di fallaci costumi, volle associarlo alla corona, defraudandone ingiustamente Siroe, suo primogenito, principe valoroso ed intollerante; il quale fu vendicato di questo torto dal popolo e dalle squadre, che, amandolo infinitamente, sollevaronsi a suo favore.
Cosroe, nel dilatar coll'armi i confini del dominio persiano, si era tanto inoltrato con le sue conquiste verso l'Oriente, che avea tolto ad Asbite, re di Cambaia, il regno e la vita. Dalla licenza de' vincitori non avea potuto salvarsi alcuno della regia famiglia, fuori della principessa Emira, figlia del suddetto Asbite: la quale, dopo aver lungamente peregrinato, persuasa al fine e dall'amore che avea già concepito per Siroe e dal desiderio di vendicar la morte del proprio padre, si ridusse nella corte di Cosroe in abito virile, col nome di Idaspe: dove dissimulando l'odio suo, ignota a tutti, fuori che a Siroe, seppe tanto avanzarsi nella grazia del re, che ne divenne il più amato confidente. Su tali fondamenti, tratti in parte dalla storia bizantina ed in parte verisimilmente ideati, ravvolgonsi gli avvenimenti del dramma.


INTERLOCUTORI

Cosroe re di Persia, amante di Laodice.
Siroe primogenito del medesimo, amante di Emira.
Medarse secondogenito di Cosroe.
Emira principessa di Cambaia, in abito d'uomo, sotto nome d'Idaspe, amante di Siroe.
Laodice amante di Siroe e sorella d'Arasse.
Arasse generale dell'armi persiane ed amico di Siroe.


La Scena è nella città di Seleucia.


ATTO PRIMO

SCENA I

Gran tempio dedicato al Sole, con aria e simulacro del medesimo.

Cosroe, Siroe e Medarse.

Cosroe - Figli, io non son del regno
Men padre che di voi. Se a voi degg'io
Il mio tenero affetto, al regno io deggio
Un successore, in cui
Della real mia sede
Riconosca la Persia un degno erede.
Oggi un di voi sia scelto: e quello io voglio
Che meco il soglio ascenda,
E meco il freno a regolarne apprenda.
Felice me, se pria
Che m'aggravi le luci il sonno estremo,
Potrò veder sì glorioso il figlio,
Che, in pace o fra le squadre,
Giunga la gloria ad oscurar del padre.

Medarse - Tutta dal tuo volere
La mia sorte dipende.

Siroe - E in qual di noi
Il più degno ritrovi?

Cosroe - Eguale è il merto.
Amo in Siroe il valore,
La modestia in Medarse;
In te l'animo altero, (a Siroe)
La giovanile etade in lui mi spiace;
Ma i difetti d'entrambi il tempo e l'uso
A poco a poco emenderà. Frattanto
Temo che a nuovi sdegni
La mia scelta fra voi gli animi accenda
Ecco l'ara, ecco il nume:
Giuri ciascun di tollerarla in pace,
E giuri al nuovo erede
Serbar, senza lagnarsi, ossequio e fede.

Siroe - (Che giuri il labbro mio?
Ah no!)

Medarse - Pronto ubbidisco. (Il re son io).
‘A te, nume fecondo,
Cui tutti deve i pregi suoi natura
S'offre Medarse, e giura
Porgere al nuovo rege il primo omaggio.
Il tuo benigno raggio,
S'io non adempio il giuramento intero,
Splenda sempre per me torbido e nero.'

Cosroe - Amato figlio! Al nume,
Siroe, t'accosta, e dal minor germano
Ubbidienza impara.

Medarse - Ei pensa e tace.

Cosroe - Deh, perché la mia pace
Ancor non assicuri?
Perché tardi? Che pensi?

Siroe - E vuoi ch'io giuri?
Questa ingiusta dubbiezza
Abbastanza m'offende. E quali sono
I vanti onde Medarse aspiri al trono?
Tu sai, padre, tu sai
Di quanto lo prevenne il nascer mio.
Era avvezzo il mio core
Già gl'insulti a soffrir d'empia fortuna,
Quando udì il genitore
I suoi primi vagiti entro la cuna.
Tu sai di quante spoglie
Siroe fin ora i tuoi trionfi accrebbe;
Tu sai quante ferite
Mi costi la tua gloria. Io sotto il peso
Gemea della lorica in faccia a morte,
Fra il sangue ed il sudore; ed egli intanto
Traeva in ozio imbelle
Fra gli amplessi paterni i giorni oscuri.
Padre, sai tutto questo, e vuoi ch'io giuri?

Cosroe - So ancor di più. Fin del nemico Asbite
So ch'Emira la figlia
Amasti a mio dispetto, e mi rammento
Che sospirar ti vidi
Nel dì ch'io tolsi a lui la vita e 'l regno.
Odio allor mi giurasti;
E, se Emira vivesse,
Chi sa fin dove il tuo furor giungesse.

Siroe - Appaga pure, appaga
Quel cieco amor che a me ti rende ingiusto.
Sconvolgi per Medarse
Gli ordini di natura. Il vegga in trono
Dettar leggi la Persia; e me frattanto,
Confuso tra la plebe
De' popoli vassalli,
Imprimer vegga in su l'imbelle mano
Baci servili al mio minor germano.
Chi sa? Vegliano i numi
In aiuto agli oppressi. Egli è secondo
D'anni e di merti, e ci conosce il mondo.

Cosroe - Infino alle minacce,
Temerario, t'inoltri? Io voglio...

Medarse - Ah, padre!
Non ti sdegnare. A lui concedi il trono:
Basta a me l'amor tuo.

Cosroe - No, per sua pena
Voglio che in questo dì suo re t'adori:
Voglio oppresso il suo fasto, e veder voglio
Qual mondo s'armi a sollevarlo al soglio.

Se il mio paterno amore
Sdegna il tuo core altero,
Più giudice severo
Che padre a te sarò.
E l'empia fellonia
Che forse volgi in mente,
Prima che adulta sia,
Nascente opprimerò. (parte)



SCENA II

Siroe e Medarse.

Siroe - E puoi senza arrossirti
Fissar, Medarse, in sul mio volto i lumi?

Medarse - Olà, così favella
Siroe al suo re? Sai che de' giorni tuoi
Oggi l'arbitro io sono?
Cerca di meritar la vita in dono.

Siroe - Troppo presto t'avanzi
A parlar da monarca. In su la fronte
La corona paterna ancor non hai;
E, per pentirsi, al padre
Rimane ancor di questo giorno assai.



SCENA III

Emira in abito d'uomo, col nome d'Idaspe, e detti.

Emira - Perché di tanto sdegno,
Principi, vi accendete?
Ah! cessino una volta
Le fraterne contese. In sì bel giorno,
D'amor, di genio eguali
Seleucia vi rivegga e non rivali.

Medarse - A placar m'affatico
Gli sdegni del germano:
Tutto sopporto e m'affatico in vano.

Siroe - Come finge modestia!

Emira - È a me palese
L'umiltà di Medarse.

Siroe - Ah! caro Idaspe,
È suo costume antico
D'insultar simulando.

Medarse - (ad Emira)
Il senti, amico?
Quant'odio in seno accolga,
Vedilo al volto acceso, al guardo bieco.

Emira - Parti; non l'irritar, lasciami seco. (a Medarse)

Siroe - Perfido!

Medarse - Oh Dio! m'oltraggi
Senza ragion. Deh! tu lo placa, Idaspe:
Digli che adoro in lui
Della Persia il sostegno e il mio sovrano.

Emira - Vanne. (a Medarse)

Medarse - (Il trionfo mio non è lontano). (parte)



SCENA IV

Emira e Siroe.

Siroe - Bella Emira adorata.

Emira - Taci, non mi scoprir: chiamami Idaspe.

Siroe - Nessun ci ascolta, e solo
A me nota qui sei.
Senti qual torto io soffro
Dal padre ingiusto.

Emira - Io già l'intesi; e intanto
Siroe che fa? Riposa
Stupido e lento in un letargo indegno?
E, allor che perde un regno,
Quasi inerme fanciullo armi non trova,
Onde contrasti al suo destin crudele,
Che infecondi sospiri e che querele?

Siroe - Che posso far?

Emira - Che puoi?
Tutto potresti. A tuo favor di sdegno
Arde il popol fedele. Un colpo solo
Il tuo trionfo affretta,
Ed unisce alla tua la mia vendetta.

Siroe - Che mi chiedi, mia vita?

Emira - Un colpo io chiedo
Necessario per noi. Sai qual io sia?

Siroe - Lo so: l'idolo mio,
L'indica principessa, Emira sei.

Emira - Ma quella io sono, a cui da Cosroe istesso
Asbite, il genitor, fu già svenato;
Ma son quella infelice
Che sotto ignoto ciel, priva del regno,
Erro lontan dalle paterne soglie,
Per desio di vendetta, in queste spoglie.

Siroe - Oh Dio! per opra mia
Nella reggia t'avanzi, e giungi a tanto
Che di Cosroe il favor tutto possiedi;
E, ingrata a tanti doni,
Puoi rammentarti e la vendetta e l'ira?

Emira - Ama Idaspe il tiranno, e non Emira.
Pensa, se tua mi brami,
Ch'io voglio la sua morte.

Siroe - Ed io potrei
Da Emira essere accolto
Immondo di quel sangue,
E coll'orror d'un parricidio in volto?

Emira - Ed io potrei, spergiura,
Veder del padre mio l'ombra negletta,
Pallida e sanguinosa
Girarmi intorno e domandar vendetta;
E fra le piume intanto
Posar dell'uccisore al figlio accanto?

Siroe - Dunque...

Emira - Dunque, se vuoi
Stringer la destra mia, Siroe, già sai
Che devi oprar.

Siroe - Non lo sperar giammai.

Emira - Senti: se il tuo mi nieghi,
È già pronto altro braccio. In questo giorno
Compir l'opra si deve, e sono io stessa
Premio della vendetta. Il colpo altrui
Se la tua destra prevenir non osa,
Non salvi il padre e perderai la sposa.

Siroe - Ah, non son questi, o cara,
Que' sensi onde addolcivi il mio dolore.
Qui l'odio ti conduce,
E fingi a me che ti conduca amore.

Emira - Io ti celai lo sdegno,
Fin che Cosroe fu padre; or ch'è tiranno,
Vendicar teco volli i torti miei,
Né il figlio in te più ritrovar credei.

Siroe - Parricida mi brami! E sì gran pena
Merta l'ardir d'averti amata?

Emira - Assai
M'è palese il tuo cor: no, che non m'ami.

Siroe - Non t'amo?

Emira - Ecco Laodice: ella, che gode
L'amor tuo, lo dirà.

Siroe - Soffro costei
Sol per Cosroe, che l'ama: in lei lusingo
Un potente nemico.



SCENA V

Laodice e detti.

Emira - Al fin giungesti
A consolar, Laodice, un fido amante.
Oh quante volte, oh quante
Ei sospirò per te!

Laodice - L'afferma Idaspe:
Il crederò.

Emira - Ti dirà Siroe il resto.

Siroe - (Che nuovo stil di tormentarmi è questo!)

Laodice - E potrei lusingarmi
Che s'abbassi ad amarmi,
Prence illustre, il tuo cor? (a Siroe)

Emira - Per te sicuro
È l'amor suo.

Siroe - (piano ad Emira)
Per lei!

Emira - (piano a Siroe)
Taci, spergiuro.

Laodice - E rende amor sì poco
Il suo labbro loquace?

Emira - Sai che un fido amatore avvampa e tace.

Laodice - Ma il silenzio del labbro
Tradiscon le pupille; ed ei né meno
Gira un guardo al mio volto: anzi, confuso,
Stupidi fissa in terra i lumi suoi.
Direi che disapprova i detti tuoi.

Emira - Eh! Laodice, t'inganni.
Siroe tu non conosci: io lo conosco.
D'Idaspe egli ha rossore.

Siroe - Non è vero, idol mio! (piano ad Emira)

Emira - (piano a Siroe)
Sì, traditore!

Laodice - Siroe rossor! Sin ora
Taccia non ha; ma, se v'è taccia in lui,
Sai ch'è l'ardir, non la modestia.

Emira - Amore
Cangia affatto i costumi:
Rende il timido audace;
Fa l'audace modesto.

Siroe - (Che nuovo stil di tormentarmi è questo!)

Emira - Meglio è lasciarvi in pace. A' fidi amanti
Ogni altra compagnia troppo è molesta.

Laodice - Idaspe, e pur mi resta
Un gran timor ch'ei non m'inganni.

Emira - Affatto
Condannar non ardisco il tuo sospetto.
Mai nel fidarsi altrui
Non si teme abbastanza; il so per prova:
Rara in amor la fedeltà si trova.

D'ogni amator la fede
È sempre mal sicura:
Piange, promette e giura;
Chiede, poi cangia amore;
Facile a dir che muore,
Facile ad ingannar.
E pur non ha rossore
Chi un dolce affetto oblia,
Come il tradir non sia
Gran colpa nell'amar. (parte)



SCENA VI

Siroe e Laodice.

Laodice - Siroe, non parli? Or di che temi? Idaspe
Più presente non è: spiega il tuo foco.

Siroe - (Che importuna!) Ah, Laodice,
Scorda un amor che è tuo periglio e mio.
Se Cosroe, che t'adora,
Giunge a scoprir...

Laodice - Non paventar di lui:
Nulla saprà.

Siroe - Ma Idaspe...

Laodice - Idaspe è fido,
E approva il nostro amore.

Siroe - Non è sempre d'accordo il labbro e il core.

Laodice - Ci tormentiamo in vano,
S'altra ragion non v'è per cui si ponga
Tanto affetto in oblio.

Siroe - Altre ancor ve ne son. Laodice, addio.

Laodice - Senti: perché tacerle?

Siroe - Oh Dio! Risparmia
La noia a te d'udirle,
A me il rossor di palesarle.

Laodice - E vuoi
Sì dubbiosa lasciarmi? Eh dille, o caro.

Siroe - (Che pena!) Io le dirò... No, no, perdona:
Deggio partir.

Laodice - Nol soffrirò, se pria
L'arcano non mi sveli.

Siroe - Un'altra volta
Tutto saprai.

Laodice - No, no.

Siroe - Dunque, m'ascolta.
Ardo per altra fiamma, e son fedele
A più vezzosi rai:
Non t'amerò, non t'amo e non t'amai.
E se speri ch'io possa
Cangiar voglia per te, lo speri in vano:
Mi sei troppo importuna. Ecco l'arcano.

Se il labbro amor ti giura,
Se mostra il ciglio amor,
Il labbro è mentitor,
T'inganna il ciglio.
Un altro cor procura:
Scordati pur di me;
E sia la tua mercé
Questo consiglio. (parte)



SCENA VII

Laodice sola.

Laodice - E tollerar potrei
Così acerbo disprezzo? Ah! non fia vero.
Si vendichi l'offesa: ei non trionfi
Del mio rossor. Mille nemici a un punto
Contro gli desterò: farò che il padre
Nell'affetto e nel regno
Lo creda suo rival; farò che tutte
Arasse, il mio germano,
A Medarse in aita offra le schiere.
E se non godo appieno,
Non sarò sola a sospirare almeno.



SCENA VIII

Arasse e detta.

Arasse - Di te, germana, in traccia
Sollecito ne vengo.

Laodice - Ed opportuno
Giungi per me.

Arasse - Più necessaria mai
L'opra tua non mi fu.

Laodice - Né mai più ardente
Bramai di favellarti. Or sappi...

Arasse - Ascolta.
Cosroe, di sdegno acceso,
Vuol Medarse sul trono. Il cenno è dato
Del solenne apparato: il popol freme,
Mormorano le squadre.
Tu dell'ingiusto padre
Svolgi, se puoi, lo sdegno,
Ed in Siroe un eroe conserva al regno.

Laodice - Siroe un eroe? T'inganni: ha un'alma in seno
Stoltamente feroce, un cor superbo,
Che solo è di se stesso
Insano ammirator, che altri non cura;
E che tutto in tributo
Il mondo al suo valor crede dovuto.

Arasse - Che insolita favella! E credi...

Laodice - E credo
Necessaria per noi la sua ruina.
La caduta è vicina:
Non t'opporre alla sorte.

Arasse - E chi mai fece
Così cangiar Laodice?

Laodice - Penetrar quest'arcano a te non lice.

Arasse - Condannerà ciascuno
Il tuo genio volubile e leggiero.

Laodice - Costanza è spesso il variar pensiero.

O placido il mare
Lusinghi la sponda,
O porti con l'onda
Terrore e spavento,
È colpa del vento,
Sua colpa non è.
S'io vo con la sorte
Cangiando sembianza,
Virtù l'incostanza
Diventa per me. (parte)



SCENA IX

Arasse solo.

Arasse - Non tradirò per lei
L'amicizia e il dover. Chi sa qual sia
La taciuta cagione ond'è sdegnata!
Sarà ingiusta o leggiera: è stile usato
Del molle sesso. Oh quanto,
Quanto, donne leggiadre,
Saria più caro il vostro amore a noi,
Se costanza e beltà s'unisse in voi!

L'onda che mormora
Tra sponda e sponda,
L'aura che tremola
Tra fronda e fronda,
È meno instabile
Del vostro cor.
Pur l'alme semplici
De' folli amanti
Sol per voi spargono
Sospiri e pianti,
E da voi sperano
Fede in amor. (parte)



SCENA X

Camera interna di Cosroe, con tavolino e sedia.

Siroe con foglio.

Siroe - All'insidie d'Emira
Si tolga il genitor. Con questo foglio,
Di mentiti caratteri vergato,
Si palesi il periglio,
Ma si celi l'autor. Se il primo io taccio,
Tradisco il padre; e se il secondo io svelo,
Sacrifico il mio ben. Così...
(posa il foglio sul tavolino) Ma parmi
Che il re s'inoltri a questa volta. Oh Dio!
Che farò? S'ei mi vede,
Dubiterà che venga
Da me l'avviso, ed a scoprirgli il reo
M'astringerà. Meglio è celarsi. O numi,
Da voi difesa sia
Emira, il padre e l'innocenza mia.



SCENA XI

Cosroe, Siroe in disparte, poi Laodice.

Cosroe - Che da un superbo figlio
Prenda leggi il mio cor, troppo sarei
Stupido in tollerarlo. E quale, o cara, (vedendo Laodice)
Insolita ventura a me ti guida?

Laodice - Vengo a chieder difesa. In questa reggia
Non basta il tuo favor perch'io non tema.
V'è chi m'oltraggia e chi m'insulta.

Cosroe - A tanto
Chi potrebbe avanzarsi?

Laodice - E il mio delitto
È l'esser fida a te.

Cosroe - Scopri l'indegno,
E lascia di punirlo a me la cura.

Laodice - Un tuo figlio procura
Di sedurre il mio amor: perch'io ricuso
Di renderlo contento,
Minaccia il viver mio.

Siroe - (Numi, che sento!)

Cosroe - Dell'amato Medarse
Esser colpa non può. Siroe è l'audace.

Laodice - Pur troppo è ver. Tu vedi
Qual uopo ho di soccorso. Imbelle e sola,
Contro un figlio real che far poss'io?

Siroe - (Tutto il mondo congiura a danno mio).

Cosroe - Anche in amor costui
Rivale ho da soffrir! Tergi i bei lumi,
Rassicurati, o cara. Ah! Siroe ingrato! (passeggiando)
Ancor questo da te! Cosroe non sono,
S'io non farò... Basta... vedrai...

Siroe - (Che pena!)

Laodice - (Fu mio saggio consiglio
Il prevenir l'accusa).

Cosroe - Indegno figlio! (siede e s'avvede del foglio:lo prende e lo legge da sé)

Laodice - S'io preveder potea
Nel tuo cor tanto affanno, avrei... (Qual foglio
Stupido ei legge e impallidisce?)

Cosroe - Oh numi!
E che di più funesto
Può minacciarmi il Ciel! Che giorno è questo! (s'alza)

Laodice - Che ti affligge, o signor?



SCENA XII

Medarse e detti.

Medarse - Padre, io ti miro
Cangiato in volto.

Cosroe - Ah! senti,
Caro Medarse, e inorridisci.

Medarse - (Un foglio!)

Laodice - (Che mai sarà?)

Cosroe - (legge)
‘Cosroe, chi credi amico
Insidia la tua vita. In questo giorno
Il colpo ha da cader. Temi in ciascuno
Il traditor. Morrai, se i tuoi più cari
Della presenza tua tutti non privi.
Chi t'avvisa è fedel; credilo, e vivi.'

Laodice - Gelo d'orrore...

Cosroe - E qual pietà crudele
È il salvarmi così? Da mano ignota
Mi vien l'avviso, e mi si tace il reo!
Dunque temer degg'io
Gli amici, i figli? In ogni tazza ascosa
Crederò la mia morte? In ogni acciaro
La minaccia crudel vedrò scolpita?
E questo è farmi salvo? E questa è vita?

Siroe - (Misero genitor!)

Medarse - (Non si trascuri
Sì opportuna occasion).

Cosroe - Medarse tace?
Laodice non favella?

Laodice - Io son confusa.

Medarse - S'io non parlai fin or, volli al tuo sdegno
Un reo celar che ad ambi è caro. Al fine,
Quando giunge all'estremo il tuo cordoglio,
Non ho cor di tacerlo. È mio quel foglio.

Siroe - (Ah, mentitor!)

Cosroe - L'empio conosci, e ancora
L'ascondi all'ira mia?

Medarse - (s'inginocchia)
Padre adorato,
Perdona al traditor: basti che salvi
Siano i tuoi giorni. Ah! non voler nel sangue
Di questo reo contaminar la mano.
Chi t'insidia è tuo figlio, è mio germano.

Siroe - (Che tormento è tacer!)

Cosroe - Sorgi. A Medarse
Chi l'arcano scoprì?

Medarse - Fu Siroe istesso.

Laodice - Chi 'l crederebbe?

Medarse - Ei mi volea compagno
Al crudel parricidio. In van m'opposi;
La tua morte giurò: perciò Medarse
In quel foglio scoprì l'empio desio.

Siroe - Medarse è un traditor. Quel foglio è mio. (si scopre)

Medarse - (Oh Ciel!)

Laodice - (Che veggio mai!)

Cosroe - Siroe nascoso
Nelle mie stanze!

Medarse - Il suo delitto è certo.

Siroe - Ei mente. A te mi trasse
Il desio di salvarti. Un core ardito
Ti desidera estinto, e sei tradito.



SCENA XIII

Emira sotto nome d'Idaspe, e detti.

Emira - Chi tradisce il mio re? Per sua difesa
Ecco il braccio, ecco l'armi.

Siroe - Solo Idaspe mancava a tormentarmi!

Cosroe - Vedi, amico, a qual pena
Mi serba il Ciel. (dà il foglio ad Emira, la quale lo legge da sé)

Laodice - (Che inaspettati eventi!)

Emira - Donde l'avviso? È noto il reo? (rende il foglio a Cosroe)

Medarse - Medarse
Tutto svelò.

Siroe - Il germano
T'inganna, Idaspe; io palesai l'arcano.

Cosroe - Dunque, perché non scopri
L'insidiator?

Siroe - Dirti di più non deggio.

Emira - Perfido! e in questa guisa
Di mentita virtù copri il tuo fallo?
A chi giovar pretendi? Hai già tradito
L'offensore e l'offeso. Ei non è salvo;
Interrotto è il disegno;
E vanti per tua gloria un foglio indegno?
Traditore! io vorrei...
Ah! quest'impeti miei, (a Cosroe)
Signor, perdona: è il mio dover che parla.
Perché son fido al padre,
Io non rispetto il figlio:
È mio proprio interesse il tuo periglio.

Laodice - (Che ardir!)

Cosroe - Quanto ti deggio, amato Idaspe!
(a Siroe) Impara, ingrato, impara. Egli è straniero,
Tu sei mio sangue; il mio favore a lui,
A te donai la vita; e pure, ingrato,
Ei mi difende, e tu m'insidi il trono.

Siroe - Difendermi non posso, e reo non sono.

Medarse - L'innocente non tace: io già parlai.

Emira - Via! Che pensi? Che fai? Chi giunse a tanto
Può ben l'opra compir. Tu non rispondi?
So perché ti confondi. Hai pena e sdegno
Che del tuo core indegno
Tutta l'infedeltà mi sia palese:
Perciò taci e arrossisci,
Perciò né meno in volto osi mirarmi.

Siroe - Solo Idaspe mancava a tormentarmi!

Cosroe - Medarse, quel silenzio
Giustifica l'accusa.

Medarse - Io non mentisco.

Emira - Se un mentitor si cerca,
Siroe sarà.

Siroe - Ma questo è troppo, Idaspe.
Non ti basta? Che vuoi?

Emira - Vuo' che tu assolva
Da' sospetti il mio re.

Siroe - Che dir poss'io?

Emira - Di' che il tuo fallo è mio. Di' pur ch'io sono
Complice del delitto; anzi che tutta
È tua la fedeltà, la colpa è mia.
(a Cosroe) Capace ancor di questo egli saria.

Cosroe - Ma lo sarebbe in van. Facile impresa
L'ingannarmi non è. So la tua fede.

Emira - Così fosse per te di Siroe il core.

Cosroe - Lo so ch'è un traditore. Ei non procura
Difesa né perdono.

Siroe - Difendermi non posso, e reo non sono.

Medarse - E non è reo chi niega
Al padre un giuramento?

Laodice - Non è reo l'ardimento
Del tuo foco amoroso?

Cosroe - Non è reo chi nascoso
Io stesso ho qui veduto?

Emira - Non è reo chi ha potuto
Recar quel foglio, e si sgomenta e tace
Quando seco io ragiono?

Siroe - Tutti reo mi volete, e reo non sono.

La sorte mia tiranna
Farmi di più non può:
M'accusa e mi condanna
Un'empia ed un germano,
L'amico e il genitor.
Ogni soccorso è vano,
Che più sperar non so.
So che fedel son io,
E che la fede, oh Dio!
In me diventa error. (parte)



SCENA XIV

Cosroe, Emira, Medarse e Laodice.

Cosroe - Olà! s'osservi il prence. (alle guardie verso la scena)

Emira - Alla tua cura
Io veglierò.

Medarse - Quand'hai tant'alme fide,
Paventi un traditor?

Laodice - Troppo t'affanni.

Cosroe - Chi sa qual sia fedele, e qual m'inganni?

Emira - E puoi temer di me?

Cosroe - No, caro Idaspe.
Anzi tutta confido
Al tuo bel cor la sicurezza mia.
Scopri l'indegna trama,
Ed in Cosroe difendi un re che t'ama.

Emira - Ad anima più fida
Commetter non potevi il tuo riposo.
Del mio dover geloso, il sangue istesso
Io verserò, signor, quando non basti
Tutta l'opra e il consiglio.

Cosroe - Trovo un amico allor che perdo un figlio.

Dal torrente, che ruina
Per la gelida pendice,
Sia riparo a un infelice
La tua bella fedeltà.
Il periglio s'avvicina;
A fuggirlo è incerto il piede:
Se gli manca la tua fede,
Altra scorta un re non ha. (parte)



SCENA XV

Emira, Medarse e Laodice.

Medarse - Avresti mai creduto
In Siroe un traditor?

Laodice - Tanto infedele
Lo prevedesti, e temerario tanto?

Emira - E qual viltade è questa
D'insultar chi non v'ode? Al fin dovrebbe
Più rispetto Medarse ad un germano,
A un principe Laodice:
Non sempre delinquente è un infelice.

Medarse - Che pietà!

Laodice - Che difesa!

Medarse - E tu fin ora
Non l'insultasti?

Laodice - Or qual cagion ti muove
A sdegnarti con noi?

Emira - A me lice insultarlo, e non a voi.

Medarse - Così presto ti cangi? Or lo difendi,
Or lo vorresti oppresso.

Emira - A voi par ch'io mi cangi, e son l'istesso.

Laodice - L'istesso! Io non t'intendo.

Medarse - Eh! non produce
Sì diversa favella un sol pensiero.

Emira - So che strano vi sembra, e pure è vero.

Vedeste mai sul prato
Cader la pioggia estiva?
Talor la rosa avviva
Alla viola appresso:
Figlio del prato istesso
È l'uno e l'altro fiore,
Ed è l'istesso umore
Che germogliar li fa.
Il cor non è cangiato,
Se accusa o se difende:
Una cagion m'accende
Di sdegno e di pietà. (parte)



SCENA XVI

Laodice e Medarse.

Laodice - Gran mistero in que' detti Idaspe asconde.

Medarse - Semplice, e tu lo credi? A te dovrebbe
Esser nota la corte. È di chi gode
Del principe il favor questo il costume.
Gli enigmi artifiziosi
Sembrano arcani ascosi. Allor che il volgo
Gl'intende men, più volentier gli adora,
Figurandosi in essi
Quel che teme o desia, ma sempre in vano:
Ché v'è spesso l'enigma, e non l'arcano.

Laodice - Non credo che sian tali
D'Idaspe i sensi. È ver ch'io non gl'intendo,
Ma vo, quando l'ascolto,
Cangiando al par di lui voglia e pensiero;
Né so più quel che temo o quel che spero.

L'incerto mio pensier
Non ha di che temer,
Di che sperar non ha;
E pur temendo va,
Pur va sperando.
Senza saper perché,
N'andò così da me
La pace in bando. (parte)



SCENA XVII

Medarse.

Medarse - Gran cose io tento, e l'intrapreso inganno
Mostra il premio vicino. In mezzo a tanti
Perigliosi tumulti io non pavento:
Non si commetta al mar chi teme il vento.

Fra l'orror della tempesta
Che alle stelle il volto imbruna,
Qualche raggio di fortuna
Già comincia a scintillar.
Dopo sorte sì funesta
Sarà placida quest'alma,
E godrà, tornata in calma,
I perigli rammentar. (parte)



ATTO SECONDO

SCENA I

Parco reale.

Laodice, poi Siroe.

Laodice - Che funesto piacere
È mai quel di vendetta!
Figurata, diletta;
Ma lascia, conseguita, il pentimento.
Lo so ben io, che sento
Del periglio di Siroe in mezzo al core
Il rimorso e l'orrore.

Siroe - Al fin, Laodice,
Sei vendicata: a me soffrir conviene
La pena del tuo fallo.

Laodice - Amato prence,
Così confusa io sono,
Che non ho cor di favellarti.

Siroe - Avesti
Però cor d'accusarmi.

Laodice - Un cieco sdegno,
Figlio del tuo disprezzo,
Persuase l'accusa. Ah! tu perdona,
Perdona, o Siroe, un violento amore:
Mi punisce abbastanza il mio dolore.
Non soffrirai della menzogna il danno:
Io scoprirò l'inganno.
Saprà Cosroe ch'io fui...

Siroe - La tua ruina
Non fa la mia salvezza. Anche innocente
Di questa colpa, io di più grave errore
Già son creduto autor. Taci: potrebbe
Destar la tua pietà nuovi sospetti
D'amorosa fra noi
Segreta intelligenza.

Laodice - E qual emenda
Può farmi meritare il tuo perdono?
Tu me l'addita: a quanto
Prescriver mi vorrai pronta son io:
Ma poi scordati, o caro, il fallo mio.

Siroe - Più nol rammento; e, se ti par che sia
La sofferenza mia di premio degna,
Più non amarmi.

Laodice - Oh Dio! come potrei
Lasciar sì dolci affetti in abbandono?

Siroe - Questo da te domando unico dono.

Laodice - Mi lagnerò tacendo
Del mio destino avaro;
Ma ch'io non t'ami, o caro,
Non lo sperar da me.
Crudele! in che t'offendo,
Se resta a questo petto
Il misero diletto
Di sospirar per te? (parte)



SCENA II

Siroe, poi Emira sotto nome d'Idaspe.

Siroe - Come quel di Laodice,
Potessi almen lo sdegno
Placar dell'idol mio.

Emira - Fermati, indegno!

Siroe - Ancor non sei contenta?

Emira - Ancor pago non sei?

Siroe - Forse ritorni
Ad insultare un misero innocente?

Emira - Vai forse al genitore
A palesar quel che taceva il foglio?

Siroe - Quel foglio in che t'offese? Io son creduto
Reo del delitto, e mel sopporto e taccio.

Emira - Ed io, crudel, che faccio,
Qualor t'insulto? Assicurar procuro
Cosroe della mia fé, più per tuo scampo
Che per la mia vendetta.

Siroe - Ah! dunque, o cara,
Fa più per me. Perdona al padre, o almeno,
Se brami una vendetta, aprimi il seno.

Emira - Io confonder non so Cosroe col figlio.
Odio quello, amo te; vendico estinto
Il proprio genitore.

Siroe - E il mio, che vive,
Per legge di natura anch'io difendo.
Sempre della vendetta
Più giusta è la difesa.

Emira - La generosa impresa
Dunque tu siegui; io seguirò la mia.
Ma sai però qual sia
Il debito d'entrambi? A noi, che siamo
Figli di due nemici,
È delitto l'amor: dobbiamo odiarci.
Tu devi il mio disegno
Scoprire a Cosroe, io prevenir l'accusa;
Tu scorgere in Emira il più crudele
Implacabil nemico, in Siroe io deggio
Aborrir d'un tiranno il figlio indegno.
Cominci in questo punto il nostro sdegno. (in atto di partire)

Siroe - Mio ben, t'arresta.

Emira - Ardisci
Di chiamarmi tuo bene? Unir pretendi
Il fido amante ed il crudel nemico;
E ti mostri a un istante
Debol nemico ed infedele amante.

Siroe - A torto l'amor mio...

Emira - Taci: l'amore
È nell'odio sepolto.
Parlami di furore,
Parlami di vendetta, ed io t'ascolto.

Siroe - Dunque così degg'io...

Emira - Sì, scordarti d'Emira.

Siroe - Emira, addio.
Mi vuoi reo, mi vuoi morto:
T'appagherò. Del tradimento al padre
Vado a scoprirmi autor: la tua fierezza
Così sarà contenta. (in atto di partire)

Emira - Sentimi: non partir.

Siroe - Che vuoi ch'io senta?
Lasciami alla mia sorte.

Emira - Odi: non giova
Né a me né a Cosroe il farti reo.

Siroe - Ma basta
Per morire innocente. Ascolta. Al fine
Son più figlio che amante: a me non lice
E vivere e tacer. Tutto palese
Al genitor farò, quando non possa
Toglierlo in altra guisa al tuo furore.

Emira - Va pur, va, traditore!
Accusami, o t'accusa: a tuo dispetto
Il contrario io farò. Vedrem di noi
Chi troverà più fede. (vuol partire)

Siroe - Il mio sangue si chiede:
Barbara, il verserò. L'animo acerbo
Pasci nel mio morir. (tira la spada)



SCENA III

Cosroe senza guardie, e detti.

Cosroe - Che fai, superbo?

Emira - (Oh dèi!)

Cosroe - Contro un mio fido
Stringi il brando, o fellon? Niega, se puoi:
Or non v'è chi t'accusi. Il guardo mio
Non s'ingannò. Di' che mentisco anch'io.

Siroe - Tutto è vero; io son reo: tradisco il padre,
Son nemico al germano, insulto Idaspe:
Mi si deve la morte. Ingiusto sei
Se la ritardi adesso.
Non curo uomini e dèi:
Odio il giorno, odio tutti, odio me stesso.

Emira - (Difendetelo, oh Numi!)

Cosroe - Olà! costui s'arresti. (escono alcune guardie)

Emira - Ei non volea
Offendermi, o signor. Cieco di sdegno,
Forse contro di sé volgea l'acciaro.

Cosroe - In van cerchi un riparo
Con pietosa menzogna al suo delitto.
Perché fuggir?

Emira - La fuga
Tema non era in me.

Siroe - Taci una volta,
Idaspe, taci: il mio maggior nemico
È chi più mi soccorre. Il mio tormento
Termini col morir.

Cosroe - Sarai contento.
Pochi istanti di vita
Ti restano, infedel.

Emira - Mio re, che dici?
Necessaria a' tuoi giorni
È la vita di Siroe. Ei non ancora
I complici scoprì: morrebbe seco
Il temuto segreto.

Cosroe - È vero. Oh quanto
Deggio al tuo amor! Vegliami sempre a lato.

Siroe - Forse incontro al tuo fato
Corri così. Non può tradirti Idaspe?

Emira - Io tradirlo?

Siroe - In ciascuno
Può celarsi il nemico. Ah! non fidarti:
Chi sa l'empio qual è?

Cosroe - Chètati e parti.

Siroe - Mi credi infedele:
Sol questo m'affanna.
Chi sa chi t'inganna?
(Che pena è tacer!)
Sei padre, son figlio;
Mi scaccia, mi sgrida:
Ma pensa al periglio,
Ma poco ti fida,
Ma impara a temer. (parte con guardie)



SCENA IV

Cosroe ed Emira.

Emira - (Pensoso è il re).

Cosroe - (Per tante prove e tante
So che il figlio è infedel; ma pur que' detti...)

Emira - (Forse crede a' sospetti
Che Siroe suggerì).

Cosroe - (Tradirmi Idaspe!
Per qual ragion?)

Emira - (S'ei di mia fé paventa,
Perdo i mezzi al disegno. Or non m'osserva:
Siam soli: il tempo è questo).

Cosroe - (Un reo l'accusa,
Per render forse il fallo suo minore)

Emira - (La vittima si sveni al genitore). (snuda la spada per finire Cosroe)



SCENA V

Medarse e detti.

Medarse - Signore...

Emira - (Oh dei!)

Medarse - Perché quel ferro, Idaspe?

Emira - Per deporlo al suo piè. V'è chi ha potuto
Farlo temer di me. Troppo geloso
Io son dell'onor mio.
Io traditore! Oh Dio!
Nel più vivo del cor Siroe m'offese.
Fin che si scopra il vero,
Eccomi disarmato e prigioniero.

Cosroe - Che fedeltà!

Medarse - Forse il german procura
Divider la sua colpa.

Cosroe - Idaspe, torni
Per mia difesa al fianco tuo la spada.

Emira - Perdonami, o signor; quando è in periglio
D'un sovrano la vita, ha corpo ogni ombra.
Prima dall'alma sgombra
Quell'idea che m'oltraggia, e al fianco mio
Poscia per tuo riparo
Senza taccia d'error torni l'acciaro.

Cosroe - No, no: ripiglia il brando.

Emira - Ubbidirti non deggio.

Cosroe - Io tel comando.

Emira - Così vuoi: non m'oppongo. Almen permetti
Ch'io la reggia abbandoni, acciò non dia
Di novelli sospetti
Colpa l'invidia all'innocenza mia.

Cosroe - Anzi voglio che Idaspe
Sempre de' giorni miei vegli alla cura.

Emira - Io?

Cosroe - Sì.

Emira - Chi m'assicura
Della fede di tanti, a cui commessa
È la tua vita? Io debitor sarei
Della colpa d'ognun. S'io fossi solo...

Cosroe - E solo esser tu déi.
Fra le reali guardie
Le più fide tu scegli: a tuo talento
Le cambia e le disponi; e sia tuo peso
Di scoprir chi m'insidia.

Emira - Al regio cenno
Ubbidirò; né dal mio sguardo accorto
Potrà celarsi il reo. (Son quasi in porto).

Sgombra dall'anima
Tutto il timor:
Più non ti palpiti
Dubbioso il cor;
Riposa, e credimi
Ch'io son fedel.
Se al mio regnante,
Se al dover mio
Per un istante
Mancar poss'io,
Con me si vendichi
Sdegnato il Ciel. (parte)



SCENA VI

Cosroe e Medarse.

Medarse - Non è piccola sorte
Che uno stranier così fedel ti sia.
Ma non basta, o mio re: maggior riparo
Chiede il nostro destin.

Cosroe - Sarai nel giro
Di questo dì tu mio compagno al soglio:
E opporsi a due regnanti
Non potrà facilmente un folle orgoglio.

Medarse - Anzi il tuo amor l'irrìta. Ha già sedotta
Del popol fedel Siroe gran parte.
Si parla e si minaccia. Ah! se non svelli
Dalla radice sua la pianta infesta,
Sempre per noi germoglierà funesta.
Atroce, ma sicuro,
Il rimedio sarà. Reciso il capo,
Perde tutto il vigore
L'audacia popolare.

Cosroe - Ah! non ho core.

Medarse - Anch'io gelo in pensarlo. Altro non resta
Dunque per tua salvezza
Che appagar Siroe e sollevarlo al trono.
Volentier gli abbandono
La contesa corona. Andrò lontano
Per placar l'ira sua. Se questo è poco,
Sazialo del mio sangue, aprimi il seno.
Sarò felice appieno,
Se può la mia ferita
Render la pace a chi mi diè la vita.

Cosroe - Sento per tenerezza
Il ciglio inumidir. Caro Medarse,
Vieni al mio sen. Perché due figli eguali
Non diemmi il Ciel?

Medarse - Se ricusar potessi
Di scemar, per salvarti, i giorni miei,
Degno di sì gran padre io non sarei.

Deggio a te del giorno i rai,
E per te, come vorrai,
Saprò vivere o morir.
Io vivrò, se la mia vita
È riparo alla tua sorte;
Io morrò, se la mia morte
Può dar pace al tuo martìr. (parte)



SCENA VII

Cosroe.

Cosroe - Più dubitar non posso:
È Siroe l'infedel. Vorrei punirlo,
Ma risolver non so; che in mezzo all'ira
Per lui mi parla in petto
Un resto ancor del mio paterno affetto.

Fra sdegno ed amore,
Tiranni del core,
L'antica sua calma
Quest'alma perdé.
Geloso del trono,
Pietoso del figlio,
Incerto ragiono,
Non trovo consiglio;
E intanto non sono
Né padre né re. (parte)



SCENA VIII

Appartamenti terreni corrispondenti a' giardini.

Siroe senza spada, ed Arasse.

Arasse - Chi ricusa un'aita,
Giustifica il rigor della sua sorte.
Disperato e non forte,
Prence, ti mostri, allor che in me condanni
Un zelo, che fomenta
Del popolo il favor per tuo riparo.

Siroe - L'ira del fato avaro
Tollerando si vince.

Arasse - Al merto amica
Rade volte è Fortuna; e prende a sdegno
Chi meno a lei che alla virtù si affida.

Siroe - L'alma, che in me s'annida,
Più che felice e rea,
Misera ed innocente esser desia.

Arasse - Un'innocenza oblia,
Che avria nome di colpa. Il volgo suole
Giudicar dagli eventi, e sempre crede
Colpevole colui che resta oppresso.

Siroe - Mi basta di morir noto a me stesso.

Arasse - Ad onta ancor di questa
Rigorosa virtù, sarà mia cura
Toglierti all'ira dell'ingiusto padre.
Il popolo e le squadre
Solleverò per così giusta impresa.

Siroe - Ma questo è tradimento, e non difesa.

Arasse - Se pugnar non sai col fato,
Innocente sventurato,
Basto solo al gran cimento,
Quando langue il tuo valor.
Rende giusto il tradimento
Chi punisce il traditor. (parte)



SCENA IX

Medarse e detto.

Medarse - Come! Nessuno è teco?

Siroe - Ho sempre a lato
La crudel compagnia di mie sventure.

Medarse - Son già quasi sicure
Le tue felicità. Deve a momenti
Qui venir Cosroe, e forse
A consolarti ci viene.

Siroe - Or vedi quanto
Sventurato son io: del padre in vece
Giunse Medarse.

Medarse - Il tuo piacer saria
Poter senza compagno
Seco parlar. Porresti in uso allora
Lusinghe e prieghi, e ricoprir con arte
Sapresti il mal talento.
Semplice, se lo speri! Io nol consento.

Siroe - T'inganni. A me non spiace
Favellar te presente:
Chi delitto non ha, rossor non sente.
Pena in vederti è il sovvenirmi solo
Ch'abbia fonte comune il sangue nostro.

Medarse - Sarà mio merto e la corona e l'ostro.



SCENA X

Cosroe, Emira col nome d'Idaspe, e detti.

Cosroe - Veglia, Idaspe, all'ingresso; e il cenno mio
Nelle vicine stanze
Laodice attenda.

Emira - Ubbidirò. (si ritira in disparte)

Cosroe - Medarse,
Parti.

Medarse - Ch'io parta! E chi difende intanto,
Signor, le mie ragioni?

Cosroe - Io le difendo.

Siroe - Resti, se vuol.

Cosroe - No, teco
Solo esser voglio.

Medarse - E puoi fidarti a lui?

Cosroe - Più oltre non cercar. Vanne.

Medarse - Ubbidisco.
Ma poi...

Cosroe - Taci, Medarse, e t'allontana.

Medarse - (Mi cominci a tradir, sorte inumana). (parte)



SCENA XI

Cosroe, Siroe ed Emira in disparte.

Cosroe - Siedi, Siroe, e m'ascolta. (Cosroe siede)
Io vengo qual mi vuoi, giudice o padre.
Mi vuoi padre? Vedrai
Fin dove giunga la clemenza mia.
Giudice vuoi ch'io sia?
Sosterrò teco il mio real decoro.

Siroe - Il giudice non temo: il padre adoro. (siede)

Cosroe - Posso sperar dal figlio
Ubbidito un mio cenno? Infin ch'io parlo,
Taci, e mostrami in questo il tuo rispetto.

Siroe - Fin che vuoi, tacerò; così prometto.

Emira - (Che dir vorrà?)

Cosroe - Di mille colpe reo,
Siroe, tu sei. Per questa volta soffri
Che le rammenti. Un giuramento io chiedo
Per riposo del regno, e tu ricusi:
Ti perdono, e t'abusi
Di mia pietà. Mi fa palese un foglio
Che v'è tra' miei più cari un traditore;
E, mentre il mio timore
Or da un lato, or dall'altro erra dubbioso,
Io veggo te nelle mie stanze ascoso.
Che più? Medarse istesso
Scopre i tuoi falli...

Siroe - E creder puoi veraci...

Cosroe - Serbami la promessa: ascolta e taci.

Emira - (Misero prence!)

Cosroe - Ognun di te si lagna.
Hai sconvolta la reggia; alcun sicuro
Dal tuo fasto non è; Medarse insulti;
Tenti Laodice e la minacci; Idaspe
Infin su gli occhi miei svenar procuri.
Né ti basta. I tumulti a danno mio
Ne' popoli risvegli...

Siroe - Ah! son fallaci…

Cosroe - Serbami la promessa: ascolta e taci.
Vedi da quanti oltraggi
Quasi sforzato a condannarti io sono;
E pur tutto mi scordo e ti perdono.
Torniam, figlio, ad amarci: il reo mi svela
O i complici palesa. Un padre offeso
Altra emenda non chiede
Dall'offensor che pentimento e fede.

Emira - (Veggio Siroe commosso.
Ah, mi scoprisse mai!)

Siroe - Parlar non posso.

Cosroe - Odi, Siroe. Se temi
Per la vita del reo, paventi in vano.
Se quel tu sei, nel confessarlo al padre
Te stesso assolvi e ti fai strada al trono.
Se tu non sei, ti dono,
Pur che noto mi sia, salvo l'indegno.
Ecco, se vuoi, la real destra in pegno.

Emira - (Aimè!)

Siroe - Quando sicuri
Siano dal tuo castigo i tradimenti,
Dirò...

Emira - Non ti rammenti
Che il tuo cenno, signor, Laodice attende?

Siroe - (Oh dèi!)

Cosroe - Lo so: parti.

Emira - Dirò frattanto...

Cosroe - Di' ciò che vuoi.

Emira - T'ubbidirò fedele.
(Perfido, non parlar). (a Siroe)

Siroe - (Quanto è crudele!)

Cosroe - Spiegati e ricomponi
I miei sconvolti affetti. Or perché taci?
Perché quel turbamento?

Siroe - Oh Dio!

Cosroe - T'intendo:
Al nome di Laodice
Resister non sapesti. In questo ancora
T'appagherò: già ti prevenni. Io svelo
La debolezza mia. Laodice adoro;
Con mio rossore il dico: e pure io voglio
Cederla a te. Sol dalla trama ascosa
Assicurami, o figlio, e sia tua sposa.

Siroe - Forse non crederai...

Emira - Chiedea Laodice,
Importuna l'ingresso: acciò non fosse
A te molesta, allontanar la feci.

Cosroe - E partì?

Emira - Sì, mio re.

Cosroe - Vanne, e l'arresta.

Emira - Vado. (Mi vuoi tradir?) (a Siroe)

Siroe - (Che pena è questa!)

Cosroe - Parla. Laodice è tua. Di più che brami?
Dubbioso ancor ti veggio?

Siroe - Sdegno Laodice, e favellar non deggio.

Cosroe - Perfido! Al fin tu vuoi (s'alza)
Morir da traditor, come vivesti.
Che più da me vorresti?
Ti scuso, ti perdono;
Ti richiamo sul trono;
Colei che m'innamora
Ceder ti voglio; e non ti basta ancora?
La mia morte, il mio sangue
È il tuo voto, lo so. Saziati, indegno!
Solo e senza soccorso
Già teco io son: via, ti soddisfa appieno.
Disarmami, inumano, e m'apri il seno.

Emira - E chi tant'ira accende?
Così senza difesa
In periglio lasciarti a me non lice;
Eccomi al fianco tuo.

Cosroe - Venga Laodice.

Siroe - Signor, se amai Laodice,
Punisca il Ciel...

Cosroe - Non irritar gli dèi
Con novelli spergiuri.



SCENA XII

Laodice e detti.

Laodice - Eccomi a' cenni tuoi.

Cosroe - Siroe, m'ascolta.
Questa è l'ultima volta
Che offro uno scampo. Abbi Laodice e il trono,
Se vuoi parlar; ma, se tacer pretendi,
In carcere crudel la morte attendi.
Resti Idaspe in mia vece. A lui confida
L'autor del fallo. In libertà ti lascio
Pochi momenti: in tuo favor gli adopra.
Ma, se il fulmine poi cader vedrai,
La colpa è tua, che trattener nol sai.

Tu di pietà mi spogli,
Tu dèsti il mio furor;
Tu solo, o traditor,
Mi fai tiranno.
Non dirmi, no, spietato.
È il tuo crudel desio,
Ingrato! e non son io
Che ti condanno. (parte)



SCENA XIII

Siroe, Emira e Laodice.

Siroe - (Che risolver degg'io?)

Emira - Felici amanti,
Delle vostre fortune oh quanto io godo!
Oh Persia avventurosa,
Se, imitando la sposa,
I figli prenderan forme leggiadre,
E se avran fedeltà simile al padre!

Siroe - (E mi deride ancor!)

Laodice - Secondi il Cielo
Il lieto augurio. Ei però tace, e parmi
Irresoluto ancor.

Emira - (a Siroe)
Parla. Saria
Stupidità se più tacessi.

Siroe - Oh dèi!
Lasciami in pace.

Emira - Il re sai che t'impose
Di sceglier, me presente,
Il carcere o Laodice.

Laodice - Or che risolvi?

Siroe - Per me risolva Idaspe: il suo volere
Sarà legge del mio. Frattanto io parto,
E vo fra le ritorte
L'esito ad aspettar della mia sorte.

Emira - Ma, prence, io non saprei...

Siroe - Sapesti assai
Tormentarmi fin ora.
(Provi l'istessa pena Emira ancora).

Fra' dubbi affetti miei
Risolvermi non so.
Tu pensaci, tu sei (ad Emira)
L'arbitro del mio cor.
Vuoi che la morte attenda?
La morte attenderò.
Vuoi che per lei m'accenda?
Eccomi tutto amor. (parte)



SCENA XIV

Emira e Laodice.

Emira - (A costei che dirò?)

Laodice - Da' labbri tuoi
Ora dipende, Idaspe,
Il riposo d'un regno e il mio contento.

Emira - Di Siroe, a quel ch'io sento,
Senza noia Laodice
Le nozze accetteria.

Laodice - Sarei felice.

Emira - Dunque l'ami?

Laodice - L'adoro.

Emira - E speri la sua mano?...

Laodice - Stringer per opra tua.

Emira - Lo speri in vano.

Laodice - Perché?

Emira - Posso svelarti un mio segreto?

Laodice - Parla.

Emira - Del tuo sembiante,
Perdonami l'ardire, io vivo amante.

Laodice - Di me!

Emira - Sì. Chi mai puote
Mirar, senz'avvampar, quell'aureo crine,
Quelle vermiglie gote,
Le labbra coralline,
Il bianco sen, le belle
Due rilucenti stelle? Ah, se non credi
Qual fuoco ho in petto accolto,
Guarda, e vedrai che mi rosseggia in volto.

Laodice - E tacesti?...

Emira - Il rispetto
Muto fin or mi rese.

Laodice - Ascolta, Idaspe:
Amarti non poss'io.

Emira - Così crudele! oh Dio!

Laodice - Se è ver che m'ami,
Servi agli affetti miei. L'amato prence,
Con virtù di te degna, a me concedi.

Emira - Oh! questo no: troppa virtù mi chiedi.

Laodice - Siroe si perde.

Emira - Il Cielo
Gl'innocenti difende.

Laodice - E se la speme
Me pietosa ti finge, ella t'inganna.

Emira - Tanto meco potresti esser tiranna?

Laodice - T'odierò fin ch'io viva; e non potrai
Riderti de' miei danni.

Emira - Saranno almen comuni i nostri affanni.

Laodice - Amico il Fato
Mi guida in porto,
E tu spietato
Mi fai perir.
Ti renda Amore
Per mio conforto
Tutto il dolore
Che fai soffrir. (parte)



SCENA XV

Emira.

Emira - Sì diversi sembianti
Per odio e per amore or lascio, or prendo,
Ch'io me stessa talor né meno intendo.
Odio il tiranno, ed a svenarlo io sola
Mille non temerei nemiche squadre;
Ma penso poi che del mio bene è padre.
Amo Siroe, e mi pento
D'esser io la cagion del suo periglio;
Ma penso poi che del tiranno è figlio.
Così sempre il mio core
È infelice nell'odio e nell'amore.

Non vi piacque, ingiusti dèi,
Ch'io nascessi pastorella:
Altra pena or non avrei
Che la cura d'un'agnella,
Che l'affetto d'un pastor.
Ma chi nasce in regia cuna,
Più nemica ha la fortuna;
Ché nel trono ascosi stanno
E l'inganno ed il timor.



ATTO TERZO

SCENA I

Cortile.

Cosroe ed Arasse.

Cosroe - No, no; voglio che mora.
Abbastanza fin ora
Pietosa a me per lui parlò natura.

Arasse - Signor, chi t'assicura
Che, Siroe ucciso, il popolo ribelle
Non voglia vendicarlo; e, quando speri
I tumulti sedar, non sian più fieri?

Cosroe - Sollecito e nascosto
Previeni i sediziosi. A lor si mostri,
Ma reciso, del figlio il capo indegno.
Vedrai gelar lo sdegno,
Quando manchi il fomento.

Arasse - Innanzi a questo
Violento rimedio, altro possiamo
Men funesto tentarne.

Cosroe - E quale? Ho tutto
Posto in uso fin ora. Idaspe ed io
Sudammo in vano. Il figlio contumace
Morto mi vuol, ricusa i doni e tace.

Arasse - Dunque degg'io...

Cosroe - Sì, vanne: è la sua morte
Necessaria per me. Pronuncio, Arasse,
Il decreto fatal; ma sento, oh Dio!
Gelarsi il core, inumidirsi il ciglio:
Parte del sangue mio verso nel figlio.

Arasse - Ubbidirò con pena;
Ma pure ubbidirò. Di Siroe amico
Io sono, è ver, ma son di te vassallo;
E sa ben la mia fede
Che al dover di vassallo ogni altro cede.

Al tuo sangue io son crudele,
Per serbarti fedeltà.
Quando vuol d'un re l'affanno
Per sua pace un reo trafitto,
È virtù l'esser tiranno,
E delitto è la pietà. (parte)

Cosroe - Fin che del Ciel nemico
Io non provai lo sdegno,
Mi fu dolce la vita e dolce il regno:
Ma, quando il conservarli
Costa al mio cor così crudel ferita,
Grave il regno è per me, grave è la vita.



SCENA II

Laodice e detto.

Laodice - Mio re, che fai? Freme alla reggia intorno
Un sedizioso stuol, che Siroe chiede.

Cosroe - L'avrà, l'avrà. Già d'un mio fido al braccio
La sua morte è commessa, e forse adesso
Per le aperte ferite
Fugge l'anima rea. Così gliel rendo.

Laodice - Misera me, che intendo!
E che facesti mai!

Cosroe - Che feci? Io vendicai
L'offesa maestà, l'amore offeso,
I tuoi torti ed i miei.

Laodice - Ah, che ingannato sei! Sospendi il cenno.
Nell'amor tuo giammai
Il prence non t'offese; io t'ingannai.

Cosroe - Che dici!

Laodice - Amore in vano
Chiesi da Siroe, e il suo disprezzo volli
Con l'accusa punir.

Cosroe - Tu ancor tradirmi?

Laodice - Sì, Cosroe, ecco la rea:
Questa s'uccida, e l'innocente viva.

Cosroe - Innocente chi vuol la morte mia?
Viva chi t'innamora?
È reo di fellonia;
È reo perché ti piace, e vuo' che mora.

Laodice - La vita d'un tuo figlio è sì gran dono,
Ch'io temeraria sono,
Se spero d'ottenerlo! A che giovate,
Sembianze sfortunate?
Se placarti non sanno,
Mai non m'amasti, e fu l'amore inganno.

Cosroe - Pur troppo, anima ingrata, io t'adorai.
Fin della Persia al trono
Sollevarti volea; né tutto ho detto.
Ho mille cure in petto,
Ti conosco infedele;
E pur, chi 'l crederia? nell'alma io sento
Che sei gran parte ancor del mio tormento.

Laodice - Dunque alle mie preghiere
Cedi, o signor. Sia salvo il prence, e poi
Uccidimi, se vuoi. Sarò felice
Se il mio sangue potrà...

Cosroe - Parti, Laodice.
Chiedendo la sua vita,
Colpa gli accresci, e il tuo pregar m'irrìta.

Laodice - Se il caro figlio
Vede in periglio,
Diventa umana
La tigre ircana;
E lo difende
Dal cacciator.
Più fiero core
Del tuo non vidi;
Non senti amore,
La prole uccidi;
Empio ti rende
Cieco furor. (parte)



SCENA III

Cosroe e poi Emira.

Cosroe - Vediam fin dove giunge
Del mio destino il barbaro rigore:
Tutto soffrir saprò...

Emira - Rendi, o signore,
Libero il prence al popolo sdegnato.
Minaccia in ogni lato
Co' fremiti confusi
La plebe insana; e s'ode in un momento
Di Siroe il nome in cento bocche e cento.

Cosroe - Tanto crebbe il tumulto?

Emira - Ogni alma vile
Divien superba. In mille destre e mille
Splendono i nudi acciari, e fuor dell'uso
I tardi vecchi, i timidi fanciulli,
Fatti arditi e veloci,
Somministrano l'armi ai più feroci.

Cosroe - Se ancor pochi momenti
L'impeto si sospende, io più nol temo.

Emira - Perché?

Cosroe - Già il fido Arasse
Corse a svenar per mio comando il figlio.

Emira - E potesti così... Rivoca, oh Dio!
La sentenza funesta:
Nunzio n'andrò di tua pietade io stesso...
Porgimi il regio impronto.

Cosroe - In van lo chiedi:
La sua morte mi giova.

Emira - Ah Cosroe, e come
Così da te diverso? E dove or sono
Tante virtù, già tue compagne al trono?
Che mai dirà la Persia?
Il mondo che dirà? Fosti fin ora
Amor de' tuoi vassalli,
Terror de' tuoi nemici;
L'armi tue vincitrici,
Colà sul ricco Gange,
Colà del Nilo in su le foci estreme,
E l'Indo e l'Etiòpe ammira e teme.
Quanto perdi in un punto! Ah, se ti scordi
Le leggi di natura,
Un fatto sol tutti i tuoi pregi oscura.
Deh con miglior consiglio...

Cosroe - Ma Siroe è un traditor.

Emira - Ma Siroe è figlio;
Figlio che, di te degno,
Dalle paterne imprese
L'arte di trionfar sì bene apprese,
Che fu, bambino ancora,
La delizia di Cosroe e la speranza.
So che, a pugnar qualora
Partisti armato o vincitor tornasti,
Gli ultimi e i primi baci erano i suoi;
Ed ei lieto e sicuro
Al tuo collo stendea la mano imbelle,
Né il sanguinoso lume
Temea dell'elmo o le tremanti piume.

Cosroe - Che mi rammenti!

Emira - Ed or quel figlio istesso,
Quello s'uccide: e chi l'uccide? Il padre.

Cosroe - Oh Dio! più non resisto.

Emira - Ah se alcun premio
Merita la mia fé, Siroe non mora.
Vado? Risolvi. Or ora
Trattener non potrai la sua ferita.

Cosroe - Prendi, vola a salvarlo. (gli dà l'impronto regio)

Emira - (Io torno in vita).



SCENA IV

Arasse e detti.

Emira - Arasse! Oh Cieli!

Cosroe - Ah, che turbato ha il ciglio!

Emira - Vive il prence?

Arasse - Non vive.

Emira - Ah, Siroe!

Cosroe - Oh, figlio!

Arasse - Ei cadde al primo colpo; e l'alma grande
Sul moribondo labbro
Sol tanto s'arrestò, fin che mi disse:
‘Difendi il padre'; e poi fuggì dal seno.

Cosroe - Deh! soccorrimi, Idaspe, io vengo meno.

Emira - Tu, barbaro, tu piangi! E chi l'uccise?
Scellerato, chi fu? Di chi ti lagni?
Va, tiranno! e dal petto,
Mentre palpita ancor, svelli quel core.
Sazia il furore interno,
Torna di sangue immondo,
Mostro di crudeltà, furia d'averno,
Vergogna della Persia, odio del mondo.

Cosroe - Così mi parla Idaspe! È stolto o finge?

Emira - Finsi fin or, ma solo
Per trafiggerti il cor.

Cosroe - Che mai ti feci?

Emira - Empio, che mi facesti?
Lo sposo m'uccidesti;
Per te padre non ho, non ho più trono.
Io son la tua nemica, Emira io sono.

Cosroe - Che sento!

Arasse - Oh meraviglia!

Cosroe - Adesso intendo
Chi mi sedusse il figlio.

Emira - È ver, ma in vano
Di sedurlo tentai. Per mia vendetta
E per tormento tuo, perfido! il dico:
Sappi ch'ei ti difese
Dall'odio mio; ch'ei ti recò quel foglio;
Che innocente morì; ch'ogni sospetto,
Ch'ogni accusa è fallace.
Va, pensaci; e, se puoi, riposa in pace.

Cosroe - Serba, Arasse, al mio sdegno,
Ma fra' ceppi costei.

Arasse - Pronto ubbidisco.
Olà, deponi...

Emira - Io stessa
Disarmo il fianco mio. Prendi! (dà la spada ad Arasse, il quale, presala, entra e poi esce con guardie)
(a Cosroe
)
T'inganni
Se credi spaventarmi.

Cosroe - Ah! parti, ingrata:
D'un'alma disperata
L'odiosa compagnia troppo m'affligge.

Emira - Perché tu resti afflitto,
Basta la compagnia del tuo delitto. (parte con guardie)



SCENA V

Cosroe ed Arasse.

Cosroe - Ove son? Che m'avvenne? E vivo ancora?

Arasse - Consolati, signor. Pensa per ora
A conservarti il vacillante impero;
Pensa alla pace tua.

Cosroe - Pace non spero.
Ho nemici i vassalli,
Ho la sorte nemica; il Cielo istesso
Astri non ha per me che sian felici;
Ed io sono il peggior de' miei nemici.

Gelido in ogni vena
Scorrer mi sento il sangue:
L'ombra del figlio esangue
M'ingombra di terror.
E per maggior mia pena
Veggio che fui crudele
A un'anima fedele,
A un innocente cor. (parte)



SCENA VI

Arasse, poi Emira con guardie e senza spada.

Arasse - Ritorni il prigioniero. I miei disegni
Secondino le stelle. Olà, partite.
(al comando d'Arasse le guardie conducono fuori Emira, indi partono)

Emira - Che vuoi, d'un empio re più reo ministro?
Forse svenarmi?

Arasse - No; vivi e ti serba,
Illustre principessa, al tuo gran sposo.
Siroe respira ancor.

Emira - Come!

Arasse - La cura
D'ucciderlo accettai, ma per salvarlo.

Emira - Perché tacerlo al padre
Pentito dell'error?

Arasse - Parve pietoso,
Perché più nol temea: se vivo il crede,
La sua pietà di nuovo
Diverrebbe timor. Cede alla tema
Di forza la pietade:
Quella dal nostro, e questa
Solo dall'altrui danno in noi si desta.

Emira - Siroe dov'è?

Arasse - Fra' lacci
Attende la sua morte.

Emira - E nol salvasti ancor?

Arasse - Prima degg'io
I miei fidi raccorre,
Per scorgerlo sicuro ove lo chiede
Il popolo commosso. Or che dal padre
Si crede estinto, avremo
Agio bastante a maturar l'impresa.

Emira - Andiamo. Ah vien Medarse.

Arasse - Non sbigottirti: io partirò; tu resta
I disegni a scoprir del prence infido.
Fidati, non temer.

Emira - Di te mi fido. (parte Arasse)



SCENA VII

Emira e Medarse.

Emira - Che ti turba, o signor?

Medarse - Tutto è in tumulto,
E mi vuoi lieto, Idaspe?

Emira - (Ignota ancor gli son). Dunque n'andiamo
Ad opporci a' ribelli.

Medarse - Altro soccorso
Chiede il nostro periglio. A Siroe io vado.

Emira - E liberar vorresti
L'indegno autor de' nostri mali?

Medarse - Eh tanto
Stolto non son; corro a svenarlo.

Emira - Intesi
Che già Siroe morì.

Medarse - Ma per qual mano?

Emira - Non so. Dubbia e confusa
Giunse a me la novella. E tu nol sai?

Medarse - Nulla seppi.

Emira - Saranno
Popolari menzogne.

Medarse - Estinto o vivo,
Siroe trovar mi giova.

Emira - Io ti precedo.
De' tuoi disegni avrai
Idaspe esecutor. (Scopersi assai). (parte)



SCENA VIII

Medarse solo.

Medarse - Se la strada del trono
M'interrompe il germano, il voglio estinto.
È crudeltà, ma necessaria; e solo
Quest'aita permette
Di sì pochi momenti il giro angusto.
Ne' mali estremi ogni rimedio è giusto.

Benché tinta del sangue fraterno,
La corona non perde splendor.
Quella colpa che guida sul trono,
Sfortunata non trova perdono;
Ma felice, si chiama valor. (parte)



SCENA IX

Luogo angusto e racchiuso nel castello destinato a Siroe per carcere.

Siroe, poi Emira.

Siroe - Son stanco, ingiusti numi,
Di soffrir l'ira vostra. A che mi giova
Innocenza e virtù? Si opprime il giusto;
S'innalza il traditor. Se i merti umani
Così bilancia Astrea,
O regge il caso, o l'innocenza è rea.

Emira - (Arasse non mentì: vive il mio bene).

Siroe - Ed Emira fra tanti
Rigorosi custodi a me si porta?

Emira - Questo impronto real fu la mia scorta.

Siroe - Come in tua man?

Emira - L'ebbi da Cosroe istesso.

Siroe - Se del mio fato estremo
Scelse te per ministra il genitore,
Per così bella morte
Io perdono alla sorte il suo rigore.

Emira - Senti Emira qual sia...



SCENA X

Medarse e detti.

Medarse - Non temete, o custodi: il re m'invia.

Emira - (Oh numi!)

Medarse - Idaspe è qui! Senza il tuo brando
Ti porti in mia difesa?

Emira - In su l'ingresso
Mel tolsero i custodi.
(Giungesse Arasse!) (guardando per la scena)

Siroe - Ad insultarmi ancora
Qui vien Medarse! E in qual remoto lido
Posso celarmi a te?

Medarse - Taci, o t'uccido. (snuda la spada)

Emira - È lieve pena a un reo
La sollecita morte. Ancor sospendi
Qualche momento il colpo. Ei ne ravvisi
Tutto l'orror. Potrò sfogare intanto
Seco il mio sdegno antico.
Tu sai ch'è mio nemico e che, stringendo
Contro di me fin nella reggia il ferro,
Quasi a morte mi trasse.

Siroe - E tanto ho da soffrir?

Emira - (guardando per la scena)
(Giungesse Arasse!)

Siroe - E Idaspe è così infido,
Che, unito a un traditor...

Medarse - Taci, o uccido.

Siroe - Uccidimi, crudel. Tolga la morte
Tanti oggetti penosi agli occhi miei.

Medarse - Mori... (Mi trema il cor).

Emira - (Soccorso, o dèi!)

Medarse - (Sento, né so che sia,
Un incognito orror che mi trattiene).

Siroe - Barbaro, a che t'arresti?

Emira - (come sopra)
(E ancor non viene!)

Medarse - (Chi mi rende sì vile?)

Emira - Impallidisci!
Dammi quel ferro: io svenerò l'indegno;
Io svellerò quel core. Io solo, io solo
Basto di tanti a vendicar gli oltraggi.

Medarse - Prendi; l'usa in mia vece. (dà la spada ad Emira)

Siroe - A questo segno
Ti sono odioso?

Emira - Or lo vedrai, superbo:
Se speri alcun riparo...
Difenditi, mia vita; ecco l'acciaro! (dà la spada a Siroe)

Medarse - Che fai, che dici, Idaspe? E mi tradisci,
Quando a te m'abbandono?

Emira - No, più non sono Idaspe; Emira io sono.

Siroe - (Che sarà?)

Medarse - Traditori!
Verranno ad un mio grido
I custodi a punir...

Siroe - Taci, o t'uccido.



SCENA XI

Arasse con guardie, e detti.

Arasse - Vieni, Siroe.

Medarse - Ah, difendi,
Arasse, il tuo signor.

Arasse - Siroe difendo.

Medarse - Ah, perfido!

Arasse - (a Siroe)
Dipende
La città dal tuo cenno. Andiam: consola
Con la presenza tua tant'alme fide:
Libero è il varco; e lascio
Questi in difesa a te. Vieni, e saprai
Quanto fin or per liberarti oprai. (parte, e restano con Siroe le guardie)



SCENA XII

Siroe, Emira e Medarse.

Medarse - Numi! ognun m'abbandona.

Emira - Andiamo, o caro.
Dell'amica fortuna
Non si trascuri il dono.
Siegui i miei passi; ecco la via del trono.

Siroe - È pur vero, idol mio,
Che non mi sei nemica? Oh Dio! che pena
Il crederti infedele!

Emira - E tu potesti
Dubitar di mia fé?

Siroe - Perdona, o cara:
Tanto in odio alle stelle oggi mi vedo,
Che per mio danno ogn'impossibil credo.

Emira - Ch'io mai vi possa
Lasciar d'amare,
Non lo credete,
Pupille care;
Né men per gioco
V'ingannerò.
Voi foste e siete
Le mie faville,
E voi sarete,
Care pupille,
Il mio bel foco,
Fin ch'io vivrò. (parte)



SCENA XIII

Siroe e Medarse.

Medarse - Siroe, già so qual sorte
Sovrasti a un traditor. Più della pena
Mi sgomenta il delitto. Al soglio ascendi:
Svenami pur; senza difesa or sono.

Siroe - Prendi, vivi, t'abbraccio e ti perdono. (gli dà la spada)

Se l'amor tuo mi rendi,
Se più fedel sarai,
Son vendicato assai,
Più non desio da te.
Sorte più bella attendi,
Spera più pace al core,
Or che al sentier d'onore
Volgi di nuovo il piè. (parte con le guardie)



SCENA XIV

Medarse solo.

Medarse - Ah, con mio danno imparo
Che la più certa guida è l'innocenza.
Chi si fida alla colpa,
Se nemico ha il destino, il tutto perde.
Chi alla virtù s'affida,
Benché provi la sorte ognor funesta,
Pur la pace dell'alma almen gli resta.

Torrente cresciuto
Per torbida piena,
Se perde il tributo
Del gel che si scioglie,
Fra l'aride sponde
Più l'onde non ha.
Ma il fiume che nacque
Da limpida vena,
Se privo è dell'acque
Che il verno raccoglie,
Il corso non perde,
Più chiaro si fa. (parte)



SCENA XV

Gran piazza di Seleucia con veduta del palazzo reale e con apparato magnifico, ordinato per la coronazione di Medarse, che poi serve per quella di Siroe. Nell'aprir della scena si vede una mischia tra i ribelli e le guardie reali, le quali sono rincalzate e fuggono.

Cosroe, Emira e Siroe, l'uno dopo l'altro con ispada nuda; indi Arasse con tutto il popolo.
Cosroe, difendendosi da alcuni congiurati, cade
.

Cosroe - Vinto ancor non son io.

Emira - Arrestatevi, amici; il colpo è mio.

Siroe - Ferma, Emira, che fai? Padre, io son teco:
Non temer.

Emira - Empio Ciel!

Cosroe - Figlio, tu vivi!

Siroe - Io vivo, e posso ancora
Morir per tua difesa.

Cosroe - E chi fu mai
Che serbò la tua vita?

Arasse - Io la serbai.
Libero il prence io volli,
Non oppresso il mio re. Di più non chiede
Il popolo fedel. Se il tuo contento
Non fa la mia discolpa,
Puoi la colpa punir.

Cosroe - Che bella colpa!



SCENA ULTIMA

Medarse, Laodice e detti.

Medarse - Padre!

Laodice - Signor!

Medarse - Del mio fallir ti chiedo
Il perdono o la pena.

Laodice - Anch'io son rea;
Vengo al giudice mio: l'incendio acceso
In gran parte io destai.

Cosroe - Siroe è l'offeso.

Siroe - Nulla Siroe rammenta. E tu, mio bene, (ad Emira)
Deponi al fin lo sdegno. Ah, mal s'unisce
Con la nemica mia la mia diletta:
O scordati l'amore o la vendetta.

Emira - Più resister non posso. Io, con l'esempio
Di sì bella virtù, l'odio abbandono.

Cosroe - E, perché quindi il trono
Sia per voi di piacer sempre soggiorno,
Siroe sarà tuo sposo.

Emira e Siroe - Oh lieto giorno!

Cosroe - Ecco, Persia, il tuo re. Passi dal mio
Su quel crin la corona: io stanco al fine
Volentier la depongo. Ei, che a giovarvi
Fu da' prim'anni inteso,
Saprà con più vigor soffrirne il peso. (siegue l'incoronazione di Siroe)


CORO
I suoi nemici affetti
Di sdegno e di timor
Il placido pensier
Più non rammenti.
Se nascono i diletti
Dal grembo del dolor,
Oggetto di piacer
Sono i tormenti.


EDIZIONE DI RIFERIMENTO: "Tutte le opere - Pietro Metastasio", a cura di B. Brunelli, volume I, Mondadori, Milano, 1954







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